27 Mar 2020

Caffè sospeso online, uno spazio di condivisione per uscire dall’isolamento

Scritto da: Alessandra Profilio

Dall'isolamento all'incontro in un click, per ritrovarsi in un salotto virtuale dove condividere paure e speranze, ascoltare visioni e possibilità, lasciar fluire racconti, domande, pensieri, emozioni. Ma anche musica e disegni. Una rete di facilitatrici e facilitatori ha messo a disposizione le proprie competenze e dato vita al Caffè sospeso online.

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Uno  spazio virtuale dove chi desidera può accedere e, semplicemente, raccontare e ascoltare empaticamente gli altri. Poche semplicissime regole e uno scambio, alla pari, con una facilitatrice o facilitatore che cerca di creare uno spazio sicuro in cui farlo. Roberta Radich e Pierre Houben ci presentano un’iniziativa avviata pochi giorni fa e che ha già riscosso un grandissimo successo: il Caffè Sospeso Online.

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Come funziona il Caffè sospeso online?
Si tratta di un collegamento a Zoom, dove un facilitatore  accoglie le persone e le introduce in uno spazio aperto in quel momento. Contemporaneamente quindi ci sono possono essere più gruppi, di 6-7 persone, che dialogano nei vari spazi del Caffè. Il numero di questi dipende dai facilitatori disponibili e dai partecipanti per ogni serata.

Come nasce?
La genesi del “Caffè” è interessante, per chi, come noi, vede nel lavoro collettivo una delle maggiori risorse per affrontare sia i periodi di crisi che i momenti dove si può creare con maggiore tranquillità. L’idea nasce da una conversazione tra noi, Roberta e Pierre.

Io, Roberta portavo il desiderio di rendermi utile in questo periodo attraverso il sostegno psicologico e psicoterapeutico, specifico della mia professionalità. Ma non ero e non sono convinta che solo questo strumento sia d’aiuto, in momenti come questo dove è coinvolta una dimensione sociale e collettiva. Ovviamente la psicoterapia e la consulenza psicologica sono necessarie e utili, ma, ora, andrebbero accostate a luoghi di incontro, per il momento necessariamente virtuali, dove le persone possano elaborare un trauma condiviso: un luogo più “leggero” dove trovare ascolto, solidarietà e, soprattutto, uno spazio dove far emergere un senso condiviso rispetto a quanto ci sta accadendo.

Una delle definizioni di evento traumatico, che più riscontro come reale e utile nel mio lavoro, è che risulta traumatico ciò che subiamo senza riuscire a dare un senso a ciò che ci sta avvenendo. Ecco, questo: solo dalle reciproche narrazioni e dal dialogo può nascere questo senso e una visione condivisa del presente e del possibile futuro. Da queste considerazioni è sorta necessariamente l’idea che la facilitazione risulti essere lo strumento più appropriato da mettere a disposizione delle persone ora confinate nelle proprie case, ciascuno/a e tutte/i con emozioni, vissuti, pensieri, situazioni, visioni, necessità, ecc. uguali e diverse, ma tutte/i con la necessità di elaborare un senso all’interno dello stesso evento sanitario, sociale, economico, politico.  

Io, Pierre, già nei primissimi giorni ho iniziato naturalmente e spinto dal bisogno, con colleghi e amici delle conversazioni su quello che ci stava succedendo collettivamente; questo mi permetteva di elaborare e trasformare l’impatto delle restrizioni che mano a mano venivano imposte e gestire emotivamente l’impatto importante sul mio lavoro, mentre quasi tutto saltava per aria. Ho notato che la cosa mi aiutava a capire meglio cosa stavo vivendo, cosa vivevano gli altri offrendomi un’immagine molto più ampia della mia personale percezione e, delle piccole preziose illuminazioni quando coglievo dagli altri aspetti che portavano chiarezza dove non l’avevo in me. Soprattutto mi aiutava e ancora mi aiuta a stare nel presente, nel qui e ora ad osservare e raccogliere informazioni su come posso reinventarmi dopo che questo periodo sarà passato.

Una sera al telefono con Roberta è partita l’idea, abbiamo pensato che questa cosa si poteva proporre online coinvolgendo la ricca rete di colleghi e amici ricca anche di competenze. La mattina dopo con Silvana Rigobon e Massimo Leoncini siamo finiti a parlare di quello con cui avevo parlato la sera prima con Roberta e allora ho sentito che l’idea aveva forza, ho invitato Roberta ad unirsi, abbiamo invitato altri e abbiamo cominciato a metterla in piedi assieme.

