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Una delle regioni più colpite dall’esplosione del virus è il Piemonte, che ad oggi si sta giocando il secondo posto con l’Emilia Romagna per numero di contagi. Perché? Viene spontaneo chiedersi. In fondo il Piemonte vanta uno dei sistemi sanitari più rinomati in Italia, posizionandosi tra i primi quattro posti. Un punto di vista inedito ci viene offerto dall’ultimo servizio di Report sui problemi alla macchina organizzativa piemontese, mandato in onda il 20 aprile e realizzato da Emanuele Bellano con la collaborazione di Greta Orsi e Giuseppe Cogno. “Il pasticcio Piemontese” è il nome del reportage, che ci offre un’ampia panoramica su come il territorio sta affrontando la pandemia.
A partire da questi spunti è possibile analizzare le principali lacune e criticità quali l’esiguo numero di tamponi effettuati, le difficoltà riscontrate tra i medici di famiglia nella segnalazione dei casi, l’esplosione dei focolai nelle residenze per l’assistenza agli anziani o l’insufficiente monitoraggio dei contagi domestici. Tutte situazioni complesse nella loro gestione, dovute in gran parte alla difficoltà di far fronte a un’emergenza così improvvisa e inaspettata.
L’esiguo numero di tamponi effettuati
Come riportato nel servizio, nel complesso il numero di tamponi eseguiti in Piemonte sin dall’inizio è stato basso rispetto ad altre regioni. Una delle cause di questo esiguo numero è stata la presenza di due soli laboratori in grado di analizzare i tamponi per l’individuazione del coronavirus, ma portati a più di venti in queste ultime settimane con un enorme sforzo da parte della Regione. Ed è proprio l’assenza di un accurato monitoraggio attraverso i tamponi ad aver fatto sì che non sia stato possibile conoscere il numero dei contagiati e procedere al loro tempestivo isolamento.
In aggiunta, il decreto del 9 marzo sul coronavirus aveva istituito le Usca, Unità Speciali per la Continuità Assistenziale nonché team di due medici addestrati ed equipaggiati che in ogni distretto all’interno della regione avevano il compito di visitare il paziente a domicilio. Entro i dieci giorni previsti, però, in Piemonte ne sono state istituite solo 4/5 a fronte dei sessanta distretti. Sono venuti così a mancare dei fondamentali strumenti di controllo del territorio capaci di individuare e monitorare le persone contagiate.
Il problema delle mascherine del personale sanitario
Risalendo ai giorni di metà di marzo, quando l’epidemia stava vertiginosamente crescendo, uno dei problemi più grandi da affrontare è risultato l’approvvigionamento di adeguate mascherine al personale sanitario. L’inchiesta di Report mostra l’assessore alla Sanità Icardi, che, in questo frangente, ha annunciato ai giornali di aver raggiunto un accordo con la ditta Miroglio per produrre mascherine per infermieri e medici. La triste realtà però, è che queste mascherine non sono state certificate dall’ Istituto Superiore di Sanità, poiché avrebbero dovuto sottostare a un trattamento antibatterico e avere una linea sterile di produzione per essere utilizzate dagli operatori a contatto coi pazienti covid. Le mascherine prodotte sono state quindi utilizzate solamente per proteggere durante le attività quotidiane ma non per isolarsi dal virus. Considerata la mancanza di mascherine adeguate, quella della Miroglio sembrava una buona soluzione che purtroppo non si è potuta applicare.
Sempre a proposito degli equipaggiamenti, risulta che il Ministero della Salute avesse dato chiare disposizioni in merito all’utilizzo di mascherine respiratorie filtranti ffp2 (aventi una classe di protezione maggiore) da utilizzare in caso di sospetto o accertamento della malattia. Ma negli ospedali della regione queste mascherine non sono state sufficienti per cui si sono utilizzate quelle chirurgiche che non hanno permesso un adeguato isolamento dal virus, causando il contagio di medici e pazienti.
Le protezioni insufficienti e l’isolamento con buste di plastica
Sempre per quanto riguarda le protezioni, viene mostrato da Report come in alcuni casi sono mancate le adeguate forniture per il personale sanitario che ha dovuto ingegnarsi usando “metodi alternativi” come buste dell’immondizia per coprirsi le scarpe, scotch per chiudere i guanti e continuando ad utilizzare camici che lasciavano scoperta la parte inferiore degli arti. Queste sono le testimonianze di alcuni infermieri e medici che tutti i giorni salvano vite umane con mezzi di protezione insufficienti.
L’isolamento non rispettato negli ospedali
Un’altra criticità emersa e riportata nel servizio riguarda l’isolamento di alcune aree ospedaliere non attrezzate per evitare il contagio. Qui la zona del pronto soccorso dove sono stati ospitati malati Covid è contigua a locali dove si trovano gli infermieri, senza area di decontaminazione tra le due parti. Per ovviare a queste carenze i due ambienti sono stati separati da buste della spazzatura appoggiate alle fessure delle vetrate. Una soluzione purtroppo inadeguata per evitare la diffusione ormai incontrollata del virus. A tal proposito, fin dal 22 febbraio, a ridosso dei primi casi di coronavirus in Italia, il Ministero della Salute aveva pubblicato le linee guida per gli ospedali, raccomandando che i casi di Covid 19 fossero ospedalizzati in stanze sigillate e tali per cui l’aria all’interno non potesse uscire al di fuori.
Il SISP e i server intasati
Risulta che al sette aprile la provincia di Alessandria contasse 2000 contagiati, rappresentando il focolaio più acuto del Piemonte e derivato, come raccontato, da una festa in una sala da ballo che ha contagiato un gran numero di partecipanti. L’arrivo in contemporanea di questo enorme numero di contagiati in terapia intensiva poteva essere forse evitato attraverso un adeguato funzionamento del Sisp, il Sistema di Igiene Sanità Pubblica Regionale.
Il protocollo per il contenimento contagi prevede infatti che i potenziali pazienti positivi debbano essere registrati dal Sisp regionale, che fa capo alle Usl. Il problema è che molte delle tantissime segnalazioni di casi sospetti inviate dai medici (in tutta la regione) non sono state prese in carico e di conseguenza numerosi dei possibili contagiati segnalati dagli operatori non sono mai stati contattati e monitorati. A quanto risulta dall’indagine, queste informazioni non sono mai giunte probabilmente perché il server del sistema Sisp ha subito un blackout a causa dell’enorme quantità di segnalazioni inviate che hanno bloccato il sistema e che sono quindi andate perse. Attualmente, sulla questione delle email scomparse stanno indagando i NAS, su mandato della procura di Torino.
In risposta all’inchiesta di Report, la Regione Piemonte, come riportato in una nota stampa, ha affermato che l’inchiesta ha diverse inesattezze e che non è stata fornita una rappresentazione corretta della reale gestione dell’emergenza Coronavirus, poichè riporta delle ricostruzioni non fedeli alla realtà.
Quel che è certo è che la situazione che viviamo oggi in Piemonte è il risultato di una molteplicità di fattori che hanno bisogno di essere analizzati e compresi adeguatamente.
Per visualizzare il servizio è possibile accedere al seguente link.
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