Ecologia e inclusione si imparano facendo: l’esempio virtuoso di una scuola di Sondrio
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Vi è mai capitato di sentire che le insegnanti tornassero a scuola dopo cena per raccontare una fiaba ai loro piccoli alunni prima di andare a dormire? Ebbene, alla Scuola Primaria Racchetti succede anche questo!
Nel comune di Sondrio, capoluogo dell’omonima provincia e della Valtellina, c’è una scuola d’eccezione, dove, tanto la dirigenza scolastica quanto gli insegnanti, cercano di dare il massimo attraverso un percorso di apprendimento stimolante ed innovativo che va ben al di là di ciò che viene normalmente insegnato a scuola.
Per fare questo, accanto ai programmi curricolari, nell’Istituto Comprensivo Paesi Orobici si portano avanti numerosi progetti e attività laboratoriali dove gli alunni imparano facendo: è il cosiddetto “learn by doing”. Teatro, psicomotricità, musicoterapia, orto, sono solo alcuni degli esempi di laboratori portati avanti alla Scuola Primaria Racchetti, con particolare attenzione ai progetti volti alla diffusione di una cultura ecologica e soprattutto il più possibile inclusiva.
La simpatica vice dirigente Emanuela Agnelli mi racconta un po’ della storia di questa scuola di Sondrio in cui originariamente si iscrivevano perlopiù i figli degli immigrati del Sud Italia che vivevano nello stesso quartiere periferico in cui tutt’oggi sorge la scuola. Oggi la scuola è la rappresentazione in piccolo, di un mondo di culture, diverse ma più che mai vicine, che popolano la città ed è proprio in questa ricchezza multiculturale che la scuola ha trovato il suo punto di forza.
Abbiamo intervistato per voi l’infaticabile e appassionata insegnante di scienze e matematica, Alice Rodolfi, che ci ha spiegato in particolare da cosa è nato il progetto dell’orto e gli altri progetti legati all’ecologia sociale e ambientale.
«L’orto della scuola Primaria Racchetti è nato 6 anni fa perché lavoravo con un bambino con disabilità e, secondo me e le mie colleghe, era un buon modo per creare dei progetti che potessero coinvolgerlo maggiormente all’interno delle varie classi. Tutte le classi, in base alle varie programmazioni lavorano all’orto e spesso viene proprio usato come luogo per l’inclusione, anche con i bambini più introversi a cui giova imparare a prendersi cura di qualcosa, lavorando a piccoli gruppi. Imparano ad esempio che per crescere una piantina ha bisogno di essere innaffiata tutte le mattine, ma si imparano anche concetti come la stagionalità: è un luogo che permette tanto sia a livello didattico che esperienziale.
Spesso l’orto viene preso come spunto per proporre non solo argomenti legati alle piante, la crescita dei semi, ovvero alle scienze, ma anche per altre materie. Loro ad esempio in prima avevano fatto un lavoro legato a geografia: approfondendo aspetti legati alla spazialità: destra, sinistra, i punti cardinali e avevamo progettato cosa piantare nell’orto con un lavoro legato alla geometria e alla matematica, calcolando il quadrato dell’orto, il perimetro, quante piantine piantare in una determinata area, etc.
Lavoriamo su un piano interdisciplinare: ogni insegnante della scuola, in base a ciò che vuole fare riesce ad agganciare qualche progetto esperienziale durante l’anno legato all’orto; per fare un esempio, per scienze ci dedichiamo alla scoperta delle piante con un approccio sperimentale, come quando un anno abbiamo piantato le piante fuori dalla serra e in seguito dentro la serra e ne abbiamo annotato le differenze. Quella dell’orto è un’esperienza pratica che ci permette di lavorare sul metodo scientifico e il modello della classe capovolta; come è successo quando i bambini di terza hanno fatto da tutor ai bambini più piccoli: ognuno di loro spiegava a uno o due bambini di seconda il ciclo della pianta, quello riproduttivo, le parti di cui si compone.
L’orto offre l’opportunità di collegarsi facilmente anche all’italiano, così abbiamo fatto i vari tipi di testo: regolativo, descrittivo, le sensazioni che si provano. E con i fiori abbiamo fatto un lavoro legato ad arte, facendo dipingere dal vivo i fiori che avevano coltivato. Per cui l’orto dà degli spunti pratici che permettono a tutti gli alunni di partecipare, in quanto la praticità serve a capire il contenuto di quello che si sta studiando, è un modo per sviluppare le cosiddette competenze. Fare esperienza qua gli permette di vivere in modo più consapevole, poiché l’esperienza pratica cattura maggiormente l’attenzione degli alunni rispetto alla spiegazione teorica della maestra e tutto gli rimane più impresso…
Un altro anno poi, abbiamo fatto il mercatino delle verdure: l’atrio della scuola era pieno di vasetti di verdure da trapiantare che sono state vendute andando a ruba. Poi ancora coi bambini di seconda abbiamo fatto un lavoro sulle erbe aromatiche con giochi legati al toccare, ascoltare, provare a riconoscere le piante dal profumo, etc. sviluppando tutti i sensi, cosa che a loro serve tanto vivendo in città.
