Flaviano Bianchini: un “clandestino” al fianco delle comunità indigene – Io faccio così #267
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Flaviano Bianchini è dal 2012 tra i Fellow di Ashoka: imprenditori sociali che offrono soluzioni innovative per affrontare i problemi più urgenti della società. Fondatore di Source International, Flaviano chiama le industrie estrattive a rispondere delle proprie attività, fornendo alle comunità e alle associazioni per i diritti umani e ambientali gli strumenti per valutare gli effetti negativi dei progetti della costruzione di miniere, di dighe e di estrazione di petrolio.
Ci troviamo a Lecce per il raduno dei Fellow Ashoka, un evento annuale pensato per permettere ad un gruppo di “agenti del cambiamento” di connettersi e fare rete insieme. Quale occasione migliore per noi di Italia che Cambia per realizzare in un colpo solo una serie di video-interviste di qualità?
Conosco quasi tutti i partecipanti al raduno, ma tra di essi c’è una persona che – lo ammetto – non ho mai sentito nominare. E dire che sono sette anni che giro l’Italia alla ricerca di persone come lui. Il suo nome è Flaviano Bianchini, marchigiano di origine, ma con una vita vissuta in molte parti del globo. La sua storia mi colpisce ed emoziona come non mi succedeva da tempo e sono quindi particolarmente felice di poterla raccontare e anche che questa – simbolicamente – sia la prima “storia” che pubblichiamo sul nostro nuovo sito. Prima di andare avanti con l’articolo, guardate la video-intervista!
Source International – Strumenti per aiutare le comunità locali
Come spiega il video, tutto ha inizio nel 2005 quasi per caso: Flaviano stava per laurearsi in scienze ambientali quando incontrò un’attivista guatemalteca che si occupava di diritti indigeni legati al territorio, allo sfruttamento delle risorse e si batteva contro una impresa mineraria. La sua presentazione alle conferenze era emotivamente molto forte, ma le mancavano i dati, i numeri.
L’idea fu immediata: Flaviano decise di partire per il Guatemala con un biglietto di sola andata per raccogliere dati scientifici a supporto della ricerca in questione. Ci vollero due anni, ma ci riuscì: «Costruimmo il primo caso che nel 2007 – ci spiega Flaviano – e questo fu il primo esempio di crimine ambientale portato alla corte interamericana dei diritti umani, che poi 4 anni dopo nel 2011 obbligò lo stato del Guatemala a obbligare la compagnia mineraria a cambiare sistema estrattivo». Fu solo l’inizio. In seguito fu la volta di analisi dell’acqua, del suolo e del sangue in Honduras e nel Salvador.
Dopo alcuni anni e molti progetti, nel 2012 Flaviano viene nominato “Ashoka Fellow” (in Messico) e con il sostegno di questa organizzazione fonda l’associazione Source International, che da allora porta avanti questo genere di attività in modo più costante e strutturato, occupandosi di difendere le popolazioni che soffrono dello sfruttamento delle risorse: «La comunità indigena nel mezzo dell’Amazzonia che si trova invasa dalla grande compagnia di turno, ci chiama, noi raccogliamo i dati ma insegniamo anche alla popolazione a raccogliere i dati e monitorare la situazione – una sorta di cittadinanza attiva – e poi portiamo la cosa sul piano legale. Oggi abbiamo in corso molte cause con diverse compagnie, minerarie ma non solo. Ci occupiamo di tutto ciò che è sfruttamento delle risorse».
Oggi Source International ha sede in Italia ed ha alcuni dipendenti fissi e molti collaboratori. Al momento ci sono 39 progetti in corso. Tra questi solo uno è stato proposto “dall’alto”, dalle Nazioni Unite, tutti gli altri sono partiti da segnalazioni e passaparola.
«Quando abbiamo iniziato – ci confida – mi sentivo Don Chisciotte… oggi posso dire che abbiamo ottenuto tantissimi risultati. L’Honduras ha dichiarato 13 articoli della legge mineraria anticostituzionali perché violavano il diritto alla salute grazie ai nostri studi salvando così milioni di persone; in Messico abbiamo speso 25.000 euro ottenendo un risarcimento per la comunità di 50 milioni di dollari; abbiamo ottenuto che il secondo uomo più ricco del Messico arrivasse alla corte suprema di giustizia; in Perù grazie al nostro lavoro è stata dichiarata l’emergenza sanitaria e ambientale e la miniera ha deciso di chiudere e bonificare l’area; in Mongolia abbiamo ottenuto che venissero liberati i prigionieri di coscienza, arrestati per le proteste contro la miniera, perché abbiamo dimostrato che le loro proteste erano valide. E così via. Certo, per una che ne vinci cinque ne perdi, ma intanto qualcosa si è portato a casa».
