8 Mag 2019

Torino, la città del cinema che parla di ambiente

Scritto da: Alessandra Profilio

Gaetano Capizzi, fondatore e presidente di CinemAmbiente, ripercorre la storia del festival nato a Torino oltre vent'anni fa, riflettendo sulla crescita della coscienza ambientale ed il suo influsso sulle produzioni cinematografiche.

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Torino - Dai fratelli Lumière ad oggi l’ambiente ha sempre fatto parte del cinema assumendo una rilevanza e connotati diversi in accordo con la coscienza ambientale che si è andata via via sviluppando nell’opinione pubblica. La questione ambientale, oggi, non è rappresentata soltanto nei documentari ambientalisti ma è presente anche nel cinema mainstream, in linea con quella sorta di “egemonia culturale” dell’ambiente che oggi domina l’arte e l’immaginario. E questo non può che essere positivo.

Il cinema ambientalista, in particolare, ha adottato negli anni vari linguaggi e oggi mostra come suo fine evidente un forte richiamo all’azione di tutti, andando così oltre la denuncia e l’allarmismo.

Di cinema e ambiente, della crescita della coscienza ambientale e del suo influsso sulle produzioni cinematografiche ha parlato il fondatore e direttore di CinemAmbiente Gaetano Capizzi, intervenuto ad un seminario su “Ambiente, cultura e spettacolo” organizzato dalla Federazione Italiana Media Ambientali (FIMA) presso l’auditorium del ministero dell’Ambiente di Roma.

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Capizzi ha ripercorso la storia del festival cinematografico CinemAmbiente nato alla fine degli anni ’90 a Torino e giunto oggi alla sua 22esima edizione, che si terrà dal 31 maggio al 5 giugno nel capoluogo piemontese. Di anno in anno crescono le proposte ed il pubblico, che diviene sempre più giovane e variegato.

“Il festival CinemAmbiente è nato in un periodo di riflessione e sperimentazione sulla comunicazione, l’informazione e l’educazione ambientale. L’intento era quello di trovare la chiave per comunicare al grande pubblico in modo corretto i temi ambientali, che sono scientifici e complessi. Torino per un fortunato connubio era la città del cinema e la città dove le associazioni ambientaliste erano ben radicate: dall’unione tra persone che come me si occupavano di cinema ed attivisti ambientali è nato CinemAmbiente”.

La prima edizione ha avuto luogo nel 1998 ma il processo che ha portato alla nascita del festival era stato avviato due anni prima. “Nel 1996, decennale di Chernobyl, tutto il mondo cercava di ricordare quel momento con tante iniziative. Torino quell’anno ha presentato una rassegna cinematografica dedicata al disastro nucleare. Abbiamo scoperto infatti l’esistenza di vari filmati e siamo riusciti a trovare e presentare delle immagini impressionanti dei momenti dell’esplosione.
Era anche un periodo in cui era stata tolta la segregazione sugli esperimenti nucleari americani. Con la rassegna, dunque, abbiamo avviato una riflessione sul nucleare ed il risultato è stato un evento che ha riscosso molto successo di pubblico e critica. Abbiamo quindi pensato di estendere il racconto ad altre tematiche connesse all’ambiente e da lì è iniziata la nostra avventura”, ricorda Capizzi.

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“Ci siamo trovati nel momento giusto: era il momento in cui esplodevano i problemi e iniziava a svilupparsi una certa consapevolezza. Negli ultimi 20 anni la crisi ambientale è divenuta evidente e ha iniziato ad influenzare anche l’arte. Oggi, ad esempio, ci sono scrittori che scrivono solo di tematiche ambientali e a Torino c’è un corso universitario di ecocritica, che consiste nella rilettura della letteratura dal punto di vista dell’ambiente. È un filone che attira molti studiosi e io spero che questa linea interpretativa venga estesa anche al cinema, perché anche i film possono essere riletti dal punto di vista della visione della natura”.

