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Basilicata - Riforestare il pianeta potrebbe essere una delle strategie più efficaci contro i cambiamenti climatici, che con la siccità al Nord, l’aumento delle temperature medie di 1,5°C negli ultimi 50 anni, e le crescenti alluvioni stanno ormai colpendo pienamente anche l’Italia.
Reforest Matera’s Land è il progetto appena lanciato da un gruppo di giovani professionisti rimpatriati dopo anni di esperienze all’estero. Si tratta di un progetto pilota di riforestazione di 5 ettari di terreno. L’obiettivo è creare una rete di proprietari che vogliono mettere a disposizione le loro terre per la riforestazione del territorio. Un sogno tutt’altro che irrealistico, dato che a pochi mesi dal lancio del progetto sono già 5 gli agricoltori che hanno contattato l’associazione per replicare il progetto sui loro terreni. Nel frattempo si sta creando una rete di economia rigenerativa in grado di sviluppare nuovi prodotti e servizi, e soprattutto una nuova cultura della convivenza. In questo articolo cerchiamo di capire meglio questo progetto, le sue radici nella permacultura e negli approcci più promettenti di restauro ecologico degli ecosistemi, e quello che ognuno di noi può fare per mitigare il cambiamento climatico, rigenerare i nostri territori e attivare le comunità locali.
Pietro Franco, 31 anni, ispiratore del progetto, ci ha raccontato di aver vissuto 13 anni in giro per il mondo, tra borse di studio, tirocini, viaggi. “Ho studiato biologia marina e mi sono laureato un anno e mezzo fa in Cina. È stato lì che ho iniziato a vedere in faccia la realtà. La Cina è una superpotenza di neo-capitalismo sfrenato, con un problema di inquinamento enorme, in cui tutti mangiano tutti. In realtà sono gli stessi problemi che abbiamo in Italia, qui sono soltanto più mascherati. Studiando biologia facevo esami, scrivevo articoli scientifici, ma non affrontavo i le vere tematiche importanti, quelle della sostenibilità e della rigenerazione di tutto quello che abbiamo distrutto e che stiamo distruggendo. Nel mio viaggiare mi sono reso conto che pur imparando molto, stavo anche approfittando del sistema e che ero parte integrante del problema. Invece di sentirmi in colpa ho pensato: che posso fare con le cose che ho imparato? Ho pensato di metterle a frutto in un progetto più grande”.
Qual è stato il primo passo una volta che hai realizzato di voler mettere a frutto le tue conoscenze?
Avevo 2 anni di borsa di studio residui e ho viaggiato per trovare le opzioni alternative possibili, anche al costo di rischiare di essere cacciato dal dottorato che stavo facendo e perdere la mia borsa. Ho visitato tutte le realtà che potevo per imparare: Auroville in India, in Giappone una valle intera di contadini che si scambiano i prodotti senza usare i soldi (un’esperienza nata negli anni Settanta raccontata nel documentario “I raccolti del futuro. Come l’agriecologia può nutrire il pianeta” di Marie-Monique Robin), in Messico comunità che hanno salvato i semi autoctoni dalla Monsanto. Ho lavorato presso molte fattore innovative tramite il Wwoofing. Ho fatto un corso di permacultura in Nuova Zelanda.
Ho visto che il cambiamento è possibile e viene dal basso. È ben strutturato e sempre più diffuso. Ci sono moltissimi progetti che stanno nascendo in varie parti del mondo. La soluzione c’è, dobbiamo solo rimboccarci le maniche. Ho sentito il bisogno di dire basta parlare, andare a conferenze, accumulare conoscenze scientifiche. Imparare è importante, ma quando mettiamo in pratica le nostre conoscenze? Abbiamo tutti una responsabilità.
Dopo aver visto tante esperienze innovative in giro per il mondo, cosa ti ha spinto a tornare a Matera?
