20 Apr 2020

Questa pandemia racchiude un enorme potenziale per cambiamenti positivi

Scritto da: Roberto Battista

Per uscire dal pantano dobbiamo accettare di sporcarci, ma una volta raggiunta l’altra sponda sarà evidente che ne valeva ampiamente la pena. Abbiamo tutte le risorse e gli strumenti non solo per superare il momento di difficoltà, ma anche per costruire un domani migliore, più equo, più sostenibile, più futuribile. Pubblichiamo le riflessioni attraverso cui il nostro Roberto Battista immagina la transizione verso questa nuova epoca.

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Il grande pubblico ha un campo di attenzione sufficiente a poco più di un argomento per volta. In questo momento la pandemia del coronavirus monopolizza l’attenzione globalmente e non lascia spazio per nessuna delle grandi questioni aperte.

Chi si ricorda dell’emergenza climatica, di Greta e del movimento Fridays for Future, dei profughi siriani arenati al confine tra Turchia e Grecia, delle crisi che perdurano in Yemen, South Sudan, Democratic Republic of the Congo, dei Rohingya in Myanmar e Bangladesh, dei migranti nei lager libici? Chi si ricorda degli incendi in Australia o delle locuste in varie parti dell’Africa, i migranti sui barconi nel Mediterraneo o ISIS e la minaccia terroristica, tanto per citarne alcuni?

Questo dato di fatto è più che mai rilevante per le sue implicazioni ed è un fattore che rende possibile a personaggi politici di conquistare il favore del pubblico con propaganda senza scrupoli, confidando nella necessità di una larga porzione della popolazione di ottenere risposte semplici per problemi complessi, soluzioni immediate a problematiche che richiedono generazioni di evoluzione, identificazione di colpevoli per qualsivoglia problema contingente, vero o presunto.

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Questo contesto dà adito anche a un proliferare di teorie complottiste delle più fantasiose – si vedano gli articoli di Nicolas Guilhot (Senior Research Associate, CNRS and Visiting Professor, City College of New York) Why pandemics are the perfect environment for conspiracy theories to flourish e Nuovo e utile: Bias cognitivi e decisioni sistemiche ai tempi del virus di Annamaria Testa – e a questo contribuisce una diminuita fiducia nella scienza e nell’autorevolezza degli “esperti” alla quale si è giunti dopo anni di sistematica delegittimazione della credibilità basata su studio ed esperienza.

I vari leaders che cavalcano quest’onda sono noti, da Trump a Bolsonaro, da Orban a Salvini, gli esempi non mancano e varrebbe la pena di soffermarsi a osservare il processo storico che ha portato all’emergenza di questi personaggi, che possono essere visti in un ottica assimilabile al progredire di una pandemia. Al di là di quest’analisi però ci troviamo a una congiuntura che, nella sua drammaticità, racchiude un enorme potenziale per cambiamenti positivi.

Forse è troppo ottimistico aspettarsi che qualche mese di “sospensione della normalità” riveli a un numero sufficiente di persone quanto questa normalità avesse ben poco di normale. Resta la speranza che il doversi confrontare con la realtà senza le consuete scappatoie possa effettivamente aiutare a concentrare l’attenzione su quelli che sono effettivamente i problemi reali e urgenti che dobbiamo affrontare, con logica e competenza, se vogliamo sopravvivere come specie.

Arundhati Roy in The pandemic is a portal, Noam Chomsky in Coronavirus – What is at stake? e Yuval Noah Harari in The world after coronavirus affrontano questo tema da diversi punti di vista, suggerendo interessanti ipotesi su un possibile futuro e ponendo l’accento su quali sono i punti chiave sui quali dovremmo focalizzare la nostra attenzione in vista di un possibile progresso sostenibile e ormai inderogabile. Alcuni di essi sono imprescindibili e necessitano attenzione immediata; tra questi i più urgenti, e in gran parte tra di loro collegati, sono il cambiamento climatico, la disparità abissale di distribuzione della ricchezza, il reale rischio di un conflitto atomico, le guerre probabili derivate dall’esaurimento di risorse naturali e la crescita esponenziale della popolazione, lo strapotere di una manciata di multinazionali.

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Noam Chomsky

La quasi totalità degli altri problemi che affliggono l’umanità oggi (senza scusanti o cause inevitabili) sono collegati a queste questioni, che vanno affrontate globalmente nell’interesse di tutti. Proprio questo punto può rivelarsi cruciale poiché richiede una rivoluzione di pensiero: iniziare a pensare come “noi” prima che come “io” e questo vale sia per gli individui che per le nazioni. Il concetto di bene comune deve prevalere, non per qualche ingenuo buonismo ma piuttosto per una necessità evolutiva e di sopravvivenza.

Da decenni ormai i risultati del cammino intrapreso negli anni ottanta con l’ultra-liberismo promosso da Thatcher e Reagan erano previsti e descritti abbastanza dettagliatamente da economisti come Joseph Stiglitz e Paul Krugman e addirittura da un epitome del capitalismo, il tanto odiato (e soggetto prediletto dai complottisti) George Soros.

