Giovani in piazza. Sarebbe meglio una generazione muta e rassegnata?
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Giuditta Iantaffi e Ilaria Romano, coordinatrici nazionali della Rete Docenti Giornalisti Nell’Erba e delegate Formazione & Educazione, scrivono una lettera aperta ai media italiani a proposito di video e articoli apparsi a seguito del ClimateStrike del 15 marzo. Ecco il testo.
“In qualità di insegnanti ringraziamo sentitamente il Messaggero e gli altri media che hanno ripreso il suo video, per aver messo in evidenza i nostri giovani, i nostri alunni, nel modo peggiore.
Ieri ragazzi di ogni età hanno protestato in massa in tutto il mondo per richiamare l’attenzione sul problema dei cambiamenti climatici e per chiedere semplicemente di poter avere un futuro. Sono riusciti finalmente, dopo anni di indottrinamento e di annebbiamento da media, a dissentire, a protestare, a porsi domande, a mettere in discussione le autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Sono stati, come disse Bertrand Russel, il peso che inclina il piano. E forse questo piano lo hanno inclinato veramente, Greta e questi ragazzi: hanno fatto esplodere una verità, che tutti conosciamo, ma che nessuno vuole riconoscere.
Sono stati accusati di essere comunisti, ‘sempre i soliti’. Perché? Questi ragazzi non chiedono l’abolizione della proprietà privata, chiedono solo un’economia sostenibile dove ogni azienda metta in moto un circolo virtuoso per un minore impatto ambientale, dove la finanza investa nel futuro e non nel fossile.
Sono stati accusati di essere ignoranti. Perché? Perché i nati dal 1999 in poi non sanno la definizione scientifica del buco dell’ozono, uno dei pochi problemi affrontati e praticamente risolti con il Protocollo di Montreal firmato nel 1987 ed entrato in vigore nel 1989?
E poi siamo sicuri che quei pochi ragazzi scelti dal Messaggero siano la reale fotografia dei giovani che erano ieri nelle piazze? Siamo sicuri che siano gli sciocchi ‘radical chic buonisti’ descritti da Il Tempo? Poco importa che Il Messaggero abbia in un primo tempo rimosso il video (era un tale scempio della parola stessa ‘giornalismo’ che forse in redazione qualcuno ci aveva ripensato? No, ecco che è ricomparso). Quello stesso video è stato ripreso da tantissime testate, c’è chi l’ha riassunto per iscritto, l’hanno cavalcato, l’hanno utilizzato per umiliare i giovani e mortificarli, per attaccarli, per farli tacere e farli ‘tornare al loro smartphone’ da ‘figli di papà’. Sicuramente se oggi i ragazzi hanno conoscenze su cambiamento climatico e sviluppo sostenibile non lo devono ai media.
Noi docenti della Rete gNe (giornalisti Nell’erba) insegniamo da anni e abbiamo sempre fatto lezioni ai nostri alunni sull’attualità provando ad utilizzare anche le maggiori testate giornalistiche. Beh, ci dispiace dirlo, cari signori, ma su questi temi scottanti e fondamentali abbiamo trovato ben poco. Le notizie vere le abbiamo sempre trovate su testate specialistiche che magari hanno poca tiratura, ma grandi competenze.
Una domanda la rivolgiamo proprio a voi: quanti erano a seguire le ultime Conferenze mondiali sul clima? Quanti a COP21, COP22, COP23 e a dicembre scorso a COP24? A noi risulta che ad esempio a COP24 solo una testata italiana sia stata presente fino all’ultimo, solo una ha fatto un’analisi precisa – documenti alla mano – dei risultati, del cosiddetto rulebook, ed è giornalistinellerba.it. Ci piacerebbe sbagliarci. Ci farebbe davvero piacere se poteste smentirci.
