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Quando pensiamo al Tibet, forse pensiamo alle vette dell’Himalaya, magari al Dalai Lama e alla storia di queste terre, ai monasteri buddisti. L’immagine del Tibet evoca “altezza”, in più sensi. È uno di quei luoghi che percepiamo connessi al sacro, spazi che ci invitano all’interiorità e ad una coscienza più attenta, al silenzio.
C’è stato un tempo in cui le pratiche contemplative, la meditazione, erano appannaggio di pochi esperti ed iniziati, nei templi e nei monasteri di ogni credo. Questi luoghi hanno permesso di tramandare pratiche, i cui benefici la scienza ha oggi validato, e saperi antichi.
C’è stato anche un tempo, non così lontano, in cui la chiamata verso una nuova spiritualità, ha portato donne e uomini di tutto il mondo, ad intraprendere lunghi viaggi verso l’India, il Tibet, o l’Amazzonia, dove ancora esistono popolazioni custodi di una sapienza millenaria.
Questi luoghi, come i monasteri del XX secolo, spesso laici e spazi di integrazione tra l’approccio orientale ed occidentale, sono ancora oggi importanti. Possono essere potenti incubatori e acceleratori del nostro cambiamento, così come l’esperienza di un pellegrinaggio.
Ma tutte le tradizioni millenarie, la filosofia perenne, e i movimenti attualmente più attivi nel cambiamento di coscienza, ci ricordano che il vero viaggio è un viaggio “da fuori a dentro; dalla periferia, al centro”. Spesso spostiamo ciò che dovrebbe avvenire dentro, fuori. Tendiamo a delegare all’esterno ciò che è necessario fare dentro.
Un’altra tentazione in cui incorriamo spesso è quella di evadere le difficoltà quotidiane, della vita, cercando luoghi protetti lontani dal nostro caos esistenziale. È più facile meditare nel tempio, che a casa dei nostri genitori…
Sembra invece che la sfida del nostro tempo sia “scaricare a terra, portare a casa”, cioè lavorare dentro di noi, nel proprio contesto; essere glocal, agire nella propria comunità, famiglia, a livello locale, per poi avere un impatto a livello globale.
Stare con ciò che abbiamo, agire nel luogo in cui ci è dato in questo momento di vivere, non ha a che fare con la rassegnazione, non significa rinunciare a cambiare le cose in futuro, ma sintonizzarci su ciò che c’è ora, così come si manifesta in questo momento. È fare il meglio che possiamo fare con ciò che abbiamo. È riconoscere il momento presente come il terreno fertile per la nostra crescita. Con tutto ciò che comporta, che significa anche avere a che fare con l’imprevisto, lo sgradevole, il doloroso.
In questo modo possiamo evitare anche la trappola paralizzante, di rimandare ad un altro momento, ad un altro luogo, che immaginiamo “più adatto, migliore”, ciò che invece possiamo fare proprio adesso; o il pericolo di non essere mai pronti, preparati, di non avere mai tutte le condizioni che ci servono per intraprendere il viaggio… C’è bisogno di passare dall’ideale al reale.
Questi sono solo alcuni temi del webinar che abbiamo proposto lo scorso giovedì, la cui registrazione potete trovare qui sotto, per trovare suggerimenti e spunti per applicare questa piena attenzione nella vostra “casa”.
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