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Torino - Un pallone. Basta poco e una strada magicamente si trasforma in un campo da calcio, dei ragazzi sconosciuti diventano d’un tratto compagni di squadra mentre i vicini di casa, affacciati dal balcone, la più ammirabile platea di spettatori. Ci basta poco per creare quella magia capace di far volare in un attimo interi pomeriggi. Ma cosa succederebbe se quella strada diventasse un vero campo e quei ragazzi un’intera comunità che insieme condivide la medesima magia?
A Torino opera Balon Mundial, un’associazione sportiva dilettantistica che sta rivoluzionando il calcio, utilizzando il linguaggio universale dello sport per avvicinare le culture e creare una città più aperta, integrata e accogliente, proprio come ci racconta Tommaso Pozzato, Presidente dell’associazione.
«Il nostro obiettivo è utilizzare lo sport col fine di generare impatto sociale, per valorizzare la diversità all’interno della società. E lo facciamo attraverso il calcio poichè rappresenta lo sport più popolare al mondo. In questo modo diventa facile coinvolgere e far incontrare persone che arrivano da tutti i Paesi proprio perché conoscono già le regole ed insieme possono condividere la stessa passione».
“Balon Mundial” in dialetto piemontese significa “palla mondiale” e nasce con l’idea di creare una copia della coppa del mondo, dove i giocatori e le giocatrici sono persone migranti. Costruita sulla stessa impostazione della FIFA World Cup, l’associazione rappresenta da 12 anni un punto di riferimento per le comunità locali che nel tempo è cresciuta e che conta, ad oggi, oltre 50 diverse nazionalità.
Solidarietà, amicizia, condivisione: il torneo ha come obiettivo l’incontro tra le diverse persone proprio perché è importante per chi arriva sul territorio mantenere la propria cultura e poterla condividere con altri. «La nostra idea iniziale è stata quella di dare vita a una comunità per vederla crescere e ingrandirsi col tempo intorno alla squadra di calcio» mi spiega Tommaso. E così è stato. Nel 2007, all’inizio del suo percorso, il torneo contava 20 squadre maschili che oggi sono arrivate a 32, proprio come la vera coppa del mondo, insieme a un numero variabile tra le 6 e le 12 squadre femminili.
«Una delle caratteristiche di Balon Mundial è che quando entri a far parte di una squadra acquisti una nuova identità, non come disoccupato, straniero o rifugiato, ma come calciatore» mi viene raccontato. L’associazione non solo facilita la costruzione di comunità migranti ma bensì permette ai giovani giunti in Italia e con scarsi legami con il territorio di indossare la maglia nazionale del proprio Paese, proprio quella maglia capace di riportarli alla loro identità culturale.
Ma non solo. Qui le donne scendono in campo per diventare le vere protagoniste della loro comunità. «All’inizio dovevamo stimolare l’interesse delle persone affinchè partecipassero alle partite di calcio femminile» racconta Tommaso. «Adesso le stesse partite riscontrano spesso un pubblico molto più numeroso rispetto a quello delle squadre maschili. Il fatto che le donne giochino e si autorappresentino è per noi una conquista che sposta l’attenzione dal ruolo di semplici spettatrici a quello di protagoniste».
Non si tratta solo di favorire l’inclusione tra persone italiane e persone migranti. “Balon Mundial” facilita lo scambio tra comunità che prima non avevano mai avuto modo di comunicare. «E’ la stessa magia che si crea quando un ragazzo senegalese parla con un ragazzo brasiliano e col tempo si conoscono e creano delle amicizie che vengono coltivate giocando a calcio insieme» spiega Tommaso.
A Torino, in questi anni, l’associazione sta costruendo una città aperta capace sempre più di raccontarsi. All’interno di Balon Mundial c’è infatti un mondo variegato di persone che, attraverso la propria storia, stanno contribuendo a creare una narrazione sulle migrazioni. Ne è esempio la storia di successo di Junior, ragazzo brasiliano giunto in Italia che ha iniziato a praticare questo sport 5 anni fa all’interno di Balon Mundial. Oggi Junior gioca in serie b nel Crotone ed è diventato per tutti, come mi racconta Tommaso, un esempio di speranza. O la storia della squadra femminile ecuadoregna, nella quale giocano insieme una mamma con le sue figlie sotto i colori della bandiera del loro Paese.
«Nonostante sia lo sport più conosciuto al mondo, del calcio si conoscono anche i molti aspetti negativi: la protesta verso l’arbitro, l’esclusione, la competizione. Per questo motivo abbiamo creato dei moduli formativi per preparare degli allenatori-educatori capaci di facilitare la partecipazione sul territorio e di porsi al servizio della comunità».
All’interno di questo percorso, l’associazione si impegna anche a favorire la creazione di nuove reti di sostegno, l’inserimento lavorativo e a valorizzare non solo le diverse competenze calcistiche ma anche le molteplici abilità che sviluppano praticando questo sport: determinazione, resistenza, capacità di lavorare in team. Tutte qualità che possono essere spese positivamente nel mondo del lavoro.
L’integrazione ha poi molti modi per esprimersi, a partire dalle cose più semplici come il cibo. «Fin dalla prima edizione il pubblico delle partite è venuto ai campi con borse frigo piene di cibi e bevande tipiche del proprio paese per condividerli con i giocatori delle proprie comunità a fine partita. Dalla spontaneità di questo gesto, in cui il cibo è l’elemento aggregativo delle persone e dalla volontà di promuovere questo momento, nasce Food Mundial: veri e propri banchetti che permettono a tutti di assaggiare i cibi di tradizioni culturali diverse».
Balon Mundial da anni dialoga con le associazioni del territorio per creare nuove squadre e allargare la partecipazione a sempre più comunità locali. «Spesso capita che, in un primo momento, alcuni giocatori inizino ad incontrarsi per fare squadra e successivamente il loro numero aumenti. Visto che per giocare a calcio bisogna essere in 22 più i dirigenti, si decide di creare un’apposita associazione culturale. In questo modo si dà vita ad una nuova squadra e ciò rappresenta un valore aggiunto poichè contribuisce a creare un impatto positivo sul territorio, ricordandoci che nel gioco sono tutti i benvenuti e che davanti ad un pallone siamo tutti uguali».
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