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Che riscontro avete avuto dalle facilitatrici ed i facilitatori che avete coinvolto?
Le facilitatrici e i facilitatori con cui noi eravamo in contatto hanno risposto con grande entusiasmo e, immediatamente, è diventato un lavoro collettivo, dove ciascuno ha messo a disposizione il proprio tempo e le proprie competenze specifiche di facilitazione ma anche tecniche: si è dato vita allo spazio su Zoom, una landing page, facebook, instagram ed è iniziata la diffusione. Il 10 marzo è nata l’idea e sabato 21 marzo abbiamo aperto il “Caffè sospeso on line: dall’isolamento all’incontro in un click”.

In risposta a quali esigenze e bisogni di questo momento?
L’abbiamo già accennato poco sopra: l’essere umano è resiliente quando dà senso alla sua fatica, alla paura, alla sofferenza, non lo è per niente se vive sulla sua pelle difficoltà anche piccole ma che non si inseriscono nella rete di senso e di pre-visione rispetto alla sua vita e alla sua realtà. Per tutti noi il Coronavirus ha significato una rottura nella nostra narrazione del futuro e, perché no, anche della nostra identità.

Il bisogno più ovvio è quello di condivisione e rassicurazione rispetto al virus che fa paura e, in alcuni casi terrore. Paura amplificata dai mass media e dai social che ha bisogno di trovare un argine nelle narrazioni condivise con persone in carne e ossa, seppur attraverso uno schermo. Persone che però siano alla pari, non da parte “esperti” che, per ruolo, necessariamente, devono gestire l’ansia e la paura.

Inoltre le persone vivono sentimenti ambivalenti, e l’ambivalenza, in sé, porta un senso di disagio, perché tendiamo a ricercare coerenza nei nostri vissuti. Da una parte si hanno emozioni di incertezza, insicurezza, paura, angoscia, ma questi possono coesistere con vissuti positivi rispetto alla rottura delle routine o di schemi sociali sentiti come ingabbianti oppure come inedite possibilità di ricostruzione di un panorama sociale che si viveva come negativo, oppressivo, ingiusto, insalubre, pericoloso, ecc. Entrambi i versanti si manifestano con gradi diversi di intensità e, ovviamente, differenti a seconda delle vite e delle esperienze personali.

Il bisogno più profondo è il bisogno di speranza e di visioni positive del futuro, senza negare le difficoltà presenti. E torniamo al necessità di dare senso…

Quando siete partiti e come sono andati i primi incontri?
I primi incontri sono stati molto positivi, dobbiamo ancora crescere e rodare, ma l’incredibile collaborazione tra la rete di facilitatori coinvolti ha permesso di partire con una organizzazione impensabile fino alla settimana prima.

Le persone arrivano, un po’ titubanti, ma il contesto amichevole “da caffè” le mette a proprio agio e presto si aprono i rubinetti della condivisione e dell’ascolto reciproco, dove le facilitatrici e i facilitatori, semplicemente rendono più fluido il naturale processo di dialogo.

I partecipanti finora hanno dato feedback positivi, alcune parole chiave dei loro feedback sono stati: “gentilezza”, “ascolto profondo”, “possibilità nuove”, “leggera profondità”, “ho visualizzato ciò che cerco”, “ho ancora paura ma la so accogliere”, “sento che dobbiamo promuovere un bene più grande, collettivo, del nostro bene singolo”, “coraggio di esprimere ciò che vivo”, “incontro che fa star bene”… e molte altre. Qualcuno ha riportato la difficoltà ad interagire con degli estranei, cosa naturale. Ma lo strumento permette a ciascuno di condividere solo ciò che si sente di condividere. A volte anche solo un brano di musica, come è successo alla prima apertura del caffè.

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Chi sono le figure coinvolte?
Ci definiamo facilitatori e facilitatrici. Professionalmente ci sono educatori, psicologi, facilitatori di professione, formatori, e altre figure che lavorano a vari livelli con i gruppi e le organizzazioni. Tutti  e tutte animati da un duplice desiderio: offrire generosamente uno spazio aperto a tutti coloro che ne sentono il bisogno ma, anche quello di trovare un luogo di collaborazione e sostegno nella rete di facilitatori: anche noi abbiamo bisogno di questo in un momento come questo! E questa collaborazione ci ripaga perché porta a rafforzare la conoscenza tra noi, fare un’esperienza che ciascuno potrà portare nel suo mondo, ci permette di apprendere l’uno dall’altro e, forse, sarà possibile dar vita in futuro a collaborazioni.

