24 Apr 2020

Giulio e Anna, due giovani italiani all’estero durante il coronavirus

Scritto da: Davide Artusi

Riportiamo le testimonianze di Giulio e Anna, due giovani italiani che per motivi universitari si sono trovati lontani da casa durante lo scoppio della pandemia e, dunque, della successiva quarantena. Una condizione comune e due scelte opposte: quella di tornare in Italia, da una parte, e quella di restare all'estero, dall'altra.

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Molti sono i giovani all’estero in questo periodo di quarantena. Giulio e Anna sono due di loro, che si sono trovati a trascorrere in un posto distante da casa quel ‘tempo mai chiesto’, citando un mio caro amico. Costretti a instaurare un costante rapporto con loro stessi, un continuo specchiarsi in quel riflesso nell’acqua, scurita dalle proprie paure, dalle proprie ansie, ma illuminata da quella scoperta del sé, da tempo lasciata in disparte.

Il loro è un racconto di luoghi lontani, Vienna e Sydney, due facce di una stessa medaglia, due volti di una quarantena identica in potenza ma diversa in atto. Al centro di queste vicende è ancora il covid-19, che getta scompiglio nelle vite, nelle scelte, nei progetti che credevamo già realtà, come quelli di tutti quei ragazzi sognatori, desiderosi di vivere un’avventura al di fuori dell’Italia, dove coltivare le proprie passioni e far fiorire i propri studi.

Vienna
Dalla finestra a Vienna durante la quarantena

«Mi sento un europeo in una capitale europea», così ha risposto Giulio alla mia domanda se si sentisse uno straniero in una terra straniera. Cittadino del mondo, cosmopolita all’anagrafe, Giulio Piperno, classe 1995, ‘romano de Roma e vicino di casa di Massimo Boldi’, come da lui stesso varie volte specificato, è un neolaureato in Neuroscienze presso la facoltà di Psicologia a Padova. Da dicembre si è trasferito a Vienna per vivere un’esperienza di tirocinio all’estero. Un periodo di 6 mesi, da spendere in laboratorio tra ricerca e sperimentazione, al termine del quale, si sarebbe dovuto spostare a Parigi per concludere l’anno fuori dall’Italia. Una tabella di marcia irrimediabilmente compromessa da una epidemia non preventivata.

«La vita è imprevedibile e l’unica cosa che possiamo fare è ricordarci di innalzare dighe quando il fiume è calmo per non soccombere quando arriverà la piena. Dobbiamo saperci reinventare». Ed è proprio questo quello che il nostro Giulio ha cercato di fare in questo periodo: reinventarsi. Insieme a dei suoi colleghi ricercatori dell’Università di Vienna sta conducendo uno studio telematico “via app da cellulare” con l’obiettivo di rispondere a questa domanda: “Quali sono le conseguenze psicologiche dell’emergenza Coronavirus e dell’isolamento prolungato?”. Così nel suo appartamento viennese si sta dando da fare a coordinare questa ricerca e a studiarne i dati. Cambia il luogo di lavoro ma non lo spirito.

«A Vienna la quarantena è presente, certo, come in quasi buona parte dei paesi del mondo, però sento che il problema qui sia stato preso leggermente sottogamba. A distanza di circa un mese dalla diffusione del nemico, la città sta già riaprendo in parte. Io rimarrò a casa, seguo ciò che razionalmente sento di dover fare, autolimito la mia libertà per un futuro più libero e meno oppresso, penso che questo sia il comportamento più corretto». Di lì a poco la nostra conversazione deve terminare perché Giulio sta ricevendo una chiamata da un gruppo di amici. Sempre indaffarato tra i molti progetti e le altrettante ‘conferenze’ con gli amici, Giulio ha trovato in questo momento fuori dal comune una sua routine, un nuovo equilibrio, riuscendo a uscire dall’isolamento attraverso rapporti telematici e grazie alla presenza nel suo alloggio di un coinquilino con cui scambiare qualche parola e spartirsi gli impegni domestici.