Il fondatore di CinemAmbiente fa notare che la natura ha sempre fatto parte del cinema, sin dai suoi albori. “Una delle prime immagini cinematografiche dei fratelli Lumière ritrae l’esplosione di un pozzo di petrolio. Poi ci sono stati grandi documentaristi come Robert Flaherty, pioniere e maestro del documentario, o l’italiano Vittorio De Seta che nella sua produzione riflette il cambiamento della Sicilia degli anni ’60.
Il grande documentarismo, insomma, ha sempre guardato alla natura. Se prima però questa era lo scenario in cui si svolgevano fatti e drammi umani, ad un certo punto è divenuta protagonista. Poi, ancora, c’è stato un secondo momento coinciso con gli ultimi 20 anni in cui non si è più rappresentata la natura nella sua bellezza ma si è cominciato a puntare l’attenzione sui disastri ambientali”.

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Gaetano Capizzi ricorda quindi che i primi documentari di questo genere erano realizzati e prodotti prevalentemente dalle associazioni ambientaliste e in particolare da Greenpeace che ha sempre focalizzato le proprie attività sulla comunicazione delle sue azioni a forte impatto simbolico o dimostrativo.

In seguito le cose sono cambiate con l’avvio del filone del cinema ambientalista militante con alle spalle importanti firme e grandi case di produzione. “Si arriva così ad ‘Una scomoda verità’ di Al Gore, che a livello mediatico è stato una bomba, ha fatto scoprire i cambiamenti climatici al grande pubblico ed è uno dei documentari che ha incassato di più nell’intera storia del cinema. Un altro grandissimo successo è stato ‘The Cove‘, film sulla mattanza dei delfini che ha vinto l’Oscar”.

In Italia CinemAmbiente è divenuto il principale catalizzatore di questo genere che oggi più che mai è vivo e ha una produzione enorme. “L’anno scorso abbiamo ricevuto 3200 proposte di film per il nostro concorso”, dice Capizzi. “Più generale – continua – è evidente che l’ambiente in questi anni abbia sviluppato una sorta di egemonia culturale nell’immagine e nell’immaginario, e ciò a mio avviso è positivo. Si pensi alla pubblicità (non si può più vendere niente che non sia ‘green’, o perlomeno che sia spacciato come tale.) o allo star system che si è schierato dalla parte dell’ambiente (Leonardo DiCaprio, Madonna e tanti altri).

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“Tutto il mondo del cinema è investito da questa egemonia culturale ambientale. Vedo un avanzare della sensibilità, un accoglimento della causa da parte degli artisti e del cinema mainstream, non solo ambientalista. Ormai è comune trovare il tema ambientale in molti film e film d’animazione ed è proprio così che alcuni ragazzi del movimento Fridays for Future hanno iniziato ad interessarsi ai temi ambientali, come hanno dichiarato loro stessi nelle interviste. Sarebbe interessante peraltro – aggiunge Capizzi – capire come una quindicenne, Greta, sia riuscita a smuovere milioni di giovani in tutto il mondo. C’è chi dice che si tratti di una moda, ma io non credo. Penso piuttosto che le nuove generazioni temano per il loro futuro e vogliano prendere in mano la situazione”.

“Di certo – afferma Capizzi – non si può dire che il cinema non abbia dato l’allarme sui cambiamenti climatici e sui problemi ambientali. Per molto tempo il cinema ambientalista è stato definito catastrofista e per questo accusato di allontanare il pubblico da questi temi.

Con la nostra esperienza di CinemAmbiente vedo che i film degli ultimi periodi sono sì di denuncia ma non allarmisti e, soprattutto, danno informazioni pratiche su come fare a risolvere il problema di cui il film parla. Spesso alla fine del film c’è un decalogo delle azioni possibili da intraprendere nel concreto. Si tratta dunque di film che cercano di far uscire lo spettatore fuori dalla sala cinematografica con la speranza di poter far qualcosa in prima persona. Noi come utenti possiamo fare tanto, non tutto, ma molto sì. E il cinema oggi punta proprio a questo”.

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