2 Ott 2019

Una mappa dell’accoglienza per diffondere la positività

Scritto da: Cristina Diana Bargu

Far emergere e mettere in rete le realtà italiane, spesso a dimensione familiare, che accolgono i migranti e promuovono l'integrazione. Con questo obiettivo è nata la Mappa dell'accoglienza, ideata dal docente e fisico Andreas Formiconi che in Toscana ha dato vita anche al progetto della Scuolina e ad un Laboratorio Aperto di Cittadinanza Attiva.

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Firenze, Toscana - La positività espressa dai popoli è enorme, ma non è di per sé eclatante, non fa notizia. Il sogno di Andreas Formiconi, ideatore della Scuolina e del Laboratorio Aperto di Cittadinanza Attiva, è stanare tutti quelli che fanno accoglienza, anche spontaneamente, solo perché sembra loro normale. Si tratta di persone che per loro natura non vanno in giro con un cartello ad urlare “io accolgo”.

 

«Se riuscissimo a far emergere questa positività popolare avremmo una vera e propria azione politica. Scopriremmo che accoglie la maestra, accoglie l’operaio, accoglie il preside, accoglie il filosofo. La narrazione positiva, quando viene praticata, viene fatta passare per eccezione. Si vede sul giornale “Preside accoglie un migrante”, ed il mondo si divide: “Pazzo!”, “Eroe!”. O è un santo o è un pazzo, e così viene tirato fuori dall’immaginario dei più. È necessario invece lavorare sull’immaginario dei più, e raccontare loro che molte persone comuni fanno questo o altri passi».

 

Per mettere insieme queste belle esperienze è nata la mappa dell’accoglienza. Chiunque può contribuirvi con tre voci: raccontando una storia di accoglienza, segnalando una criticità, o un evento. «Questa non è una rete virtuale, è una rete di persone. Quindi deve essere possibile recuperare il tuo contatto fisico. A quel punto noi la pubblichiamo. La mappa non è cresciuta per punti, ma per sotto reti, per aggregati», racconta Formiconi.

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«Per farla ci siamo affidati al servizio web Ushahadi». E questa è una storia nella storia. «Ushahadi è la creazione di una donna africana povera che viveva in un villaggio remoto. Quindi uno svantaggio dietro a un altro. Africa. Povertà. Donna. Era molto brava a scuola, i genitori l’hanno aiutata e lei di borsa di studio in borsa di studio si è laureata ad Harvard e ha trovato lavoro in uno studio a New York. Non sono i successi a rendere le persone giganti. Gigante lo diventi quando rinunci a qualcosa di te perché hai un’idea, che è un’idea rivolta agli altri.

 

E così ha fatto. Ha detto “ritorno nel mio paese che c’è da fare”. In Kenya c’erano state delle elezioni molto sanguinose, con tanti episodi di violenza. Allora lei ha detto: “vediamo se riusciamo a fare un servizio che anche con un cellulare da pochi euro segnali l’episodio di violenza”, e quest’idea finisce in una mappa geografica. Nel 2010, durante il terremoto di Haiti, è stata l’unica cosa che ha funzionato per gestire il soccorso. Ora Ushahadi è il servizio di riferimento per gestire le catastrofi in tutto il mondo.

 

Avendo il desiderio di realizzare questa mappa abbiamo scritto loro, descrivendo la valenza fortemente sociale del nostro progetto e ci hanno risposto “ci piace, vogliamo regalarvi 6000 € di uso del server per un anno”. Quando si ha un sogno bisogna sempre provare, se non va bene, non è che sei ridicolo, ci hai provato. E magari ti sei pure divertito. Ma se funziona, il sogno si avverato.

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La più bella delle sotto reti della mappa dell’accoglienza – dice Andreas – è quella più piccola e anche più fragile. L’ho chiamata “accoglienza familiare”. Sono storie come quella della signora Maria, che da tre anni ha in casa un ragazzo e lo tratta come un figlio. Poi c’è una giovane donna con una grave malattia autoimmune e con suo marito e suo figlio hanno accolto in una casa di 50 m quadri un ragazzo che stanno avviando agli studi».

 

Queste esperienze si stanno diffondendo notevolmente. «Nell’aprile scorso – racconta – mi sono ritrovato a Berlino a raccontare la storia di Poggio la Croce, 190 anime in un paesino del pre appennino, a dei ricercatori. È stata vista come una punta di diamante dell’accoglienza. Il 17 mi hanno chiamato ad Atene poi a novembre in Finlandia.

 

Poi c’è l’esempio delle Scuole Penny Wirton, la prima scuola di italiano per rifugiati fondata da Eraldo Affinati. «Penny Wirton è il nome del personaggio di un autore semisconosciuto: Silvio D’Arzo, che in realtà si chiamava Ezio Comparoni. Era uno dei più geniali scrittori nati nel ‘900 e la leucemia se l’è portato via a 32 anni. Gli piaceva tanto la letteratura dell’Ottocento, così aveva scritto questo racconto in salsa dickensiana su Penny Wirton: un ragazzino sfortunatissimo che poi ce la fa smascherando il sistema. Il ragazzo, perseguitato, si ritrova in un mondo ostile, ma piano piano con l’educazione si riscatta».

 

Nelle Scuole Penny Wirton insegnano cittadini italiani, sono gratuite e si segue la tecnica uno a uno, come nella Scuolina. A Roma Eraldo Affinati è riuscito a coinvolgere 80 migranti e 80 cittadini italiani. Le scuole Penny Wirton si sono moltiplicate e oggi sono 38.

 

Oltre a queste esperienze, c’è poi una minoranza non trascurabile di persone che avrebbero voglia di attivarsi a loro volta, di trovare spazi di significato e di espressione. «Queste – dice Andreas – sono il sale della terra. La nostra è una società che produce surplus, ed i surplus di vario tipo sono un problema. Se mangio troppo mi ammalo. Le nostre soffitte si ammalano perché sono piene».

 

Abbiamo bisogno di ricevere quanto di dare, e trovare in questo equilibrio il nostro significato nel mondo.

 

Leggi la prima parte dell’intervista

 

 

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