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Anche quest’anno Rete di Reti ha organizzato la sua “scuola”: cinque giornate di apprendimento e confronto dedicate al tema “Quale sostenibilità per quali comunità?”.
Rete di Reti – per chi non lo sapesse – è un ecosistema di soggetti in rete che hanno sentito l’esigenza di far fronte comune di fronte all’attuale crisi ecologica e sociale, condividendo i frutti della propria esperienza, sia in termini di immaginario che di pratiche. Attualmente aderiscono: Associazione Decrescita, Bilanci di Giustizia, Movimento per la Decrescita Felice, Rete Economia Solidale, Rete Italiana Cohousing e Rete Italiana Villaggi Ecologici; mentre Comune-info, Italia che Cambia e Terra Nuova sono media partner.
All’interno dell’ex manicomio romano Santa Maria della Pietà, ospitati dall’Associazione Ex Lavanderia, i partecipanti sono stati chiamati a riflettere sulle forme e declinazioni delle comunità e sul significato più profondo della parola “sostenibilità”, osservando le interazioni fra i suoi diversi aspetti: economico, ambientale, sociale, psicologico etc.
Le giornate sono state scandite da incontri con chi riflette e agisce in direzione di territori alternativi, lezioni formali e facilitazione, dedicando un po’ di spazio anche al gioco: uno dei modi più belli di imparare, perché – come dice Leonardo, partecipante – siamo tutti un po’ bambini dentro. Dunque gioco, ma anche capacità di accogliere il dolore, ascoltando le testimonianze di coloro che provengono da contesti oppressivi – come ha fatto notare Neil, partecipante e viaggiatore originario di Malta – e comprendendo attraverso le loro parole la realtà in modo più integrale.
Il gruppo si è rivelato essere variegato per età e provenienza, sia in senso geografico che associativo e culturale. Dall’esperienza comune delle giornate della Rete di Reti, pertanto, ognuno ha portato a casa qualcosa di diverso.
Elena, per esempio, è presidente di MiCò, un’associazione di promozione sociale attiva nell’accoglienza non istituzionale, e insieme a Claudio ha dato vita a Humus, una start up a vocazione sociale che si pone come intermediario etico fra manodopera e aziende agricole. Gli incontri e gli scambi avvenuti durante le giornate della Rete di Reti hanno fatto rinascere in loro la speranza di potersi connettere alle realtà animate da principi simili, sostenendosi a vicenda.
Leonardo, rientrato in Italia dopo tre anni di studio all’estero e intenzionato a riscoprire il proprio territorio a partire dai margini, è giunto alla Rete di Reti con il forte desiderio di “toccare con mano, materializzare e sostenere la risoluzione di alcuni problemi della società che ho avuto modo di studiare sulla carta durante l’Università”. L’incontro con alcuni partecipanti “neo-contadini” – un po’ antichi e un po’ innovativi, capaci sia di mettere le mani nella terra che di mantenere il contatto con la vita sociale e culturale cittadina, influenzandola e lasciandosene influenzare – è stato “una bella fonte di ispirazione”.
L’esigenza di concretezza, di azioni da mettere in pratica fin da subito – come ha riportato Samuele, agente di cambiamento – e traducibili con un linguaggio immediato e accessibile a tutti – come espresso da Luca, ricercatore – ha accomunato un po’ tutto il gruppo.
“Non credo tanto nell’andare a dire agli altri che devono fare qualcosa di diverso. La costruzione di un cambiamento parte da coloro che lo vivono in prima persona, e che allo stesso tempo comunicano con l’esterno. Credo che le persone avranno sempre più bisogno di trovare alternative, perché si troveranno in situazioni critiche da un punto di vista fisico, psicologico, spirituale, di accesso al cibo, alle risorse, ad un lavoro, ad un’esistenza dignitosa. Sarà necessario fare da collegamento e mostrare altre modalità possibili”, ci ha raccontato Gabriele, socio di Woof Italia, augurandosi che “le persone ascoltino e osservino molto di più ciò che sta loro intorno.
“Diceva qualcuno – afferma Davide – che abbiamo due occhi e due orecchie per guardare e ascoltare il doppio, e una bocca per parlare la metà. Tutto parte da lì secondo me. Quando cominciamo a guardare e ascoltare iniziamo a renderci conto di più dei nostri bisogni, di quelli altrui, del territorio, della terra… Poi ognuno sceglie di vivere come vuole, ma mi auguro più consapevolezza”.
Johanna, viaggiatrice tedesca alla scoperta dei vari modi in cui le persone vivono e stanno insieme, ha confermato l’esigenza di mettersi in ascolto, anche per coordinarsi con le realtà già attive invece di agire ognuno per conto proprio in modo ridondante.
E se Gabriele ha affermato di non credere molto nella possibilità di trasformare il modello esistente, ma piuttosto nel crearne uno diverso, Johanna ha riportato con entusiasmo l’intervento di Michel Cardito: “Noi abbiamo un onere diverso dalle generazioni precedenti. Non siamo chiamati a perderci nel discutere un termine, a provare che il capitalismo o altri sistemi non funzionano. Siamo invece chiamati a sperimentare”.
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