3 Apr 2020

Un modello di produzione e distribuzione alimentare sostenibile e resiliente

Scritto da: Giordano Stella

Si può immaginare un sistema di produzione e distribuzione del cibo veramente sostenibile? L’Italia può essere resiliente e autosufficiente a livello alimentare? In questo articolo approfondiamo il tema della Sovranità Alimentare e proponiamo un modello di co-progettazione per raggiungerla a livello nazionale. Una rivoluzione economica, sociale ed ambientale è possibile e sempre più necessaria.

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LA QUESTIONE ALIMENTARE E I PARADOSSI MONDIALI
Viviamo in un mondo con una profonda disuguaglianza sociale ed economica e questo comporta gravi problemi di accessibilità ai diritti umani di base (acqua, cibo, vestiario, abitazione, cure mediche, servizi sociali, ecc.).

L’Oxfam nel suo Rapporto “Bene pubblico o ricchezza privata?” del 2019 afferma che oggi “la ricchezza è sempre più concentrata in poche mani: l’anno scorso soltanto 26 individui (contro i 43 dell’anno precedente) ne possedevano tanta quanto la metà più povera dell’umanità, ossia 3,8 miliardi di persone”. Sempre secondo l’Oxfam circa 3,4 miliardi di persone vivono con meno di 5,5$ al giorno e circa 789 milioni di persone si trovano in “povertà estrema”.

Se focalizziamo l’attenzione sulla questione alimentare, tema di cui mi occupo da qualche anno, ci troviamo di fronte ad una situazione veramente drammatica. Secondo la Fao, infatti, oggi nel mondo ci sono circa 820 milioni di persone (la maggior parte delle quali vivono in paesi in via di sviluppo) che vivono in condizione di sottonutrizione, mentre contemporaneamente più di 1 miliardo di persone consumano calorie in eccesso. Contemporaneamente oltre un terzo del cibo prodotto ogni anno per il consumo umano, cioè circa 1,3 miliardi di tonnellate, va perduto o sprecato. Quest’ultimo dato è particolarmente interessante se si considera che circa il 56% degli sprechi avviene nei paesi industrializzati, nonostante questi utilizzino tecniche agricole, di trasporto e di conservazione più efficienti.

In buona sostanza ad oggi produciamo abbastanza cibo per sfamare ampiamente tutta la popolazione mondiale ma il sistema non permette una giusta allocazione delle risorse alimentari. Oltre a ciò bisogna considerare che circa 795 milioni di persone non hanno accesso ad acqua potabile vicino a casa.

A questo va aggiunto l’impatto ambientale del sistema agroindustriale: emissioni di gas serra (l’agricoltura industriale contribuisce infatti per circa il 25-30% delle emissioni di gas serra), le emissioni dei trasporti necessari a spostare le derrate alimentari, la riduzione della biodiversità, il degrado del terreno, l’inquinamento delle falde acquifere ecc… Qualcosa nel modello di produzione e distribuzione alimentare decisamente non funziona. Che fare allora? È possibile immaginare un modello di produzione e distribuzione alimentare veramente sostenibile?

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VANTAGGI E LIMITI DELL’AUTOPRODUZIONE DEL CIBO
Come vi ho raccontato nel mio ultimo articolo su Italia Che Cambia, mi occupo pianificazione alimentare fin dalla mia tesi di laurea triennale. In un primo momento mi sono dedicato a sviluppare un modello per calcolare il terreno necessario all’autosufficienza alimentare di una comunità cercando di capire se questo potesse ridurre l’impronta ecologica alimentare (vedi articolo). Sebbene l’idea dell’autonomia alimentare avesse un gran fascino per me e le mie prospettive di vita e, sebbene ne avessi dimostrato l’importanza in termini di sostenibilità delle produzioni, con il passare del tempo ho sentito la necessità di provare a trovare delle risposte alla questione alimentare ed ambientale che non fossero di “nicchia”. In poche parole: poiché solo una piccolissima parte della popolazione può potenzialmente (risorse, tempo e volontà) autoprodursi il cibo, è necessario ristrutturare il sistema produttivo e distributivo in modo che sia ecologico ed equo. Questo è stato l’argomento del mio Dottorato di Ricerca, durante il quale ho sviluppato una proposta metodologica per realizzare Piani di Sovranità Alimentare Nazionale.

LA VIA CAMPESINA, UNA RETE DI CONTADINI CONTRO L’AGRIBUSINESS
Nei primi mesi del Dottorato, nell’approfondire la questione alimentare, mi sono imbattuto nelle pubblicazioni ed attività dell’Associazione “La Via Campesina”. Quest’incontro è stato fondamentale e mi ha permesso di avere un riferimento teorico attorno a cui costruire il mio lavoro.

La Via Campesina è un’associazione internazionale di contadini e piccoli e medi produttori agricoli che nasce con lo scopo di difendere l’agricoltura contadina dal sistema dell’agribusiness e dalle multinazionali dell’agroindustria poiché queste con la loro azione distruggono “le relazioni sociali e la natura”.

La Via Campesina ad oggi “comprende 182 organizzazioni locali e nazionali provenienti da 81 Paesi africani, asiatici, europei e americani. Complessivamente rappresenta circa 200 milioni di agricoltori. È un movimento autonomo, pluralista, multiculturale, politico nella sua richiesta di giustizia sociale pur essendo indipendente da qualsiasi partito politico, economico o altro tipo di affiliazione.” La Via Campesina promuove la “Sovranità Alimentare” come cornice valoriale-politico-strategia per affrontare la questione alimentare e perciò realizzare la Sicurezza Alimentare.