Ho sentito una voce crescente in me che diceva: torna a casa! Sia per risolvere cose mie personali, sia perché volevo contribuire a quella che sento essere la mia terra. Tornando qui, il desiderio era quello di creare un piccolo ecovillaggio fuori della città, ma io e i miei amici abbiamo visto che è difficile sia dal punto di vista burocratico che per quelle che sono ora le nostre vite, avendo tutti un lavoro. Rendendomi conto che non era fattibile, ho pensato che la prima cosa che mi faceva male tornando qui a casa, con tutto quello che avevo imparato sulla permacultura e la rigenerazione, quello che mi muoveva dentro, era vedere tutti questi campi intorno alla città privi di bosco. L’intero comprensorio del Materano era un tempo ricoperto di boschi primordiali. Basti pensare che il nome ‘Lucano’ deriva dal latino lucus, bosco.
Mi sono messo a lavorare per un privato, aiutandolo negli orti. Lui ha molti ettari e ha sempre lavorato senza fertilizzanti. Dopo 2 o 3 mesi che gli parlavo delle mie idee e progetti, ha deciso di donarmi 5 ettari della sua terra per questo progetto di riforestazione.
Come mai tra tanti approcci ti sei orientato proprio sulla riforestazione?
Vicino Auroville ho visitato una comunità che si chiama la Foresta di Sadhana, dove hanno riforestato circa 15 ettari di semi deserto. Gli ho chiesto: perché la foresta, perché non producete cibo? Loro mi hanno detto che c’è tanta gente che produce cibo biologico, e che il loro obiettivo era quello di far tornare la biodiversità. Lì nella mia testa qualcosa ha fatto click. Noi consideriamo sempre al centro l’uomo. Invece no, noi siamo parti di un sistema più grande. Quando riproduci il bosco curi tutto il sistema. Ci sono studi scientifici che hanno dimostrato come le foreste riescono a produrre da sole l’umidità che serve alle precipitazioni, e come rilascino molecole nell’aria utilizzate come substrato per la formazione di pioggia.
Gli alberi possono ristabilizzare il clima. Rimettono l’ecosistema in equilibrio. Per i cambiamenti climatici la cosa più urgente che dovremmo fare è piantare gli alberi, ma in maniera sensata, non come negli anni Sessanta mettendo solo pini, perché noi umani pensiamo solo in termini di monocoltura. Occorrono invece diversificazione, specie endemiche. Ogni specie entra in simbiosi con l’altra. Si ricreano i funghi e il suolo ritorna ricco di sostanze nutritive organiche, arrivano gli animali, gli uccelli trovano posti dove annidarsi. Qui intorno a Matera i suoli sono tutti degradati a morte. Come profuma la terra in un bosco, e che odore ha in un campo di grano coltivato con fertilizzanti da decenni?
Chi sono i tuoi compagni di viaggio in questo progetto così ambizioso?
Prima di tornare definitivamente, avevo già creato l’Associazione Rocciaviva con degli amici che come me avevano abbandonato Matera per nuovi orizzonti. Poi man mano siamo tornati tutti. Nel gruppo ci sono educatrici, progettisti, un’agriecologa, che ha anche tradotto il manuale ufficiale di permacultura in italiano. A seguito di un processo interiore profondo, vissuto dopo un’esperienza di sradicamento dalla propria terra (quasi da prassi tra i giovani della regione) alla ricerca di opportunità, abbiamo sviluppato una riflessione comune. La sensazione di una perdita identitaria ci ha convinti a tornare e a mettere in gioco il know-how acquisito, per ricostruire quella stessa identità del passato con una visione amplificata, aperta al mondo e al futuro.
Abbiamo creato una rete di associazioni che non si occupano solo di riforestazione o agricoltura, ma anche di teatro, yoga, giochi urbani, erbe medicinali, bambini, opportunità per gli anziani. Essendo così complesso il cambiamento a cui vogliamo contribuire, non possiamo fare tutto noi, per questo dobbiamo metterci in rete. Si deve creare un mondo in cui ognuno fa la sua parte. Io sento attrazione per il bosco, ma allo stesso tempo aiuto questo agricoltore che fa anche accoglienza, gli posso offrire percorsi di erbe officinali, percorsi botanici.
Come reagiscono gli agricoltori del territorio all’idea di sostituire le colture intensive di grano con i boschi?
Da quando ci siamo fatti conoscere si è creata una situazione incredibile, diversi privati ci hanno contattato. Almeno 5 grandi proprietari vogliono iniziare a riforestare collaborando con noi. Anche l’ufficio verde del Comune ci ha contattato. I proprietari che ho incontrato sono persone molto consapevoli che finora si sono sentite sole fino ad oggi e che hanno sempre lavorato su se stessi e se stesse. Intuiscono queste cose da anni, ma la gente li ha sempre presi per pazzi. Sentendo di noi, si sono sentiti capiti. Tornando dall’estero non mi aspettavo di trovare questo supporto e amicizia. La gente si illumina quando parlo del progetto. C’è gente dappertutto pronta al cambiamento, dobbiamo solo creare rete, siamo molti di più di quanto pensiamo. Non è così catastrofica la situazione, anzi c’è tantissima speranza. A livello di coscienza globale sta cambiando qualcosa. E’ il momento di rimboccarci le maniche.
Quali sono i primi passi?
Abbiamo iniziato a farci conoscere con corsi sulla permacultura, creato degli orti urbani, una piccola food forest, e aperto una mini sede dell’associazione in un casale antico, dove facciamo laboratori con i bimbi e stiamo creando un semenzaio per specie di piante da bosco. Era il casale di mia nonna che ho ereditato. Ed è il posto dove si può dormire facendo una donazione per il nostro crowdfunding. Sarà pronto per l’ospitalità tra 20 giorni. Stiamo già organizzando corsi di permacultura per raccogliere risorse e formare potenziali volontari. Due del gruppo si occupano di educazione per bambini e abbiamo l’idea di creare un asilo nel bosco.
E quando inizierete a piantare alberi?
A ottobre. Ma il lavoro preparatorio del suolo è già iniziato. L’agricoltore che ha messo a disposizione i 5 ettari del progetto ha tantissimo letame e materia organica. Scegliamo all’inizio specie selvatiche molto forti come il fico, il lentisco, il mandorlo, il pero selvatico, tutte specie endemiche locali che prendono subito radice e fanno materia organica. Faremo pacciamatura con arbusti a crescita rapida e la potatura degli alberi. Fra due o tre anni saremo pronti a mettere alberi che hanno bisogno di più tempo per crescere che in questo momento non attecchirebbero, come le querce. E con il vivaio cresceremo i nostri alberi senza doverli comprare. Questi primi 5 ettari sono un progetto pilota, un modello da mostrare per espanderci. Partiremo da lì per riforestare su larga scala.
Cosa può fare chi ci legge per essere parte di questo progetto?
In primis se avete opportunità di donare ci aiutate tantissimo per questo progetto pilota. Abbiamo le terre, abbiamo l’acqua, abbiamo il know how. In base ai soldi che arriveranno possiamo capire quanti alberi possiamo piantare. Per questo abbiamo creato una campagna di crowdfunding dove chiunque può sostenerci con una donazione. A chi dona almeno 50 euro offriamo un soggiorno presso il nostro casale a Matera.
Secondo, diffondete la campagna più che potete. Terza cosa, se volete visitare Matera ci aiutate a piantare gli alberi. Abbiamo bisogno di volontari per scavare le buche, portare materia organica per preparare il suolo, e da ottobre piantare materialmente centinaia di alberi. Se avete associazioni che si occupano di permacultura contattateci, facciamo massa critica perché questo farà il cambiamento. Stiamo anche organizzando corsi di permacultura con Giuseppe Sannicandro, percorsi di permacultura dell’anima, seminari su come fare l’orto, il vivaio, portare l’acqua. Sono tutti sulla nostra pagina Facebook. Piantare ettari e ettari di bosco non è un sogno, è possibilissimo.
C’è qualcosa che vuoi aggiungere per i nostri lettori?
Sono contento che mi abbiate dato questa possibilità. Spero che grazie a questo progetto si aprano opportunità nuove. Spero di esserne all’altezza. Ci stiamo collegando tutti a un’energia più grande, a livello di coscienza globale. Ed è bello. Grazie!
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