Seguici su:
Adesso posso anche ammetterlo: la prima volta che sono stato in Islanda, nonostante ci abbia trascorso quasi un mese, dell’isola e dei suoi abitanti ho capito ben poco. È per questo che ci ho scritto un libro: i libri, perlomeno i libri come quello che ho scritto io, che parlano di rivoluzioni, cambiamenti radicali, svolte economiche, si possono scrivere solo quando una storia la si conosce abbastanza poco da poterla adagiare sul letto delle proprie speranze e convinzioni. Se si approfondisce tutto diventa irrimediabilmente complesso, naufraga ogni tentativo di narrazione lineare e non si riesce più a dimostrare niente.
Sarà per questo che mi è piaciuto così tanto Terreni, il nuovo romanzo (si potrà chiamare così un diario?) della scrittrice islandese Oddný Eir Ævarsdóttir, da poco uscito per Safarà Editore: perché segue esattamente il percorso opposto. Non deve dimostrare niente, non vuole neppure raccontare niente di che, eppure proprio questo non dover trovare un senso a tutti i costi, un finale coerente, un messaggio compiuto, gli permette di sfiorare l’essenza delle cose e farla emergere per quello che è.
Ma facciamo un passo indietro. Terreni è una sorta di diario della scrittrice, il racconto del suo ritorno in Islanda e della ricerca di un luogo dove mettere radici. Oddný Eir è una donna che ha vissuto in tanti luoghi diversi, fatto un sacco di cose (è stata curatrice di eventi di arti visive a New York, traduttrice, ha collaborato con Bjork, ha scritto altri due romanzi per cui ha vinto diversi premi) e a un certo punto ha scelto di tornare a vivere sulla propria isola.
L’Islanda la si conosce meglio se non la si conosce. Solo dopo due viaggi e un po’ di studio l’ho capito, e ho capito di non poterla capire, che più ti sforzi di trovarci un senso più ti sfugge. La devi sentire in quel rapporto viscerale con l’Hekla e gli altri vulcani dai nomi terrificanti, con le cascate dove vennero uccisi gli dei pagani, con le scogliere nere dove approdarono i vichinghi e i ghiacciai che custodiscono memoria delle ere geologiche. Ogni elemento qui è in grado con la stessa facilità di curarti le ferite o di spazzarti via dalla faccia della terra.
La sua ricerca è anche un viaggio di scoperta che si dipana nello spazio e nel tempo. È accompagnata dal fratello Ugli e dal compagno Fugli che in qualche modo involontario mi pare rappresentino proprio queste due dimensioni. Fugli, ornitologo, è un profondo conoscitore dei luoghi, la conduce a fare l’amore nelle profondità delle grotte, conosce nomi e usanze di tutti gli animali, viaggia nei luoghi più sperduti, si accampa alle pendici dei vulcani, è il rapporto profondo con la Terra. Ugli, archeologo, è il rapporto con il tempo, con le proprie radici familiari, con il passato, le origini vichinghe e ancor prima i Papar, monaci irlandesi che abitavano l’isola prima dell’anno Mille. Ma anche col futuro, ha due figli a cui zia Oddný Eir legge le saghe dei Vichinghi. Ugli scava alla ricerca di antiche abitazioni vichinghe, in cerca di nuove interpretazioni che forniscano stimoli per un presente vivo e dinamico.
Sullo sfondo, ma nemmeno troppo, un’Islanda reduce dalla crisi economica, che vive una rinascita della partecipazione e dell’interesse verso il proprio futuro, che si interroga, assieme all’autrice, sul senso della democrazia, sul fine dell’economia, su quale siano i suoi veri patrimoni, se le banche o gli ecosistemi naturali.
La cosa più sorprendente di questo libro è, dal mio punto di vista, la sua capacità di raccontare la natura senza parlare della natura. Parla degli esseri umani, e ne parla “come” natura. Non esiste alcuna distinzione fra naturale e artificiale. Gli esseri umani si danno nomi di animali per riconoscersi, gli animali e le piante popolano le vite e i sogni dei protagonisti, portano messaggi da altri tempi e da altri luoghi.
Così la ricerca di un luogo dove vivere diventa un viaggio molto più intimo alla scoperta della natura delle cose. Senza bisogno di dirlo, né di trovarci un senso. Un po’ come la vita che avviene comunque, anche se non ci fermiamo a pensarla.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento