Il recupero di un antico mestiere per la rinascita di specie ittiche a rischio estinzione
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Un giorno di alcuni anni fa due giovani amici pescatori si sono imbattuti in alcuni pesci bellissimi e rari nelle acque incontaminate alle sorgenti del fiume Arno. Da questo incontro è nato il sogno di fare della conservazione di queste specie ittiche di acqua dolce il loro lavoro, riportando in vita un antico mestiere ed un vecchio impianto di itticoltura abbandonato da oltre cinquant’anni.
Siamo in Casentino ed inizia così la storia del progetto Antica Acquacoltura Molin di Bucchio avviato da Andrea Gambassini e Alessandro Volpone nel 2015, anno in cui li abbiamo incontrati e intervistati per la prima volta. Cosa è successo da allora? Ce lo racconta Andrea, che abbiamo risentito proprio qualche giorno fa.
Ricordaci come tutto è nato
Tutto è iniziato dal nostro proposito di ristrutturare un antico impianto di itticoltura lungo le sorgenti dell’Arno abbandonato ormai da cinquant’anni. L’impianto fa parte dello storico Molino di Bucchio, primo mulino dell’Arno costruito nel 1200. Per noi era inconcepibile che quell’impianto fosse fermo, considerando le acque ottime di questa zona, condizione ideale per allevare il pesce. Il nostro desiderio si è così concretizzato con la ristrutturazione dell’impianto. L’ultima volta che Italia che Cambia è venuta a trovarci stavamo lavorando letteralmente dentro le vasche: le abbiamo svuotate a mano dai sedimenti di decenni di abbandono e in seguito le abbiamo ristrutturate.
In un momento in cui molti giovani abbandonano le aree interne, che oggi per questo rischiano lo spopolamento, il nostro sogno era quello di restare qui e avviare un’attività lavorativa fondata su alcuni valori oggi più che mai importanti e necessari: tutela della biodiversità, sostenibilità ambientale, valorizzazione e recupero del patrimonio esistente. Se non si vuole distruggere il pianeta bisogna trovare nuovi modi di vivere, lavorare e produrre. Ed è proprio quello che stiamo facendo. Se mi guardo intorno vedo che da qui scappano quasi tutti, noi siamo rimasti e ci siamo creati un’opportunità di lavoro.
Tu e Alessandro avete inizialmente dato vita ad un’azienda agricola per far partire questo progetto. In seguito avete costituito una cooperativa che oggi gestisce vari servizi. Cosa puoi dirci di questo passaggio?
L’azienda agricola Molin di Bucchio oggi non esiste più. Al suo posto abbiamo creato la Cooperativa In Quiete di cui facciamo parte io, Alessandro e due nuovi soci. Dal punto di vista numerico siamo quindi raddoppiati. Per finanziare il nostro progetto di itticoltura e sempre nell’ottica di valorizzare le risorse della zona, abbiamo deciso come cooperativa di proporre delle attività di escursionismo ed educazione ambientale previste tutti i weekend nel Parco Nazionale delle foreste casentinesi. Tutti e quattro siamo guide ambientali e siamo diventati leader a livello escursionistico nel nostro territorio e oggi siamo un punto di riferimento sia per i visitatori che per le nuove guide. In quest’ambito si lavora molto e ciò ci ha permesso di finanziare in parte la ristrutturazione dell’impianto.
Avete anche vinto un bando europeo. Di cosa si è trattato?
Due anni fa abbiamo vinto il Bando europeo sulla pesca e abbiamo così ottenuto un contributo pari a 33mila euro per la ristrutturazione di questo antico impianto. Siamo cosi riusciti a concludere la ristrutturazione delle prime vasche (ne mancano ancora tre, le più antiche) e ad avviare il progetto di itticoltura, partito ufficialmente nel maggio 2018.
Qual è l’obiettivo del progetto?
L’obiettivo è la conservazione della biodiversità salvando le specie autoctone locali, che hanno un valore inestimabile, considerando che questo è un luogo di grande pregio naturalistico. Si parla di quattro specie: trota appenninica, Barbo tiberino, Ghiozzo di ruscello e Gambero d’acqua dolce. Sono queste le specie che oggi fanno parte di un progetto di conservazione e ripopolamento del parco delle foreste casentinesi. Un progetto che stiamo portando avanti insieme alla Regione Toscana e al Parco nazionale. Proprio in questi giorni è scaduto il contratto con questi enti e stiamo aspettando che la situazione venga ridefinita.