A chi si rivolge e di cosa si parlerà in questo salotto virtuale?
Si rivolge a tutti coloro desiderino accomodarsi al suo interno, non c’è certo selezione, e gli argomenti di conversazione sono dettati dai partecipanti stessi. Gli stimoli dei facilitatori sono semplici e diretti ai vissuti, poi le storie personali di ciascuno emergono e si crea un dialogo empatico e “curioso”, nel senso più positivo del termine.

In che senso quello da voi proposto vuole essere “uno spazio sicuro”?
Ci sono alcuni accordi di base che vengono proposti ai partecipanti all’inizio, semplici ma importanti, e le facilitatrici e i facilitatori si fanno garanti di questo:

  • Impegniamoci per fare in modo che questo diventi uno spazio sicuro, in cui tutto ciò che viene detto resta tra chi ascolta e chi parla.
  • Mentre qualcuno sta parlando, evitiamo i commenti e il giudizio: lasciamo che chi parla si esprima interamente fino a passare la parola.
  • Non interrompiamo e non cerchiamo di dare risposte, lasciamo che sia chi parla a farlo mentre prende consapevolezza di ciò che condivide.
  • Creiamo uno spazio in cui ognuno può sentirsi libero di esprimere le proprie riflessioni, i timori, le emozioni, i pensieri, i sentimenti: la propria forza e la vulnerabilità… insieme.
  • L’inizio è dalle 17 in poi e si chiude alle 19: se possibile, entrate all’inizio, in modo da partecipare al check in. Se entrate a round già iniziato, va bene lo stesso, fatelo in silenzio prendendovi il tempo per introdurvi.
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Come funziona?
È molto semplice: basta collegarsi attraverso un link dedicato a Zoom e si entra direttamente nello spazio di accoglienza del Caffè, dove un facilitatore riceve le persone e le introduce in uno dei cerchi di parola disponibili. Ogni gruppo è composto da 6-7 persone e, in ogni spazio, fluiscono racconti, domande, pensieri, emozioni. Ma non solo parole, a volte anche musica e disegni. 

Paura, solitudine, ansia, timore del giudizio, insicurezza… Che ruolo può avere la facilitazione nell’affrontare tutti gli “effetti collaterali” del coronavirus?
La facilitazione e il ruolo del facilitatore sono relativamente recenti, solo negli ultimi anni sta crescendo la consapevolezza che le persone, i gruppi umani e le organizzazioni crescono molto di più in capacità e creatività se aiutate da un “catalizzatore” delle energie piuttosto che da un “esperto” che cala dall’alto il suo sapere. E qui, come spiegavamo prima, è particolarmente importante dar modo alle persone di creare tra loro un senso di solidarietà, sostegno, affetto, calore, unione. Per superare questo periodo e sentirsi più uniti al mondo quando dovremo ricostruire. Assieme.

Cosa dicono i facilitatori e le facilitatrici del “Caffè sospeso on line”?
Orietta: È un’occasione per conoscere persone, per tenere viva la possibilità di “uscire da me”, visto che non posso uscire da casa!! Nell’incontro con gli altri ri-scopro quanto ci accomuna, come esseri umani, e imparo da ciò che ci differenzia.

Massimo L. : É uno spazio di condivisione che non mi chiede di sapere cosa e perché condivido. Pier Acharia: Caffè Sospeso è come ritrovarsi insieme su una zattera in mezzo al mare. Abbiamo con noi un baule in cui conserviamo i doni del mondo, insieme ai sogni, alle speranze e alle paure di quello che li aspetta al di là del mare.  Lì ci possiamo abbracciare stretti. (Ispirato alla zattera di  Lucia Salemi).

Giulia: Il caffè sospeso per me è la continua sorpresa che mi regala lo scambio con l’Altro da me.. uguale e diverso e io uguale e diversa in continua trasformazione.. il caffè sospeso e’ tante voci e una musica unica.. il caffè sospeso e’ terreno di esplorazione, nuova possibilità.

Massimo S. :Per me il caffè sospeso è uno spazio sicuro, come quando ci si ritrova insieme intorno al fuoco a raccontarsi le storie, mentre fuori senti la bufera e i rombi del temporale.

Alessandra S. : Per me il caffè sospeso è uscire quando non si può, vedere amici quando non si può, parlare di cose profonde con leggerezza con sconosciuti quando non puoi neanche pensare di avvicinarti agli altri, conosciuti e men che mai sconosciuti, e’ scoprire la bellezza di parole gesti ed emozioni, che ti mancano proprio quando ne hai più bisogno. È un grande abbraccio senza bisogno di usare le braccia.

Melania: Per me Caffè Sospeso è un’opportunità. Di incontro, condivisione e ascolto. Perché credo che, se ci sarà un cambiamento dopo il periodo di quarantena, si baserà su questi elementi, tanto nuovi quanto antichi.

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