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Novembre 2016. Asturie. Pioggia, freddo e vento.
Un gruppo anarchico mi ha invitato per un tour di presentazione del mio libro. Non hanno una lira, ma ci tengono che il messaggio del mio libro arrivi in quell’angolo di mondo. Un volo low-cost e un divano sfondato sono il mio benvenuto. Ma il gruppo mi accoglie con grandi favadas e litri di sidro. Versato dall’alto in un rito che si ripete da secoli.
Sono qui per presentare il mio ultimo libro: Migrantes. Il libro che forse più di tutti è il mio canto di amore per un continente dolce e disperato. L’America Latina. Un amore nato tanti anni fa. Un amore che, come tutti i grandi amori, è amore e odio. Passione e follia. Partenze e ritorni. Un amore che è nato, in primis, grazie a dei libri. Un autore, uno solo, più di tutti, mi ha fatto nascere questo amore incondizionato per l’intero continente. I suoi libri sono stati per me una guida attraverso il più magico dei continenti.
Ormai undici anni fa partii con un biglietto di sola andata per il Guatemala. Nello zaino pochi vestiti e quattro libri. Due erano suoi. Tornai a casa due anni dopo con un decreto di espulsione e un piccolo zaino. Dentro tre libri: uno era suo. Tornai nel continente più e più volte. E ogni volta almeno un suo libro era con me.
Gli anarchici asturiani hanno organizzato presentazioni in lungo e in largo per tutte le Asturie. Ogni presentazione è una festa di umanità e di sidro. Di libri se ne vendono pochi. Ma a chi importa? Qui c’è un’umanità che raramente ho incontrato altrove.
Una delle presentazioni è alla libreria indipendente El Bolsillo a Gijon. Mi accompagna Eduardo, il proprietario del divano sfondato. Arriviamo con il bus di linea. Raggiungiamo la libreria e ci prepariamo alla presentazione. Ci sono una decina di persone. Comincio a raccontare del mio viaggio e di quel fantastico continente che odio; ma che poi in fondo amo alla follia.
Proprio mentre parlo delle grandi contraddizioni del continente sudamericano entra un altro avventore. Lo osservo mentre, in fondo alla stanza, si appoggia alla colonna. Un uomo di mezza età, capelli brizzolati e un bel pizzetto. Jeans e camicia; sopra un impermeabile: siamo nelle Asturie a novembre. È lui. Non ho dubbi, è lui. Colui che è stato la mia guida in lungo e in largo per l’America Latina.
Vorrei interrompere tutto e correre ad abbracciarlo. Vorrei mandare tutti a quel paese e andare a bere sidro con lui. Vorrei dirgli che se ho vissuto così intensamente l’America Latina e se ho scritto Migrantes è grazie a lui e ai suoi libri. Vorrei fare così tante cose. Così tante che mi blocco.
Lo guardo, lo fisso. Ma continuo nella mia presentazione come se nulla fosse. Balbetto un po’, mi sudano le mani; ma, a parte quello, vado avanti. Continuo a parlare di Migrantes ma la mia mente è solo ed esclusivamente concentrata su quando la presentazione finirà e potrò parlare con lui. Ma dopo un po’, così come era arrivato, se ne andò. La presentazione finì e io non lo incontrai mai.
Quell’uomo era Luis Sepùlveda.
Oggi Luis Sepùlveda è morto.
Se lo è portato via il COVID19. Non ci riuscì Pinochet. Ci è riuscito il virus.
Io mi sento come se avessi perso un amico intimo, un parente. Mi sento come se un pezzo di me se ne fosse partito per sempre.
Il mondo, oggi, è più vuoto.
Buen viaje Maestro!
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