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“Ci sono le albe, i tramonti, i cavolfiori, i miei clienti. Ci sono le ferite e ago e filo per ricucirsi. Non ci sono colpi di scena e non c’è nessuno che muore. E, forse, alla fine ci salviamo tutti”. È questa la descrizione che Francesca Pachetti mi dà del suo “libro innamorato, che non chiede niente e non porta slogan, ma chiede solo di amare”. Si tratta di “La Raccontadina”, edito da Pentagora e in uscita il 10 aprile, che porta un titolo omonimo del blog su Facebook con cui Francesca parla della la sua quotidianità da contadina.
Nel libro, come nella vita, Francesca segue le stagioni e parla attraverso dei racconti del lavoro nella terra e del rapporto con i clienti. Questi piccoli elementi quotidiani sono il tramite per arrivare a considerazioni più ampie, riflessioni interiori. “È stato un lavoro esterno, quello nella terra, che si è fatto interno: conosci di più te stessa e senza interferenze esterne ti arrivano tanti messaggi dalla natura: non c’è un inizio e una fine, ma tutto si trasforma, tutto ha un significato e ogni cosa è semplice, anche se difficile da raccontare”.
Ma come accade che una contadina scriva un libro? Una domanda che Francesca si è sentita porre – e si è posta – più volte, ma che in realtà ha una risposta semplice e naturale, così come la terra su cui lavora. “I miei racconti nascono direttamente dal mio lavoro nella terra e dall’incontro con le persone, arrivano in modo naturale da lì”. Non c’è un modo “pensato” per scrivere questo libro, ma la semplice voglia di scrivere, una necessità, portata avanti di notte perché il lavoro nei campi richiede tempo.
Il blog “La Raccontadina”, “nato per un esubero di bellezza che sentivo”, ha acquisito, infatti, visibilità nel tempo fino ad essere notato da un editore intenzionato a farci un libro. “È stato molto bello, perché mi ha messo di fronte alle mie resistenze. Mentre scrivevo mi dicevo ‘Non piacerà’ oppure ‘Non sono una scrittrice’ e questo mi ostacolava; ma alla fine sono riuscita a superare i miei limiti – che è ciò che ogni giorno si fa nella terra”.
È proprio come se il lavoro nella terra e la scrittura fossero due parti complementari della stessa necessità, due modi diversi di esprimersi eppure collegati fra loro. Un nodo che torna più volte, perché ogni cosa rimanda intimamente all’altra. E perché quello che Francesca ha fatto nelle pagine del suo libro non è stato altro che seminare: “Non so se nasceranno papaveri o rose, io ho gettato i semi e i semi faranno il loro percorso”.
Non ci sono slogan o parole facili che idealizzano la vita nei campi. “Io dico sempre che non sono alternativa, sono contadina: se vado a prendere mio figlio a scuola con gli stivali è perché questo è ciò che faccio nella vita. Se vivo di cose essenziali non è per moda, è essere contadina”. Un’altra cosa che la terra insegna, e che è ben chiara fin dalla copertina del libro, è che i sogni non sono miracoli: hanno bisogno di impegno, di lavoro, e soltanto dopo potranno realizzarsi.
Francesca è felice quando parla di questa nuova creatura nata dal suo lavoro e soprattutto dai suoi bisogni: “La terra, così come la scrittura, per me è una necessità. Non so cosa avverrà dopo la pubblicazione di questo libro, ma per me la priorità è la terra ed è lì che continuerò a stare”.
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