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Biella - Responsabilità, modularità, trasparenza: sono questi alcuni dei termini chiave che caratterizzano i lavori di Flavia La Rocca, una fashion designer che basa la sua ricerca su capi modulari e tessuti sostenibili, anche nell’ottica di un approccio circolare alla moda. Etica ed estetica, così, non sono solo assonanti, ma tratti distintivi che contraddistinguono le sue collezioni del brand.
Abbiamo intervistato Flavia e, insieme, abbiamo intrapreso un viaggio che ha portato a scoprire, un pezzo alla volta, tutte le tappe che hanno costellato il suo percorso artistico-professionale, scoprendo anche le peculiarità e il dietro le quinte dei suoi capi.
Flavia, partiamo dal passato. Dove nasce l’idea di diventare una fashion designer?
«Nella mia infanzia, tra le mura di casa. Quando ero bambina mia madre ha sempre cucito per hobby e, già da piccola, ero abituata a vedere come nasce un capo da zero, dal cartamodello alla prova fino al capo finito. Quando è stato il momento di iniziare l’università ho scelto di studiare questo settore che tanto mi affascinava. Così ho cominciato la facoltà di Scienze della Moda e del Costume a La Sapienza di Roma, prendendo l’indirizzo economico-manageriale per avere una preparazione più ampia. A un mese dalla laurea ho iniziato il mio primo stage nell’ufficio stampa di Blumarine e da lì è stato un susseguirsi di esperienze lavorative in importanti brand, fino a lanciare il mio nel 2012».
La sostenibilità è un aspetto chiave dei tuo capi. Cosa rappresenta per te? Ci illustri le peculiarità delle tue produzioni?
«Nel mio lavoro la sostenibilità è la base, dal concetto alla realizzazione. Io non disegno capi standard, ma moduli intercambiabili che, attraverso zip nascoste, possono essere “smontati e rimontati” creando molteplici combinazioni. Moduli della stessa taglia di diverse stagioni possono essere mixati tra loro per creare un guardaroba senza fine e sempre rinnovabile. Il design è basato su linee decise e geometriche, un dialogo tra prospettive di stagione e un design senza tempo, moderno e funzionale. Quello che cerco di fare è proporre una nuova lettura del fare abbigliamento: un modo responsabile, dinamico e moderno di vestire».
Quali vantaggi etici offre la modularità?
«La modularità, grazie l’utilizzo di pochi pezzi per creare più combinazioni, riduce l’impiego di materie prime, di energia e l’impatto ambientale in fase di produzione e allunga il ciclo di vita del prodotto che tendenzialmente viene tenuto più tempo nel guardaroba perché continuamente rinnovabile. I materiali con cui realizzo le mie collezioni, inoltre, sono sempre ricercati seguendo alti parametri di sostenibilità e innovazione con il minore impatto ambientale possibile. La produzione etica interamente made in Italy permette di ridurre l’impatto negativo dei trasporti sull’ambiente e le emissioni di CO2».
Insieme ad altri fashion designer lavori a produzioni responsabili, dimostrando che etica ed estetica possono coesistere. Come rendere, però, la sostenibilità alla portata di un ampio target di pubblico, dai giovani fino alle famiglie meno abbienti?
«Con un canale diretto: arrivare direttamente al fruitore finale ci aiuta a gestire meglio il rapporto con esso e a controllare i prezzi rendendo più accessibile il prodotto. Per realtà come me e altri miei amici/colleghi designers, a differenza che per i grandi colossi, i costi di produzione sono molto alti, soprattutto perché siamo molto attenti a rispettare tutta una serie di parametri di eticità e tipologia di materie prime».
Il Crollo del Rana Plaza di Savar è da molti indicato come la tragedia che ha smosso le acque sul campo della moda sostenibile, a partire dalla produzione. Oltre a quel drammatico – e non isolato – episodio, qual è, secondo te, lo strumento per innestare una sensibilizzazione sociale sul tema rendendo anche i consumatori più responsabili e consapevoli?
«Bisogna informare. Molte persone non sanno cosa c’è dietro un abito, chi l’ha fatto e in quale modo, che tessuto lo compone, da dove viene e soprattutto non sanno se fa bene o male. Questo perché, chiaramente, i non addetti al settore non sono così specifici. Trovo, però, che sia importante che questo tipo di informazione arrivi a tutti e che ognuno riesca a scegliere consapevolmente cosa comprare e dove, oltre a scegliere e sapere quale impatto ambientale avrà».
Da molto tempo collabori con l’Ufficio Moda di Cittadellarte. Cosa rappresenta per te il progetto Fashion B.E.S.T.?
«È la prova che il cambiamento si può innescare unendo le forze e rappresenta il vero senso di lavorare su un obiettivo comune. Un collettivo di designer che lavorano a più mani su progetti, si scambiano informazioni e si aiutano l’un l’altro è qualcosa di inedito, ma la nostra missione è proprio quella di informare/formare insieme, ispirare e diffondere un approccio responsabile e circolare della moda che unisca etica ed estetica. L’obiettivo è quindi generare una forza di cambiamento che porti la moda responsabile ad essere da utopia a nuovo standard. Cittadellarte, inoltre, è un posto magico dove l’arte di Michelangelo Pistoletto si intrinseca di responsabilità sociale e fa da filo conduttore per ogni attività».
Proprio con Cittadellarte hai avuto un ruolo chiave nelle Terme Culturali con Habitus-Abito-Abitare e sei tra i fashion designer che stanno lavorando a CirculART. Ci illustri i dettagli della tua partecipazione attiva a questi progetti?
«Per le Terme Culturali ho disegnato per la prima volta capi modulari agender, ispirati agli abiti da lavoro con 5 moduli. Il capospalla e i grembiuli proposti sono intercambiabili tra di loro al fine di creare infinite combinazioni che ogni visitatore può creare e sperimentare a sua scelta. Tutti i pezzi sono unici, realizzati con tessuti di scarto del Lanificio Cerruti 1881, con il quale abbiamo collaborato per questa edizione. Sono materie di prima qualità, magari dimenticate, alle quali è stata data una seconda vita. Così non si è prodotto qualcosa di nuovo, ma abbiamo utilizzato quello che già esiste».
A settembre hai vinto il Green Carpet Talent Competition 2019 grazie a un abito modulare realizzato con materiali completamente sostenibili, dal filo al tessuto, dagli accessori alla tintura. Quale significato dai a questo prestigioso premio?
«Per me è un grande riconoscimento per i 6 anni – che ho alle spalle – di determinazione, passione, sacrifici, cadute, gioie e obiettivi raggiunti. Fare sostenibilità quando ho iniziato da piccolo brand emergente non è stato per nulla facile. Oggi questo premio mi dà una nuova energia per andare avanti più determinata nel costruire un brand solido, responsabile ed etico che rispetti il pianeta e le persone».
Qual è il sogno nel cassetto di Flavia la Rocca?
«Ne ho, anche di ambiziosi, ma vado per gradi e cerco di realizzarli uno per uno. Il prossimo passo, per ora, è aprire un mio e-commerce dove spiegare cosa c’è dietro a ogni capo, illustrando chi l’ha confezionato, dove e con quale tessuto. L’obiettivo è far sì che i miei capi possano essere acquistati in maniera consapevole e che insieme a questi viaggi il messaggio di una moda responsabile ed etica».
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