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Si stima che dal 2014 al 2019 nel Mediterraneo abbiano perso la vita più di 18 mila esseri umani: un numero grande, difficile da immaginare. Nel leggere questo dato potreste sentirvi indignati, disperati, impotenti, o ancora esasperati, ormai impermeabili, indifferenti.
Arianna Favaretto Cortese e Innocenzo Capriuoli, artisti di rispettivamente ventidue e ventisette anni, si sono sentiti chiamati a ricercare, attraverso i loro talenti, l’origine dell’indecisione che l’Italia attualmente sperimenta: salvare o non salvare?
Nasce così “Liberi di Salvare”, una performance che quest’estate ha attraversato le strade e le piazze di Venezia, Padova, Ferrara, Bologna, Genova, Pisa, Livorno, Pescara, Foggia, Bari, Lecce, Matera, Napoli, Ischia, Salerno, Palermo e infine, Lampedusa. La performance era composta da un’azione fisica della durata di pochi minuti – così da consentire ai passanti, in pochi secondi, di capire che cosa stesse accadendo – e veniva reiterata dalle due alle quattro ore. I due artisti, a turno, evocavano un tentativo di salvataggio lanciando un salvagente e ritirandolo indietro vuoto.
«Nel tirarlo su ci mettevamo in relazione con il pubblico attraverso questo vuoto. Chiunque guardasse attraverso il buco del salvagente poteva essere il salvato o il salvatore, perché anche l’artista si mette nelle condizioni di dire: sono qui nudo davanti a te, salvami. Per noi si muoveva questo: siamo noi. Potremmo essere noi in mare ora. E muoiono nel nostro mare: questo non è indifferente. Se ci dobbiamo occupare di casa nostra quella è casa nostra, è il Mare Nostrum. Quello è il mio mare, io sono cresciuto del Mar Mediterraneo. Ho imparato a nuotare lì dentro, sono innamorato del mare e ora è diventato un cimitero».
Genova è stata la tappa in cui Arianna e Innocenzo hanno avuto conferma che la loro performance, pur nella sua semplicità, era capace di comunicare e di muovere un forte campo: tanto da incuriosire una decina di bambini per oltre mezz’ora. O ancora – da portare un leghista a donare 20 euro e a dir loro “in mare si salva sempre”.
Ad Ischia invece – che era la prima tappa con il mare sullo sfondo – un uomo ha parcheggiato in mezzo alla performance con fare minaccioso. Era la prima volta che qualcuno aveva avuto il coraggio di interagire, di far parte attivamente della performance – fino ad allora tutti gli interventi da parte del pubblico, sia in termini di odio che di bene, erano accaduti fuori dal confine. Innocenzo ha dunque deciso di coinvolgerlo nella performance e – tirando su il salvagente ha erroneamente colpito la ruota della macchina. Questo ha scatenato una spinta da parte dello spettatore che, non ricevendo alcuna reazione, ha deciso di gettare in mare il salvagente.
«Per fare un viaggio del genere – ha raccontato Innocenzo – devi cercare di connetterti anche all’invisibile, altrimenti torni subito indietro. Devi dare un significato a ciò che fai». Raccogliere il salvagente dal mare, dopo averlo lanciato più di mille volte sull’asfalto delle piazze, è stato dunque intenso e, nel farlo, perfino il volto dell’uomo è cambiato. «A quel punto lo spettacolo era finito, e gli ho risposto che stavamo facendo una performance sul salvataggio dei migranti in mare. E mi ha detto: lo sai che ero un marinaio? Beh, per te me ne vado. E ha tolto la sua macchina dal centro della performance».
Gli spettatori, dunque, insieme a tutto ciò che accadeva al di fuori della performance entravano in un certo senso a contribuirvi, nel bene quanto nel male. «Da Venezia a Palermo c’è chi ama, chi odia, chi è indifferente, chi è aggressivo, chi ha compassione. C’è quindi l’Italia intera. Noi l’abbiamo vista tutta e c’è stato di tutto: la varietà infinita dell’umano su un tema delicato come quello dell’immigrazione».
Durante l’atto performativo sono stati esposti due giubbotti salvagenti, su cui era possibile apporre una firma come simbolo concreto di appoggio al lavoro delle navi impegnate nel salvataggio in mare. Tali salvagenti sono stati poi consegnati alla Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans – insieme a metà delle donazioni ricevute durante il viaggio.
Il legame con la nave ha assunto anche delle connotazioni simboliche. Mare Jonio, infatti, durante il viaggio di Arianna e Innocenzo era sotto sequestro, e la performance era anche un modo per dire che c’era comunque qualcuno che il salvagente continuava a buttarlo, sebbene non in mare, perché quella barca era ferma. «Non potendo lanciare il salvagente in mare, lo abbiamo lanciato nelle piazze – ha detto Innocenzo, ed è evocativo osservare che Mare Jonio sia riuscita a ripartire proprio quando i due hanno raggiunto Lampedusa, portando a conclusione il loro viaggio. È molto patriottico forse però quando ho visto quella barca, quando ci sono salito, mi sono sentito fiero di essere italiano».
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