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Roma, Lazio - Nato cinque anni fa nel quartiere romano di Centocelle, il primo coworking con spazio baby, pensato per andare incontro alle esigenze delle famiglie e divenuto un punto di riferimento per centinaia di persone, deve ora chiudere perché l’amministrazione chiede indietro i locali.
Il coworking nacque per volontà dell’allora assessorato alle Periferie che concesse gli spazi all’associazione di volontariato Città delle mamme. Il primo contratto di affidamento stipulato è rimasto valido per 18 mesi, poi c’è stata una proroga del municipio e ora la “cacciata”.
L’Alveare, questo il nome del luogo pensato per il lavoro condiviso delle mamme e per il gioco dei bimbi, nacque nel 2014 per fornire una soluzione al problema della conciliazione di lavoro e famiglia e per coniugare in uno stesso luogo la comodità del coworking e l’utilità di un servizio educativo per bimbe e bimbi dai 4 mesi ai 3 anni. Lo spazio, inoltre, era stato pensato per consentire ai genitori, alle mamme in particolare, di rientrare al lavoro gradualmente dopo l’arrivo di un bebè, in un ambiente accogliente e adeguato alle nuove esigenze.
Come ci ha raccontato Serena Baldari quando abbiamo visitato L’Alveare, “una giornata standard all’Alveare accoglie le mamme con i loro figli intorno alle 10, i bambini vengono affidati all’educatrice dello spazio baby e verso le 12 si mangia tutti insieme. Ovviamente il co-working è aperto a tutti e lo spazio baby è solo un’opportunità in più che si offre a chi ne ha bisogno. Il luogo è stata anche un’occasione di incontro tra professionalità diverse”.
Non solo. Progetto innovativo di welfare urbano, L’Alveare ha anche reso possibile la rigenerazione degli spazi pubblici che inutilizzati e in stato di abbandono, si sono trasformati in un luogo curato, attivo e vissuto dal quartiere. “Al momento della presa in carico dei locali, sono state sostenute tutte le spese economiche necessarie al ripristino degli spazi, che avevano subito furti e danni, essendo rimasti incustoditi per circa tre anni, e alla messa a norma degli impianti. In seguito tutte le spese relative a manutenzione e utenze sono state regolarmente pagate”, si legge in una nota.
“Nel corso di questi quasi cinque anni – si legge ancora – L’Alveare è dunque stato un luogo di riferimento per centinaia di persone, fornendo una soluzione al problema della conciliazione famiglia-lavoro, offrendo un luogo di lavoro a lavoratrici e lavoratori atipici, ospitando attività di formazione e ricreative, organizzando workshop e seminari dedicati al mondo del lavoro e della comunicazione, ospitando tre progetti completamente gratuiti per l’utenza, finanziati attraverso bandi regionali.
È stato un punto di incontro per genitori, famiglie e persone del quartiere, ha lavorato in rete con altre associazioni del territorio, ha stretto partenariati con le principali università capitoline, ha collaborato con altri coworking romani e nazionali, è stato case study per decine di ricerche universitarie, è stato costantemente attenzionato da media, stampa e tv nazionali e estere”.
“Alla luce di tutto questo, ci sembra che la scelta avvenuta a fine gennaio di imporre la chiusura de L’Alveare e mettere bruscamente fine ai servizi in corso, a fronte di una concessione ritenuta non più valida, dando più importanza alle procedure, e non alla sostanza, sia una soluzione che non tiene conto del valore e del peso del progetto. E ignora le immediate conseguenze, ossia il danno recato a chi all’interno dell’Alveare lavora e trova, quotidianamente, una risposta alle proprie esigenze, grazie a un servizio innovativo che non ha eguali nell’intero territorio cittadino”.
La bellissima esperienza de L’Alveare si concluderà, purtroppo, domenica 31 marzo, con un incontro per fare un bilancio di questi cinque anni e salutare le persone che hanno seguito il progetto fino a questo momento.
“La notizia della chiusura de L’Alveare è una notizia molto triste – commenta su Facebook Giorgia, amica e frequentatrice del coworking – Roma ha un grandissimo bisogno di spazi come questo, uno spazio di lavoro, di aggregazione, di conciliazione, di cultura e di socialità, che un’Amministrazione giusta e illuminata dovrebbe valorizzare e supportare, di certo non chiudere per questioni puramente burocratiche come invece ha scelto di fare”. Sembra assurdo, eppure…
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