La nostra è una scuola che promuove tanto anche la conoscenza del territorio, ad esempio abbiamo fatto delle uscite per vedere i terrazzamenti delle vigne, i mulini e conoscere le varie aziende agricole locali. Spesso sono attività extrascolastiche, come il campo estivo in cui si lavora nell’orto della scuola, ma anche in un’altra particella ortiva che ci ha dato il comune, che è anche un modo per fare comunità col resto della cittadinanza.
Quest’anno è partito il progetto, dell’“orto nelle serre” che è legato sia all’aspetto dell’orto e di tutto il ciclo della semina in senso stretto, che a un progetto di inclusione di alunni con disabilità particolari come gli alunni autistici o altre disabilità comportamentali. Sono progetti che aiutano sia questi ultimi che tutti gli altri, poiché permette di vedere e vivere il fatto che non abbiamo tutti le stesse potenzialità: è un modo per accogliersi e per accogliere tutti.
Poi, noi in modo particolare, sovente abbiamo visto anche che loro ai progetti legati all’orto danno un rimando multiculturale: gli alunni spesso fanno raffronti con le loro culture d’origine, quindi ad esempio la bambina di origine marocchina o cinese ci spiega cosa coltivano i suoi nonni nel loro orto in Marocco o in Cina: l’orto diventa così anche un modo per coltivare gli scambi culturali. Ma anche il cibo facilita la convivialità e lo scambio: lo scorso inverno ad esempio, mamme, papà e nonni, insieme ai loro figli, hanno cucinato vari dolci tipici dei loro paesi con cui poi abbiamo fatto un piccolo mercatino di Natale. È stato bello perché tutti si sono messi in gioco e abbiamo assaggiato dolci di tutto il mondo. La nostra infatti è una scuola multiculturale e questa è la nostra forza: è un modo per i nostri alunni per vivere in modo più sereno il mondo di oggi e quello che stiamo vivendo anche noi adulti, ma che facciamo ancora un po’ fatica a capire e a gestire. Loro hanno la possibilità di essere degli adulti più consapevoli».
Ma alla scuola Racchetti ho avuto anche il piacere di incontrare Angela Fumasoni, entusiasta animatrice digitale dell’istituto e coordinatrice di numerosi progetti che hanno anche ottenuto diversi riconoscimenti, quali ad esempio:“Eureka! Funziona!”, in cui gli studenti/inventori si cimentavano in una gara di costruzioni tecnologiche ideando, progettando e costruendo i loro giochi o come il progetto “Diritto d’autore off e online”, la cui finalità era quella di guidare gli studenti all’uso consapevole delle risorse della rete, sviluppando la loro capacità di lettura dei linguaggi dei media. Ecco un breve estratto della sua intervista.
«Io curo in particolare l’aspetto legato alla tecnologia, contestualizzandola all’interno delle esperienze che i bambini fanno. In primis questi progetti sono legati allo sviluppo del pensiero critico e della sostenibilità. Un paio d’anni fa abbiamo realizzato un progetto dal titolo: “Spazi pop-up”, per andare dal reale al virtuale utilizzando “Scratch” (un ambiente di programmazione per il coding e la robotica educativa, ndr) e quest’anno abbiamo ripreso queste attività creando un progetto in verticale, partendo dalla scuola dell’infanzia per arrivare fino a quella secondaria di 1° grado.
Coi bambini della scuola dell’infanzia ad esempio, abbiamo analizzato il mondo delle api, imparando in seguito ad utilizzare l’ape “Bee-Bot” (robot programmabile, ndr) con la quale i bambini hanno esercitato la loro creatività accostandosi al codice con sequenze che hanno creato e smontato loro stessi. Le api inizialmente erano quelle della storia di un libro, che poi sono uscite dallo stesso per diventare dei robot veri e propri che i bambini hanno programmato dando alle Bee-Bot le istruzioni e facendo un lavoro sulla lateralizzazione destra/sinistra e sull’osservazione di quello che c’è anche all’esterno del proprio corpo. Siamo partiti dal bambino-pedina che doveva percorrere un reticolo, al programmare e quindi dare delle istruzioni corrette perché altrimenti l’ape non arrivava al fiore. Quindi un percorso che ha reso attivi i bambini, con un primo approccio al lavoro di squadra con gruppi che creavano questi codici e altri gruppi che dovevano andare a correggerli. Abbiamo iniziato così un percorso all’interno del pensiero computazionale e divergente per trovare soluzioni nuove e incoraggiare il problem solving che li porta a diventare bambini attivi e un domani, speriamo, anche cittadini attivi».
E noi ringraziamo la dirigenza, l’intero corpo docente, il resto del personale scolastico e gli stupendi, giovanissimi alunni che ci hanno accompagnato alla scoperta di questa chicca all’interno dell’universo scuola, che riempie di speranza e di fiducia nella società dell’oggi e del domani.
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