Il clima è già cambiato. Torino tra le città più colpite dell’ultimo decennio
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Torino - Il clima è già cambiato e lo dimostrano gli eventi meteorologici estremi che, con frequenza sempre maggiore, minacciano in particolar modo le città, perché è lì che vive la maggior parte della popolazione e perché episodi di piogge, trombe d’aria e ondate di calore vi hanno ormai assunto proporzioni crescenti e destinate ad aumentare, insieme alle stime dei danni che possono provocare.
Torino è tra le città che negli ultimi dieci anni hanno subito il maggior numero di fenomeni estremi insieme a Roma, Milano, Genova, Napoli, Palermo, Catania, Bari e Reggio Calabria.
«Tutte città, molte delle quali metropolitane, da cui bisogna ripartire con un nuovo approccio culturale e progettuale che garantisca al tempo stesso la riduzione del rischio idraulico e l’adattamento al cambiamento climatico». È quanto ha affermato il coordinatore scientifico di Legambiente Andrea Minutolo commentando il rapporto 2019 dell’Osservatorio di Legambiente sull’impatto dei mutamenti climatici in Italia.
Dal dossier intitolato “Il clima è già cambiato” emerge che dal 2010 a inizio novembre 2019 si sono registrati 563 eventi, con danni rilevanti in 350 Comuni dovuti al maltempo, 73 giorni di stop a metro e treni, 72 giorni di blackout elettrici e un aumento di frequenza e impatti delle ondate di calore. Nel 2018, il nostro paese è stato colpito da 148 eventi estremi, che hanno causato 32 vittime e oltre 4.500 sfollati, un bilancio di molto superiore alla media calcolata negli ultimi cinque anni. Dal 2014 al 2018 le sole inondazioni hanno provocato in Italia la morte di 68 persone.
Risulta in continua crescita la temperatura media nelle città: un fenomeno generale e rilevante che riguarda tutte le città con picchi a Milano con +1,5 gradi, a Bari (+1) e Bologna (+0,9) a fronte di una media nazionale delle aree urbane di +0,8 gradi centigradi nel periodo 2001-2018 rispetto alla media del periodo 1971-2000.
Aumentano, al contempo, gli impatti del caldo in città, in particolare sono le ondate di calore il principale fattore di rischio con rilevanti conseguenze sulla salute delle persone. Secondo una ricerca del progetto Copernicus european health su 9 città europee, nel periodo 2021-2050 vi sarà un incremento medio dei giorni di ondate di calore tra il 370 e il 400%, con un ulteriore aumento nel periodo 2050-2080 fino al 1100%. Questo porterà, ad esempio, a Roma da 2 a 28 giorni di ondate di calore in media all’anno. La conseguenza sul numero di decessi legati alle ondate di calore sarà notevole: da una media di 18 si passerebbe a 47-85 al 2050 e a 135-388 al 2080.
Un altro tema rilevante è quello dell’accesso all’acqua che, in una prospettiva di lunghi periodi di siccità, rischia di diventare sempre più difficile da garantire. Già oggi nel nostro Paese la situazione appare complicata in particolare al Sud, per quanto riguarda la qualità del servizio idrico e nel 2017, nei quattro principali bacini idrografici italiani (Po, Adige, Arno e Tevere) le portate medie annue hanno registrato una riduzione media complessiva del 39,6% rispetto alla media del trentennio 1981-2010.
Preoccupante per le città italiane è anche l’innalzamento del livello dei mari. Secondo le elaborazioni di Enea, sono 40 le aree a maggior rischio in Italia. A rischio sono anche città come Venezia, Trieste, Ravenna, la foce del Pescara, il golfo di Taranto, La Spezia, Cagliari, Oristano, Trapani, Marsala, Gioia Tauro.
Inoltre, secondo un’indagine di Climate Central pubblicata sulla rivista Nature, se i ghiacciai continueranno a sciogliersi al ritmo attuale, 300 milioni di persone che vivono in aree costiere verranno sommerse dall’oceano almeno una volta l’anno entro il 2050, anche se le barriere fisiche che erigono contro il mare saranno potenziate.
Sul fronte dei costi secondo i dati Ispra l’Italia dal 1998 al 2018 ha speso circa 5,6 miliardi di euro (300 milioni all’anno) in progettazione e realizzazione di opere di prevenzione del rischio idrogeologico, a fronte di circa 20 miliardi di euro spesi per “riparare” i danni del dissesto secondo dati del CNR e della Protezione civile (un miliardo all’anno in media, considerando che dal 1944 ad oggi sono stati spesi 75 miliardi di euro). Il rapporto tra prevenzione e riparazione è, in altre parole, di uno a quattro.
“Di fronte a processi di questa dimensione in Italia e nel mondo abbiamo bisogno di un salto di scala nell’analisi e nelle politiche – ha affermato il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini – di sicuro è necessaria una forte accelerazione delle politiche di mitigazione del clima, per invertire la curva delle emissioni di gas serra come previsto dall’Accordo di Parigi. Ma in parallelo dobbiamo preparare i territori, le aree agricole e in particolare le città a impatti senza precedenti. Il problema è che il nostro Paese non è pronto e non ha ancora deciso di rendere questi interventi prioritari, fornendo strumenti e risorse alle città italiane”.
L’associazione ambientalista chiede al Governo di approvare quanto prima il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici e di mettere le città al centro delle priorità di intervento. Occorre inoltre fermare le costruzioni in aree a rischio idrogeologico che continuano a mettere in pericolo la vita delle persone.
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