Dynamo: la rivoluzione della bicicletta parte da qui – Io faccio così #246
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Bologna, Emilia-Romagna - Negli ampi locali che ospitano Dynamo, anni fa venivano parcheggiate trenta automobili. Trenta, non una di più. Oggi, oltre allo spazio espositivo delle bici e delle cargo-bike a noleggio, alla reception, all’area relax, alla ciclo-officina e ai bagni, trovano ricovero circa quattrocento biciclette.
Basterebbe questa proporzione per capire che nell’Italia iper-motorizzata in cui viviamo c’è qualcosa che non funziona. E non sono solo i livelli di inquinamento oltre i limiti di guardia, le ore passate nel traffico, gli esorbitanti costi economici e sociali a segnalare la necessità di un cambio di rotta. L’auto ci sta togliendo lo spazio di vita.
È un aspetto su cui Simona Larghetti, project manager di Dynamo, insiste molto nel corso della nostra chiacchierata. «In questa urbanistica in cui siamo sempre chiusi in casa o in macchina – sottolinea – stiamo perdendo il valore della strada come luogo pubblico dove scambiare relazioni, incontrarsi, dove i bambini possano giocare».
Lo vediamo con i nostri occhi esplorando gli spazi di Dynamo. Grandi stanzoni in cui anni fa le persone entravano in macchina e uscivano a piedi, testa bassa e borsa in mano, oggi sono un luogo più vivo che mai. Qui vengono papà interessati a provare l’ebbrezza di portare in giro i propri bambini in cargo-bike. Qui fanno tappa i turisti appena usciti dalla vicina stazione per noleggiare una bicicletta e visitare in maniera lenta ed ecologica il capoluogo emiliano. Qui si fermano gli studenti con qualche guaio alla propria bici per scambiare quattro chiacchiere e raccogliere i preziosi consigli dei meccanici mentre gliela riparano.
Senza perdere di vista l’idea originale che ha dato vita alla velostazione: «Dynamo è nata nel 2015 come centro di servizi per i ciclisti urbani», racconta Simona. «Prima di tutto come parcheggio custodito, un servizio che a Bologna mancava, per chi va a lavorare in treno e ha bisogno di lasciare la bici in un posto sicuro. Da questa idea si sono aggregate tutte le altre necessità che chi si sposta in bici ha, come quella della riparazione o della vendita, ma soprattutto progetti educativi, culturali e di aggregazione che servano a sviluppare la cultura della mobilità ciclistica».
Questo luogo ha anche il pregio di smentire i pregiudizi che ancora oggi gravano sul mondo delle due ruote: la bicicletta è obsoleta, la bicicletta è per i poveracci, la bicicletta è un hobby e non un mezzo di locomozione. «Quando siamo partiti come cooperativa Dynamo – ricorda Simona – eravamo sette ragazzi che venivano da esperienze lavorative molto varie. Tutti eravamo accomunati dalla passione per la bici e dal desiderio di farne una professione. Adesso siamo tredici persone che lavorano a tempo pieno, di cui sette soci della cooperativa e quattro dipendenti. Questo ci ha confermato che la bicicletta non è solo una passione ambientalista o una velleità utopica, ma può essere anche un lavoro. Da quando siamo partiti sono nate tante professioni e anche altre esperienze in Italia stanno portando avanti questa idea, perché per sviluppare la mobilità ciclistica serve competenza, si possono creare un’economia e un settore che in altri paesi europei esiste già e sta nascendo anche da noi».
Il successo di questo progetto certifica che la gente è pronta al cambiamento. La rivoluzione ciclistica deve partire però in maniera condivisa, abbattendo le barriere e i pregiudizi e facendo leva sulla diffusione di una cultura della ciclabilità. Occorre il supporto deciso e sincero da parte delle istituzioni: laddove c’è stato, i benefici in termini di vivibilità urbana si sono visti. «Le persone hanno voglia di cambiare – conclude Simona – ma bisogna farlo insieme, non imporlo dall’alto».
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