Non abbiamo scuse per giustificare la nostra ignoranza sulle conseguenze nefaste del modo in cui abbiamo abusato il nostro pianeta e auspicabilmente lo spavento causato dalla pandemia in corso potrebbe risvegliare abbastanza coscienze. Questa presa di coscienza peraltro non comporterebbe un arresto del progresso, come sostengono i fautori dell’economia capitalista selvaggia e nemmeno una così drammatica riduzione del lusso al quale il consumismo ci ha abituati, come sostengono altri nel campo opposto della decrescita. Possediamo conoscenze sufficienti a consentirci di fare buon uso delle risorse a nostra disposizione, già solo riducendo gli sprechi, riutilizzando e riciclando, ci porremmo in una posizione tale da evitare la catastrofe climatica e ridurre considerevolmente povertà e ineguaglianze.

Attualmente circa i due terzi delle risorse del pianeta (minerali, combustibili fossili, cibo) vengono sprecate e questo spreco a sua volta è causa di problemi ambientali. Una conversione graduale, ma il più rapida possibile, verso un’economia circolare è palesemente essenziale e urgente. In questo contesto l’accesso all’informazione e l’educazione a decifrarla diventano elementi cruciali e indispensabili, sfortunatamente non acquisibili istantaneamente. Il dibattito sul controllo della veridicità dell’informazione sui mezzi di comunicazione e ancor più sui social media è un punto critico, poiché tocca inevitabilmente le questioni di censura sulla libertà di espressione e diritto alla privacy.

Chi può arrogarsi il diritto (e la capacità) di definire cosa sia legittimo e comprovato? Chi controlla i controllori? Sarebbe preferibile affidarsi all’intelligenza artificiale e chi dovrebbe impostarne i parametri iniziali? Dove finisce il diritto di espressione individuale e inizia la salvaguardia del bene comune? Sono domande importanti con le quali si dibattono filosofi e sociologi da anni, e raramente si possono trovare risposte univoche. Resta il fatto che la situazione attuale è insostenibile e il danno causato dalla diffusione di cattiva informazione è enorme.

Si dovrebbe ovviamente partire dall’educazione, concepita in modo da dotare i giovani di strumenti adeguati alla critica e comprensione, alla formazione di opinioni fondate su conoscenza ed esperienza. Ma anche questo semplice concetto conduce in un roveto dal quale è difficile uscire senza ferite e per il quale troppi non sono adeguatamente equipaggiati. Il divario digitale in Italia ad esempio, in tutti i settori della vita del paese, è drammatico e un motivo al quale si può imputare in parte una diffusa mancanza di capacità critica della popolazione.

sporcarsi le mani

Quando nel 2014 l’allora primo ministro Renzi annunciò un programma per colmare questo divario, le dichiarazioni d’intenti erano sensate e di buon auspicio. Tristemente l’applicazione di quei principi è stata ampiamente disattesa. Non ci sono state politiche coerenti e coordinate, col risultato che quello che è stato convertito a sistemi digitali è spesso minato da carenze concettuali, mancanza di omogeneità, infrastrutture tecnologiche carenti, software obsoleto, incompatibilità di vario genere, design strutturale inadeguato e dilettantesco. I risultati sono purtroppo drammatici.

In queste ultime settimane ad esempio abbiamo assistito al tentativo frenetico di passare dall’insegnamento tradizionale in aula a quello a distanza su internet. Mentre molte delle università già da tempo si erano adeguate e attrezzate, le scuole elementari e medie si sono trovate completamente impreparate e, nella maggior parte dei casi, il risultato è stato caotico, con insegnanti ai quali veniva richiesto dall’oggi al domani di fornire le loro lezioni online senza mai aver ricevuto training adeguato, senza uno standard di software e metodologie pensati in modo coordinato. A questo si è aggiunto il problema che molti degli studenti non hanno un computer a casa, non hanno connessioni adeguate e genitori abituati a utilizzare questi sistemi.

È auspicabile che questa contingenza spinga più insegnanti e genitori a considerare quanto sia essenziale per l’educazione delle nuove generazioni fare un balzo per riportarsi al passo con i tempi. Questo purtroppo difficilmente può avvenire senza linee guida meticolosamente pensate ed elaborate a livello centrale, il che richiederebbe responsabili competenti e messe in opera coordinate e scevre da motivazioni politiche e ideologiche, che attualmente scarseggiano. Se però si vuole uscire dal pantano dobbiamo accettare che ci sporcheremo alquanto, ma una volta raggiunta l’altra sponda sarà evidente che ne valeva ampiamente la pena. Ora è forse il momento migliore, un’opportunità rara, storicamente i periodi di crisi profonda portano a periodi di rinascita e sviluppo. Non perdiamo quest’occasione.

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