Qual è la peculiarità dell’Antica Acquacoltura Molin di Bucchio?
La nostra peculiarità è quella di essere un ente privato che vuole fare conservazione, quando solitamente la conservazione è una cosa di cui si occupano gli enti pubblici. Le specie allevate da noi non hanno valore commerciale e quindi di norma non interessano ai privati. Questa, ahimè, è la logica del nostro sistema economico. Noi abbiamo voluto fare qualcosa di diverso: conservazione della biodiversità e ricerca. Alcune delle specie che alleviamo sono specie mai allevate da altri perché nessuno sapeva come fare, non essendoci stato finora su queste specie né un interesse economico né scientifico. Stiamo facendo tutto noi adesso, partendo da zero.
Qual è la destinazione del pesce che allevate?
Il pesce finora allevato è destinato principalmente ai torrenti del parco nazionale. Da circa tre mesi abbiamo avviato anche una linea produttiva per la tavola che riguarda la trota. Le finalità sono dunque di ripopolamento e alimentari.
Quali sono le caratteristiche del vostro allevamento?
Lo stress degli animali allevati da noi è pari a zero. Per metro cubo abbiamo solo un decimo del pesce consentito e questo fa sì che i nostri pesci crescano velocemente e forti senza bisogno di farmaci, non sentano lo stress e le malattie tipiche legate all’alta densità degli allevamenti. Inoltre le nostre condizioni ambientali sono uniche: a monte non abbiamo niente se non foreste quindi l’acqua è spettacolare (e senza plastica!).
Che risultati avete raggiunto in questi anni?
Siamo riusciti, per primi in Italia e forse nel mondo, a riprodurre il ghiozzo e a portarlo ad una taglia (2 cm) che ne permette il ripopolamento. Abbiamo ripopolato con circa 300 ghiozzi adulti i torrenti del parco. Abbiamo ora quindi un manuale di allevamento di ghiozzi. Inoltre abbiamo dato vita alla prima popolazione di trota autoctona dell’Appennino centrale. Siamo ancora all’inizio ma siamo soddisfatti di questi primi traguardi, soprattutto se si considera che si tratta di specie che stavano sparendo e che sono state dichiarate pubblicamente a rischio estinzione.
Recentemente avete ricevuto un importante riconoscimento dalla Commissione europea
Sì, proprio in questi giorni ci sono qui due membri della Commissione europea che stanno documentando il nostro progetto perché siamo stati scelti tra le sei best practices europee nell’ambito dell’acquacoltura. Si tratta di un riconoscimento unico per un’azienda italiana.
L’Europa ci ha premiato per la sostenibilità ambientale del nostro impianto, che ha un impatto praticamente pari a 0, per la conservazione della biodiversità, per la qualità ambientale e per le buone prassi di lavoro. Inoltre riconoscono di noi il fatto che non c’è stato nessun consumo di suolo ed è stata portato in vita un impianto abbandonato.
Vi ritenete soddisfatti dal riscontro che sta avendo il vostro progetto?
Abbiamo ricevuto dei riconoscimenti assolutamente importanti, anche se a livello economico non stiamo avendo molto sostegno, ad esclusione della vincita di quel bando e del contributo avuto dal Parco e dalla Regione Toscana per il progetto di conservazione. Questo frena in parte il nostro progetto e rappresenta il motivo per cui abbiamo pensato anche di lanciare una campagna di crowdfunding che deve ancora ufficialmente partire.
Ci spiace constatare che spesso, in particolare in Italia, le iniziative portate avanti da persone giovani vengono considerate con una certa superficialità mentre riteniamo che per il suo valore e le ricadute positive sul territorio questo nostro progetto, come altri virtuosi, dovrebbe ricevere maggiore attenzione e supporto.
Foto tratte dalla pagina Facebook del progetto Antica Acquacoltura Molin di Bucchio
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