“Imparare per il futuro” nel Piemonte che Cambia
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Siamo dunque arrivati alla fine di questa esperienza annunciata. I cinque giorni nel Piemonte che Cambia, seconda e ultima tappa del progetto europeo Erasmus Plus per attività di mobilità per l’educazione degli adulti che ha unito formatori e attori del cambiamento, italiani e tedeschi, si è concluso ieri con un abbraccio finale nella calda Milano autunnale. I treni ci portano verso punti cardinali diversi, ma le strade sono sempre più unite, o meglio la sensazione è di essere su binari che pur attraversando territori diversi, puntano nella stessa direzione.
“Imparare per il futuro”, questo il titolo di questa esperienza di scambio e contaminazione che ha visto la partecipazione di 15 persone provenienti principalmente da Berlino e Potsdam, unite dal comune impegno in organizzazioni e associazioni che si occupano del vasto tema della sostenibilità. “Perché ciò che vogliamo imparare (insieme) per il futuro è proprio ciò che di solito viene chiamato sviluppo sostenibile, come recita il progetto europeo stesso. Una parola che in realtà non ci convince del tutto. La sostenibilità ci piace, lo sviluppo, come in genere viene inteso, meno. Preferiamo una crescita qualitativa a una quantitativa”.
Un viaggio denso di incontri e talvolta, per noi di Italia che Cambia, ri-incontri. I punti del tragitto offerti dalla nostra mappa del cambiamento piemontese. Occasioni non solo per far conoscere delle esperienze in atto, ma per far conoscere le persone, i veri protagonisti di queste realtà. Una proposta coerente con il nostro modo di raccontare il cambiamento, che continua a essere un “Io faccio così”, che presuppone che ci sia un io parlante, qualcuno che racconta in prima persona la propria esperienza. Le persone che abbiamo incontrato, condividendo il proprio modo di fare ciò che fanno, ci hanno ispirato e offerto gli spunti che hanno arricchito i momenti di condivisione plenaria, gli approfondimenti, i workshop.
E ci hanno permesso di andare oltre quella sensazione a volte un po’ frustrante di non riuscire a restituire completamente un’esperienza a chi ci sta leggendo. Abbiamo la percezione a volte di non riuscire con le parole e i video a trasmettere ciò che noi abbiamo il privilegio di vedere, di esperire dal vivo, come l’espressione negli occhi delle persone che intervistiamo quando parlano dei propri progetti. Questi viaggi sembrano un buon modo per permettere ad altre persone di fare questo tipo di esperienza.
La nostra base in questi giorni è stata Cittadellarte che, come immaginavamo quando ci siamo trovati a progettare questa residenza, si è rivelato un luogo di altrettanta ispirazione. Il concetto di arte al servizio di un cambiamento responsabile alla base di questa realtà, la bellezza di questo luogo accogliente, sono stati elementi di grande sostegno, facendoci sperimentare nuovamente anche quanto ci sia bisogno di bellezza, di esserne circondati, per trovare la forza e l’energia necessarie per alimentare il processo di cambiamento e rinnovare il nostro impegno in questa direzione.
Un territorio è fatto anche della sua storia e quindi non potevamo non toccare elementi fondanti come la lavorazione della lana nel Biellese, e Ivrea e la storia di Olivetti. Storie alle quali ci siamo avvicinati di nuovo con l’approccio di “imparare per il futuro”, per comprendere come alcuni elementi del passato possano essere valorizzati e creare traiettorie per un futuro sostenibile.
È stato più un caso fortuito che il frutto di una sapiente programmazione, ma la giornata di Ivrea sembrava racchiudere i tre “stati” del tempo. Come in un bizzarro remake del “Canto di Natale” abbiamo fatto dapprima un passo nel passato, visitando l’Ivrea di Camillo e Adriano Olivetti, l’esperienza di imprenditoria più avanzata dal punto di vista sociale e culturale che il nostro Paese abbia avuto. L’abbiamo fatto in compagnia della guida Marco Peroni, figlio di un operaio che alla Olivetti ha lavorato fin da quando aveva 14 anni.
Poi un passo nel futuro con Nicola Savio e i suoi attrezzi strambi e futuristici, il suo approccio sistemico all’agricoltura, alla vita. Un futuro auspicabile, fatto di grandi visioni e piccole realtà. Per tornare infine nel presente, con la visita al Lanificio Subalpino, dove Nicolò Zumaglini ci ha mostrato come si possono coniugare tradizione e sostenibilità in una azienda più classica e orientata al mercato. Il presente, il campo in cui si gioca la partita più importante, fra concorrenza straniera, cambiamento del mercato, nuove sensibilità che emergono con sempre maggiore forza dalle persone.
La giornata di Torino è stata quella più densa. Ci siamo fatti prendere la mano e abbiamo trascinato il gruppo di frastornati tedeschi in un turbinio di incontri, storie, esperienze. “Forse sarebbe stato meglio avere più di tempo per digerire le informazioni, parlarne fra di noi, condividere le sensazioni”, ha commentato bonariamente qualcuno nel giro di feedback finali. Ma vivere l’esperienza di Italia che Cambia è anche – almeno in parte – questo senso di essere sopraffatti dagli stimoli che ricevi ogni giorno.
Dopo un giro del centro storico abbiamo incontrato Hakima e Malik presso i Bagni Pubblici di via Agliè, Casa del Quartiere nata per offrire una doccia calda a chi non poteva permettersela e diventata in breve un punto di riferimento per tutte le associazioni del quartiere, luogo di incontro e crasi di culture e tradizioni diverse. Hakima ci ha poi accompagnato in Piazza Foroni, dove proprio quel giorno si teneva BarrieraFiera, un mercato di quartiere che riuniva alcune delle realtà più interessanti della zona. Lì, dopo un pranzo verace a base di pasta e fagioli e patate, annaffiato di Menabrea, abbiamo fatto quattro chiacchiere con Daniela Re della Rete Solare per l’Autocostruzione che ci ha mostrato i suoi prodotti naturali per la bioarchitettura, e con le ragazze e i ragazzi di Fa Bene che ci hanno raccontato – davanto a un’ottima macedonia gentilmente offerta – la loro idea di raccogliere le eccedenze alimentari invendute provenienti dai mercati rionali della città e ridistribuirle a famiglie in difficoltà economica.
Dieci minuti dopo eravamo all’ingresso del MAcA, Museo A come Ambiente, il primo museo in Europa dedicato all’ambiente, nato esso stesso dal riciclo architettonico di una fabbrica dismessa. Paolo Legato, suo vulcanico direttore, ci ha spiegato il senso educativo di questa iniziativa pensata per i più giovani – ma che riesce a coinvolgere anche gli adulti – e che ogni anno ospita centinaia di bambini e ragazzi dai quattro ai diciotto anni. Dopodiché l’abbiamo fatta, la visita, riscoprendoci adolescenti curiosi di fronte a un microscopio o alle mille creature che popolano una goccia d’acqua.
Infine un salto sul balcone più eclettico e folle di Torino, a conoscere Maksim e Daria, meglio noti per la loro iniziativa: “Concertino dal Balconcino”. Davanti a un bicchiere di vino pugliese – che per alcuni dei partecipanti sono diventati due, poi tre – la coppia di artisti e performer ci ha raccontato come un’iniziativa nata un po’ come un gioco, che consiste per l’appunto nell’organizzare concerti ed esibizioni dal vivo sul proprio balcone di casa, si sia trasformata in un evento di culto della scena musicale Torinese, capace di attirare migliaia di persone e in difesa della quale si è scomodato persino il Guardian. Alcune recenti vicissitudini legali hanno infatti rallentato – non di certo fermato! – la “rivoluzione artistica” portata avanti dai due, per via del presunto superamento dei decibel consentiti per legge. “Ma torneremo, meglio di prima, la rivoluzione non si ferma!” ci dice Maksim, prima che Daria ci saluti facendo risuonare l’intero cortile con un acuto cristallino.
Prima di ripartire ognuno alla volta della propria destinazione (Berlino, Potsdam, Roma, Torino), ci siamo concessi un’ultima visita: Miagliano.
Come ci spiega la guida Maria Laura Delpiano, Miagliano è sede di uno degli storici lanifici della zona, costruito nell’Ottocento dalla famiglia Poma, che fino a cinquant’anni fa dava lavoro a 1200 operai. Oggi è un paese dal fascino magnetico, dove l’archeologia industriale si fonde con una natura vigorosa e con nuovi slanci culturali.
Dopo la chiusura degli stabilimenti, alcuni dei vecchi capannoni abbandonati sono stati completamente ricoperti da una vegetazione brillante, coi fusti degli alberi che hanno forato i vetri delle finestre e ripreso il sopravvento sulla calce e sui mattoni. Altri, più recenti, sono oggi sede di Amici della Lana, un’associazione che, come ci racconta Emanuela Tamietti, si occupa di tenere viva la tradizione di questa antica lavorazione attraverso mostre, spettacoli teatrali, iniziative culturali. Poco più avanti incontriamo Nigel Thompson, che alla lana ha dedicato la propria vita fin da quando, ragazzo, ha deciso di trasferirsi nel biellese, dando vita a Biella The Wool Company. Nigel seleziona minuziosamente la lana, che gli arriva con i camion, dividendola a seconda delle varie lunghezze e caratteristiche.
Combinare esperienze dirette e formazione: questo era il nostro obiettivo, che riprendeva il format già sperimentato nel primo viaggio. Nei momenti di formazione abbiamo declinato la parola “sostenibilità” innestandola sugli spunti vivi raccolti durante gli incontri. Così i laboratori “preparati” hanno acquisito forme impreviste, trasformazioni estemporanee nutrendosi dell’entusiasmo dei partecipanti. Ne sono nati confronti sull’economia circolare, prove radiofoniche per raccontare con coinvolgimento ed efficacia il cambiamento, riflessioni sulla comunicazione creativa del paradigma emergente, momenti di serio divertimento collettivo testando giochi sulla sostenibilità da proporre ai più giovani per comunicare con leggerezza la sostenibilità… E tanto altro.
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