Flaviano e l’Italia
Come abbiamo visto la sede dell’organizzazione è in Italia, a Pisa. «Da cervello in fuga – ci confida – volevo tornare e fare qualcosa qui: e nel mio piccolo ho avuto ragione. Quattro posti di lavoro creati e soldi esteri che confluiscono sul nostro Paese.
L’Italia – per vivere – è il posto migliore del mondo, la qualità della vita è altissima. Certo ci sono problemi che in altri posti non ci sono, le tasse sono un po’ più alte, ma quel 3-4% in più di imposte non vale la pena di lasciare il paese. C’è anche un tessuto sociale sensibile, certe tematiche riesci ad affrontarle bene. Io sono stato in altri paesi europei e posso dirlo: in Italia c’è una sensibilità di fondo maggiore. Voi parlate di Italia che cambia e fate bene! L’Italia è sempre cambiata, questo paese ha sempre avuto e ha inventiva, cose belle nuove e diverse che facciamo meglio degli altri.
Mi piacerebbe che gli italiani smettessero di piangersi addosso e si accettassero per quello che sono, che siamo. Ho vissuto in molti paesi europei e gli abitanti sono sempre orgogliosi del loro Paese, anche delle cose che non funzionano! Da noi è il contrario. Ci lamentiamo anche di quello che funziona. Lamentarci è il nostro sport nazionale. Non dico certo che dobbiamo osannare tutto, ma nemmeno lamentarci di tutto. Diventa demoralizzante. È un cane che si morde la coda».
Nuove avventure: Flaviano entra clandestinamente in Tibet e Stati Uniti
L’idea di scrivere libri è nata prima di tutto ciò. Racconta Flaviano: «Sono sempre stato appassionato di letteratura e scrittura, quando fui espulso dal Guatemala, venni accolto da Amnesty international come prigioniero di coscienza. E fui invitato alla riunione annuale dove conobbi un monaco buddista, anche lui prigioniero di coscienza per 33 anni in Cina (aveva subito torture di ogni tipo). Gli accennai che il Tibet mi ispirava e lui mi disse “vai, visitalo te e raccontamelo”. Due mesi dopo ero in Tibet: entrai di nascosto dentro un camion, attraversai il Paese a piedi e lo raccontai, mettendo in evidenza – l’anno prima delle Olimpiadi cinesi – tutte le violazioni dei diritti umani della Repubblica Popolare Cinese verso la minoranza tibetana. Fu così che scrissi il mio primo libro.
Il mio ultimo libro – Migrantes – racconta di quando mi sono finto un migrante latino americano raccontando le storie di sfruttamento e orrore. L’ho vissuto sulla mia pelle. Dopo aver spedito il passaporto a Città del Messico, sono partito, a piedi. Sono stato incarcerato, picchiato; ho passato notti intere con altre 40 persone in una cella di 4 metri per 4; ho viaggiato sul fondo di un camion e così via. Ho deciso di fare questa “esperienza” in prima persona per due motivi: da un lato non sono in grado di scrivere cose che non ho vissuto in prima persona. Dall’altro dopo aver vissuto tanti anni in America Latina e Africa, sentivo di essere un privilegiato.
Noi siamo dei privilegiati: se quando nasci ti ritrovi un passaporto italiano sei un privilegiato assurdo, anche nelle classi basse. Con i nostri passaporti andiamo dove vogliamo, abbiamo i servizi sanitari gratis, la pensione, ecc… Ho quindi deciso di provare a vivere come loro: un mese della mia vita senza essere un privilegiato. E da lì l’idea di fingermi latino americano al 100%, vivendola come la vivono loro. Ho pensato di non farcela almeno quattro volte al giorno per 21 giorni, tutti i giorni. Ho compiuto 30 anni durante quel viaggio e pensavo: “Sono un uomo di 30 anni atletico…”, anche in quella situazione ero un privilegiato. Quando pensavo di mollare e vedevo accanto la donna incinta, il ragazzino di 12 anni, signore di 50, famiglia con bambini, mi dicevo “non posso mollare io che ho un passaporto nascosto, quando loro non mollano”. Così anche senza volerlo essere ero comunque un privilegiato».
Intervista: Daniel Tarozzi e Paolo Cignini
Realizzazione video: Paolo Cignini
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