Sydney
Sydney

«Ero estasiata all’idea di iniziare questa nuova avventura. È vero, non posso negare la paura iniziale, quel blocco prima di partire che ti vuole frenare, sempre, in qualunque nuova sfida, però stavo per partire alla volta dell’Australia, un sogno che si avvera, mesi diversi, di scoperta». In questo modo Anna Mastropaolo, ventiseienne padovana e studentessa di Scienze economiche per l’ambiente e la cultura presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, aveva affrontato l’inizio di questa esperienza Erasmus. Da sempre sognatrice, più per nascita che per scelta, una Jack Sparrow dei giorni d’oggi alla costante ricerca della sua Perla Nera, cercava, come molti giovani, del tempo per scoprirsi e soprattutto per sperimentare tutto quello che la vita avrebbe potuto offrirle.

«Sono arrivata a Sydney a Febbraio. Sono riuscita a girarla nemmeno un mese, poi la quarantena, anche da noi, meno severa e proibitiva, però pur sempre presente. All’inizio uscivo. Si poteva, non era ancora vietata la libera circolazione. Le misure restrittive hanno preso piede a poco a poco. Da vari giorni ero ormai relegata nel mio piccolo appartamento, sola, a seguire qualche lezione telematica. Sarei dovuta rimanere in quella situazione per molto tempo ancora, forse per tutti i restanti mesi dell’Erasmus, dall’altro capo del mondo con un fuso orario di 10 ore più avanti».

Anna mi sta raccontando ciò da casa sua, a Padova. È tornata la mattina stessa in cui sto scrivendo quest’articolo. «Ho preso un aereo da Sydney. 25 ore è durato il volo. Poi 4 ore di scalo e, sbarcata in Italia, mi hanno controllato la temperatura. Infine altre 4 ore più o meno da Roma, dove sono scesa, fino a Padova, in auto. Mi è venuto a prendere mio fratello. Durante tutto il percorso in macchina non ci hanno mai fermati. Il viaggio della speranza!».

Come mai ha scelto di tornare in Italia? Anna si è sentita al posto giusto al momento sbagliato, vedendosi sottratta davanti agli occhi la sua tanto amata Perla Nera da un “pirata senza volto”. «Un terzo dei contagi era concentrato a Sydney, ma non era quello a preoccuparmi, a spingermi verso questa scelta, e nemmeno la solitudine. Era il veder svanire un sogno, un progetto, quell’idea che mi ero fatta di libertà, temporalmente circoscritta in pochi mesi ma di cui sentivo l’esigenza, un bisogno quasi primordiale. In più non avrei avuto più alcuna opportunità accademica/lavorativa rimanendo lì. A casa almeno sarei stata nella mia comfort zone, senza dover chiudere in 15 metri quadri le mie ansie». La ascolto senza commentare. Ciò che dice è sincero, sofferto. È un tempo, questo, che non risparmia nessuno, miete vite e sogni, acceca l’ottimismo e pone seri dubbi su quale sia il senso di ciò che sta accadendo, di ciò che stiamo, nolenti o volenti, vivendo.

«Non è stata una scelta facile, tuttora ci sto riflettendo e so già di dover passare parecchio tempo ripensandoci. Credo che chi decide di compiere una scelta del genere non debba essere giudicato, sapevo di rischiare col viaggio di ritorno, ero conscia dei rischi, di quello che avrei lasciato là, ma chi può giudicare uno stato d’animo?».

Chi può? Nessuno. Che sia Anna o Giulio o chiunque altro. Giovani e scelte. Difficili. Diverse. Opposte. Complesse è forse il termine più adatto, né giuste né sbagliate. Dove dobbiamo stare? Quale è il nostro posto nel mondo? Quale decisione dobbiamo prendere? È difficile non divagare, qui, a casa, di fronte a un computer, con mamma che prepara una spremuta e il babbo che cerca il film da guardare per questa sera. Ascoltiamo storie da un cellulare, da voci lontane. E sono queste storie che ci permettono di comprendere la costante, continua colorazione dell’umanità, il benessere e la paura, la diversità e l’uguaglianza. Tutti connessi, tutti uniti di fronte a scelte diverse in un mondo così terribilmente poliedrico. Grazie amici per la vostra testimonianza.

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