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LA VISIONE DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE
Semplificando molto possiamo riassumere la visione della “Sovranità Alimentare” in questi 4 punti¹:

sovranità: autodeterminazione dei popoli rispetto alle politiche agroalimentari. Ogni Paese ha il diritto di costruire una propria politica alimentare decidendo il grado della propria autonomia rispetto agli approvvigionamenti esterni. I portatori di interesse ed in particolare i produttori devono essere coinvolti nel processo di costruzione delle politiche.

resilienza dei territori: al fine di aumentare la resilienza territoriale, vanno promosse politiche che incentivino l’autonomia alimentare e la rilocalizzazione delle produzioni e degli scambi;

rispetto dell’ambiente e biodiversità: è necessario indirizzare i programmi e le politiche per favorire la diffusione dell’agroecologia, la quale, rispettando le leggi degli ecosistemi e le tradizioni culturali, aumenta biodiversità e resilienza;

difesa dei diritti dei lavoratori e in particolare delle lavoratrici.


UN MODELLO DI CO-PROGETTAZIONE DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE NAZIONALE
A partire da questi punti ho cercato di sviluppare una proposta metodologica per realizzare Piani di Sovranità Alimentare Nazionale partecipati. Prima di continuare però credo sia necessario fare delle precisazioni. Il modello che ho sviluppato è da intendersi come una primissima cornice teorica da cui partire per sviluppare strumenti amministrativi che possano favorire lo sviluppo progressivo di un sistema alimentare sostenibile. Negli strumenti realizzati e nella proposta che avanzo ci sono ancora moltissimi limiti sui quali in futuro sarà necessario lavorare e spazi di ricerca e sviluppo che devono essere indagati. In questo contesto per limiti di spazio riassumerò molto brevemente il lavoro, per chi volesse approfondire rimando all’allegato.

Il lavoro di dottorato è diviso in due parti: una parte tecnica e una di democrazia partecipativa. La parte tecnica è un sistema di supporto alle decisioni (SSD) composto di tre programmi informatici. Il primo, a partire da delle diete medie equilibrate, permette di calcolare per qualsiasi popolazione immessa in input il terreno necessario per l’autonomia alimentare in biologico. Il secondo per ognuna delle colture presenti nelle diete medie equilibrate determina il terreno a disposizione nel territorio analizzato (nel nostro caso Italia ed Umbria) e permette di realizzare delle mappe di fattibilità (suitability). L’ultimo programma a partire dagli output dei precedenti calcola l’indice di autosufficienza potenziale del territorio analizzato.

La parte di democrazia partecipativa consiste in un percorso in cui vengono sviluppati tavoli di coprogettazione finalizzati a realizzare dei Piani di Sovranità Alimentare su tre livelli (territoriale, regionale e nazionale). Gli output del SSD saranno alla base delle considerazioni per sviluppare i Piani di Sovranità Alimentare.

Se la coprogettazione della Sovranità Alimentare fosse sostenuta dalla Politica Agricola Comune (PAC), questo innescherebbe un progressivo riorientamento del sistema agroalimentare verso la rilocalizzazione delle produzioni, l’agroecologia e la sovranità dei territori.

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L’AUTONOMIA ALIMENTARE DELL’UMBRIA E DELL’ITALIA
Per finire nella mia tesi di dottorato ho applicato il SSD all’Italia e all’Umbria per testarne le potenzialità. I risultati sono molto interessanti, infatti, considerando gli attuali stili di vita alimentari italiani e considerando le tecniche colturali dell’agricoltura biologica, mentre l’Umbria può essere autonoma a livello alimentare, al 99,52% (non si possono produrre gli agrumi in un modo commercialmente vantaggioso) l’Italia ha un indice di autosufficienza alimentare (IAA) del 57,71%. Tale differenza è dovuta dalla densità degli abitanti e dall’estensione dei terreni agricoli in un territorio.

L’Umbria ha una disponibilità dei terreni agricoli per abitante 0,504 ha, l’Italia solo di 0,278 ha, se si considera che in Italia il consumo medio di terra per la produzione alimentare di 0,50 ha i conti sono presto fatti. Se tutti fossero onnivori l’IAA sarebbe del 58,7%, mentre per la dieta onnivora senza pesce l’IAA è del 54%, per la dieta vegetariana è del 59,6%, per quella vegana del 153,1%. Da questi dati emerge chiaramente che, come già avevo spiegato nell’ultimo articolo, se vogliamo aumentare la nostra resilienza alimentare, è opportuno riconsiderare i nostri stili di vita alimentare riducendo sensibilmente il consumo di latte, latticini e carne che sono in assoluto le produzioni più impattanti.

La proposta che vi ho appena presentato, come ho detto precedentemente, è solo un punto di partenza deve essere approfondita e messa in discussione.

L’obiettivo è di costruire modelli che possano in futuro essere alla base di politiche finalizzate alla costruzione di un sistema agroalimentare veramente sostenibile. Questo è stato il mio piccolo contributo. Tanto c’è ancora da fare, l’unica cosa da fare è continuare a lavorare.

  1. Per una conoscenza più approfondita vi rimando al sito de La Via Campesina https://viacampesina.org/en/ e alle dichiarazioni “The rigth to produce and Access to land. Food Sovereignty: A Future without Hunger”, “Food Sovereignty: a Right for All”, “Dichiarazione di Nyèlèini”.

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