Siamo insieme. Una riflessione sul significato di lontananza e vicinanza
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“On est ensemble”. È da qualche giorno che trillano nella testa come onde basse queste poche sillabe di semplice conforto. Hanno il suono di un ciuffo d’acqua che torna a riva dopo essersene allontanato per il tempo della risacca, il sapore di un mantra lento che nei momenti sospesi tra le mura di casa diventa balsamo per i pensieri. “Siamo insieme”.
Ripenso agli occhi di Flavie, tranquilli, profondi, fare capolino tra le sfumature rosse della terra di Kanyaka. In quello sguardo trovo la consapevolezza placida di non avere distanze di fronte, di essere noi, loro, tutti, attorcigliati ad uno stesso momento stiracchiato nello spazio. Guardandola sbracciarsi capisco che la lontananza è una sensazione artificiale, la conseguenza di uno sguardo incapace di vedere più in là dell’orizzonte. In realtà “siamo tutti insieme”.
Ricordo la prima volta in cui sono stato con AMKA nella zona di Mabaya. La vita nei villaggi sembrava un ribollio di movimenti scalcinati ed allo stesso tempo sincronizzati, una sinfonia di mani e piedi che parevano muoversi all’unisono. Ora mi basta chiudere gli occhi per rivederne gli attimi. Le donne che battono il palo di legno grezzo nel mortaio seguendo insieme il ritmo deciso del grano trasformato in farina. I bambini coi piedi nudi che rincorrono come uno sciame d’api, all’unisono, la capriola di polvere lasciata dalla jeep. I vecchini sorridenti seduti davanti alle case di fango che alzano la mano per salutare seguendo la linea di una ola immaginaria.
Ricordo di aver avuto l’impressione che gli occhi, i movimenti, i suoni fossero uniti da un filo invisibile e vivo. Un accordo di corpi che dava voce al sentimento di comunità. Ancor prima di ascoltarla pronunciata, ho percepito il significato della parola “mbele”, in swahili “insieme”. Più di un avverbio, più di un dato di fatto: in Congo è l’essenza aggrappata al cuore delle cose, un istinto irresistibile ad avvicinarsi l’un l’altro e farsi unico gesto collettivo.
In questi giorni, in Italia, sembra invece che la distanza sia diventata la misura in grado di definirci, il segno di una necessità improrogabile. Siamo chiusi in casa, lavoriamo, pensiamo, e scopriamo il peso dei metri che ci separano dall’altro. La marea che ha sconvolto le nostre routine ci ha portati a scalfire certezze che parevano sedimentate fino a chiederci: cosa ci rende insieme?
La risposta la trovo nelle pupille di Flavie. Bianche, molli, aprono le porte ad una prospettiva che l’inaspettato silenzio delle nostre città ci lascia intuire ma non sappiamo ancora afferrare. Non è la distanza materiale ma il sentimento di empatia a farci vicini; la sensazione di essere capriole di fumo provenienti da un solo tizzone caldo lascia scomparire i chilometri che separano due mondi, paralleli ed eppure sovrapposti.
Penso che in fondo è questo il senso del lavoro di AMKA in Congo e Guatemala, è questo il senso del lavoro che continuiamo a portare avanti con impegno nonostante fuori dalla camera si respiri il silenzio di un tempo sospeso. Esiste un filo invisibile che collega le nostre azioni a quelle delle mamme, dei nonni, dei bambini a milioni di chilometri di distanza. Quello che gli occhi non possono vedere esce fuori chiaro dalle mani incallite di Flavie, dal sorriso largo di Kisimba, dalle parole pesate di Papa Luanda.
Noi, loro, tutti, seguiamo uno stesso incomprensibile ritmo. La pace surreale di questi giorni ci ha spogliato dell’eco delle nostre scarpe e ha creato la cassa di risonanza perfetta per ascoltarsi nudi. Essere in Congo per aiutare nei villaggi è il tam di un tamburo che restituisce lo stesso suono e sulle labbra di Flavie diventa “On est ensemble”.
Ripensandoci ancora, capisco che con AMKA (1), in fondo, non vogliamo altro che dare un senso di vita ad ogni lettera della parola “mbele”. Le pupille larghe di Flavie ci hanno ricordato il perché.
- Al lavoro di Guglielmo per AMKA Onlus è abbinata la campagna “Apri gli occhi – in Congo con Ghiom” che ha lo scopo di raccogliere fondi da destinare ai progetti nella zona di Mabaya nei settori educazione, tutela della salute, lotta alla malnutrizione e sviluppo delle attività produttive.
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