Violenza domestica, troppo lavoro e diritti negati: le donne al tempo del coronavirus
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In questi giorni, più che mai, la casa ci viene presentata come il posto sicuro per definizione. È restando a casa che possiamo proteggere noi stessi, i nostri cari e la comunità alla quale apparteniamo, magari rallentando e dedicandoci alla famiglia – per chi fosse in famiglia – alla lettura e a quant’altro. La casa, tuttavia, è anche lo spazio privato in si vivono i rapporti che esprimono allo stesso tempo la massima intimità e la forma più profonda di violenza strutturale. È qui, per esempio, che emergono in tutta la loro forza le asimmetrie in termini di autonomia e potere fra uomo e donna.
VIOLENZA DOMESTICA
Una donna su tre, nel mondo, fa esperienza nel corso della propria vita di violenza fisica e sessuale, perlopiù da parte del proprio partner. Questo, come riporta l’OMS, rende la violenza domestica la forma più diffusa e meno segnalata di infrazione dei diritti umani.
Durante i conflitti e le emergenze comunitarie, tipicamente, la violenza di genere aumenta, proprio mentre tutta l’attenzione dei media e della politica è concentrata sull’urgenza di quanto accade – in questo caso l’epidemia e la crisi della sanità pubblica.
Per coloro che vivono già una vita domestica tesa, le misure di contenimento che impongono una prolungata convivenza con uomini tendenti alla violenza esasperano la situazione, complice anche l’incertezza e l’instabilità economica e nel complesso rispetto al futuro.
Teresa Bruno, presidente del centro antiviolenza Artemisia di Firenze ci ha spiegato: «Sono passate poche settimane dalla limitazione dei contatti fra le persone. Noi abbiamo avuto una leggera flessione all’inizio e ora stanno riprendendo le richieste di aiuto. Abbiamo mantenuto i servizi tenendo delle misure di protezione rispetto al virus, per cui i monitoraggi dei percorsi in atto delle donne, dei bambini e delle bambine che avevamo in carico li stiamo continuando con vari sistemi – dalle telefonate a Skype. Il centralino continua a funzionare e le nuove richieste di aiuto possono essere accolte. Si cerca di fare tutto e di dare tutte le risposte che davamo prima tenendo conto delle limitazioni che abbiamo».
Dunque i centri antiviolenza e la tutela delle donne restano, adeguandosi alle nuove sfide. Le donne, in caso di difficoltà, possono rivolgersi al 1522 e consultare lo stato dei centri antiviolenza D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza.
Non mancano poi iniziative dal basso. Ne è un esempio la Casa delle Donne Lucha y Siesta, a Roma, sempre reperibile al numero 3291221342 e all’indirizzo nonseisola.lucha@gmail.com che, per fornire una maggior tutela alle donne che non hanno modo di telefonare ha attivato anche un canale diretto via chat @lucha.ysiesta attraverso l’account Facebook.
E a sostegno delle donne vittime di violenza durante l’emergenza Covid19 è stata lanciata la campagna “Libera puoi”, promossa dal Dipartimento per le Pari opportunità con il contributo di diversi artisti.
DIRITTI: L’ABORTO AI TEMPI DEL CORONAVIRUS
In Italia 7 medici su 10 sono obiettori di coscienza. C’è inoltre il sommerso, il non detto, dei farmacisti obiettori che si rifiutano di vendere la pillola del giorno dopo, contraccettivo di emergenza al quale, per legge, dovrebbe essere garantito l’accesso. A fronte dell’emergenza sanitaria il già fragile sistema che garantiva il diritto all’interruzione di gravidanza rischia, com’era forse prevedibile, di collassare.
Obiezione Respinta, il progetto di mappatura dell’obiezione di coscienza in Italia, nato in seno a Non Una di Meno, è disponibile a fornire informazioni al numero 3319634889, attivo 24h, e ha recentemente aperto il canale telegram SOS Aborto _ COVID-19 con aggiornamenti quotidiani sulle strutture ospedaliere che ancora performano l’operazione. A questo si aggiunge l’iniziativa di alcune psicologhe di Obiezione Respinta che si sono offerte di fornire, qualora fosse necessario, un servizio di ascolto e supporto psicologico post-aborto, al quale è possibile accedere telefonando al numero sopraindicato.
LAVORO, LAVORO, LAVORO
Se già in condizioni di normalità le donne italiane dedicano in media, ogni giorno, cinque ore di lavoro non retribuito ad attività domestiche e di cura (a fronte dell’ora e 47 minuti degli uomini), di questi tempi le responsabilità assunte dalle donne sembrano destinate ad aumentare. Gli spazi personali si comprimono, mentre il tempo di lavoro, sia esso smart o di cura, si allarga.
Proprio per documentare e raccontare il rapporto fra donne e lavoro ai tempi del Coronavirus è nato “Tutte a casa”, progetto di documentario partecipato che aspira a diventare un diario collettivo nel quale narrare che cosa significa questo periodo per chi è costretta ad andare a lavorare fuori casa, per tutte le lavoratrici atipiche, autonome, per chi lavora in nero e per chi può lavorare da casa e cerca di dare nuovi significati al tempo eventualmente ritrovato.
Le domande a cui rispondere sono tante. Come, ad esempio: “Avevamo dei soldi da parte per poter far fronte alle emergenze? Avevamo un piano B o ce lo stiamo creando in questi giorni? Ci hanno licenziate, messe in stand by? Come ci fa sentire non avere più il lavoro o il progetto a cui ci stavamo dedicando? Come sono cambiate le nostre abitudini? Abbiamo scoperto nuove passioni? Sono nate nuove amicizie? Quali sono le paure, i pensieri, i desideri quando tutto si ferma? Come impieghiamo questo tempo?”.
Le autrici del progetto chiedono di inviare dei video-diari che documentino il trascorrere dei giorni, gli spazi e le attività quotidiane. Per saperne di più basta consultare la pagina facebook Tutte a casa – Donne, lavoro, relazioni al tempo del Covid-19 oppure scrivere a tutteacasa@gmail.com.
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