19 Feb 2020

Figli, la responsabilità quotidiana di restare insieme

Scritto da: Matteo Ficara

Come cambia una relazione quando si diventa genitori? Come affrontare le sfide della quotidianità familiare e lavorativa senza soccombere? Perché scegliere di restare quando si sente l'impulso di scappare? Questi i temi al centro del film “Figli”, una riflessione e rappresentazione della famiglia, dell'umanità intera e della nostra responsabilità di restare uniti.

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Il trend demografico non cambia da dieci anni e le previsioni sono che non cambierà per altri dieci: aumenterà il numero di anziani, diminuirà la fertilità. Probabilmente anche per la questione “figli”.

“Figli” è anche il titolo dell’ultimo film di Mattia Torre (scenografia) e Giuseppe Bonito (regia), che si impegnano nel raccontare parte della complessa realtà della famiglia. La rappresentazione narra in particolar modo dell’Italia e dei problemi che si possono incontrare nel Bel Paese, ma nulla vieta di estenderla a parte del mondo occidentale.

La commedia ha un giusto ritmo che, aiutato dalla divisione in brevi capitoletti e da pezzi “tragicomici”, nell’insieme ti permette di immedesimarti e riflettere. Le scelte di stile scandiscono bene una narrazione simpatica, perfetta per portarti ad esplorare o rivivere eventi di vita familiare che possono capitare a chiunque, come: un nuovo arrivo, il bioritmo che cambia, la relazionalità messa alla prova, il rapporto con la primogenita all’arrivo del secondo figlio, i difficili incastri tra lavoro, spazio personale e responsabilità.

Ti trovi ad arrivare alla fine impersonandoti più volte da una parte o dall’altra, in quei “Tu non mi vedi!”, “Non mi aiuti, faccio tutto io!” e “Andrà tutto bene”, che vicendevolmente si tirano e si rispondono Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi, nei panni dei due genitori. Nel vedere la pellicola sei un po’ padre, un po’ madre, un po’ figlio e non sai mai dire con certezza chi sia “nel giusto”. E forse questo è il messaggio più importante e più bello, il più antico, ma quello che non si finisce mai di raccomandare, che arriva dal film: siamo diversi e non c’è “una sola ragione”.

In quella quotidianità amorevole che viene ad instaurarsi ad un certo punto in una relazione (ad esempio dopo un po’ che si vive insieme o dopo i primi anni di vita di un figlio), ci si trova con una novità che ricombina il tutto e ci porta fuori dagli schemi, modificando le regole del gioco e della quotidianità. Si esce dalla “zona di comfort”. È in questo modo che crolla il sistema famiglia, spesso tenuto insieme su equilibri precari (e non solo per il lavoro e l’aspetto economico, ma anche affettivo).

Figli di Matia Torre
Foto tratta da Wikipedia. Utente: Tiscordi – trailer ufficiale, Copyrighted

Il film è la cronistoria di un cambiamento, di un evento irrinunciabile e meraviglioso, ma allo stesso tempo impegnativo oltre il possibile: “figli”, qualcosa che è sempre oltre ogni aspettativa e progetto, nel bello e a volte anche nel brutto. E così, dall’oasi felice della vita “prima”, “dopo” tutto diventa una sfida: la notte con i pianti, il capirsi con il partner, gli impegni di lavoro, il “chi fa cosa”, le cene fuori, gli interessi che cambiano e anche compleanni e feste diventano difficoltà insormontabili.

Che fare, allora? “Figli” è, allo stesso tempo, questa domanda e la sua risposta. È una tesi a favore della famiglia, o meglio, di quelli che “decidono di restare famiglia”, che riescono a dare concretezza a quel “Andrà tutto bene”, che viene ripetuto mille volte, con tutti i volti possibili: convinto, certo, dubbioso, speranzoso, mentito, sincero.

Tutto il film ti mette alla prova: è pervaso dai baratri esistenziali personali, di coppia e di famiglia (anche se le pochissime scene sulla vita della figlia primogenita ci fanno capire che è dedicato ai genitori), che vengono portati all’estremo, fino al disperato desiderio di “farla finita”: lasciare il lavoro, lasciare il partner e rifarsi una vita, lasciare i figli o, addirittura, lasciare la vita (e in questi momenti di pathos il film gioca bene le sua carta tragicomica). Eppure poi si torna sui propri passi e anche allo scenario peggiore la risposta diventa: “Andrà tutto bene. Resto”.

Quegli apici di difficoltà ci permettono di proiettarci in avanti, nel desiderio di esserci ancora, nella progettualità e nell’impegno, con l’intima consapevolezza che – insieme, restando – le cose, tutte le cose, si potranno affrontare e superare. Sono momenti in cui cerchi uno spiraglio e lo trovi in uno spazio che è sia indietro, sia avanti: nasce dal ricordare il bello di quello che c’è e che si è costruito insieme, con impegno, fatica ed amore; e nel decidere di volerlo ricreare anche per il futuro.

La riflessione sul “restare”, sulla responsabilità personale, sulle scelte che prendiamo ogni giorno – soprattutto nei momenti di difficoltà – per costruire il futuro, può essere estesa anche oltre allo schema della famiglia: non riguarda solo genitori e figli, ma anche ogni individuo, una coppia con le sue difficoltà di relazione, una famiglia alle prese con un cambio di vita, una società che si affanna dietro il “da farsi” e perde il motivo di quello che fa.

Dietro ad ogni sipario c’è una vita spesso incompresa, inascoltata – “Tu non mi vedi!” – di persone che si sentono invisibili agli occhi di altri e che vorrebbero un aiuto, perché si sentono schiacciate dal peso del mondo e dalla sua velocità pressante: “Non mi aiuti, faccio tutto io!”.

“Figli” riguarda tutti coloro che sono “figli” e quindi ognuno di noi: chi vive la difficoltà della relazione umana, chi vorrebbe gridare la sua sofferenza, chi non trova il proprio posto o modo di stare al mondo, chi si sente solo e invisibile, chi prova a fare del suo meglio ma gli mancano le forze, chi desidererebbe soltanto un po’ di ascolto ed un abbraccio.

Figli è il nome che si potrebbe dare all’umanità intera, alla specie, perché ci ricorda il valore della vita, delle scelte di oggi per il futuro. “Figli” è ricordarci che “Andrà tutto bene” se staremo insieme, facendo rete, facendo umanità, stringendoci e aiutandoci, mettendo i passi uno dopo l’altro, nella direzione del futuro. È un richiamo a prenderci la responsabilità di re-stare (insieme).

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