Neppure a scuola se ne parla. Eh sì, perché l’argomento sostenibilità e scienza sul clima sono ancora oggi, nonostante le Nuove Indicazioni del MIUR del 2017 e l’Agenda 2030, argomenti di nicchia, tanto che nelle stesse scuole non è fondamentale o obbligatorio. Per molti docenti viene prima il programma, le verifiche, la storia antica che dovrebbe insegnare a capire l’attualità, se di attualità a scuola si riuscisse a parlare.
La scuola stessa ormai, presa da ansia da prestazione, da prove Invalsi, PTOF, RAV e tanta altra burocrazia, non riesce più ad occuparsi dell’alunno come individuo, non riesce più a prendersi cura, come diceva Don Milani, delle giovani menti, non riesce più a fornire una cultura che renda critici e quindi liberi i futuri cittadini. Leonardo, 23 anni, intervistato a Buongiorno Regione Lazio a Rai3, l’ha detto: ‘Si tratta per lo più di autoformazione’.
Siamo sicuri che tutto questo sia solo un caso? Crediamo fermamente nei giovani, sappiamo che possono e potranno fare molto e siamo sicuri che, buco dell’ozono o no, vadano rispettati per quello che hanno fatto e, statene certi, per quello che continueranno a fare.
Oltre a quelli intervistati da voi, ci sono tantissimi giovani che da tempo studiano, leggono anche oltre la scuola. Giovani colti e critici che si sono messi in gioco e tra un compito in classe e un’interrogazione sono riusciti ad organizzarsi, scrivere, creare cartelloni, cori e quant’altro per manifestare il 15 marzo. Alcuni hanno dovuto prendere anche delle note scolastiche, ma non hanno vacillato, sono stati fermi, determinati nella loro decisione di partecipare ad una protesta, una battaglia che non possono perdere!
Il potere – soprattutto quello dell’informazione – va esercitato con responsabilità. A nostro parere l’intervista del Messaggero ai manifestanti del 15 marzo, oltre che tendenziosa, è anche un cattivo esempio di esercizio del potere adulto. Aver mitizzato l’esperienza del ’68 e sbeffeggiare oggi dei giovani che hanno individuato una ragione per cui lottare è un comportamento poco responsabile. Sarebbe forse preferibile una generazione muta e rassegnata di bamboccioni?
Sono stati tanto criticati, ma adesso sembra che questa nuova veste di ‘giovani in rivolta’ abbia scatenato una critica ancora più accanita. Obliterare le lotte altrui non offre un contributo al progresso della comunità nel suo insieme. Specialmente quando, come nel caso del video del Messaggero, chi lotta è ridicolizzato attraverso messa in evidenza di quella porzione di manifestanti (presente in ogni manifestazione) che non è pienamente al corrente delle ragioni della protesta, o magari non le sa articolare.
Senza volersi soffermare sul fatto che il ‘buco dell’ozono’ (forse meglio dire ‘nell’ozono’, ma non stiamo a sottilizzare) è l’esempio di un problema in parte risolto, proprio perché anni fa sensibilizzare al problema su scala mondiale ha spinto gli Stati ad adottare misure che ne hanno ridotto le cause, riteniamo che sarebbe stato più utile interrogarsi sul perché alcuni giovani siano poco preparati sui problemi ambientali mentre gli altri ne sono al corrente grazie a un’attività di autoformazione.
Forse, per contestualizzare, si sarebbe potuto parlare anche di come alcuni addetti ai lavori non trasmettono informazioni e conoscenze aggiornate, magari perché a un certo punto della vita viene naturale contare sul sapere già acquisito e fa fatica tenere il ritmo dell’apprendimento continuo.
Si sarebbe anche potuto parlare dei tanti adulti (e ce ne sono tra i nostri colleghi, sia insegnanti che giornalisti che genitori) che hanno intelligentemente colto l’occasione del 15 marzo per aggiornarsi in materia di cambiamenti climatici, spesso proprio attraverso gli interventi dei giovani che hanno fatto opera di sensibilizzazione e informazione nelle scuole e in famiglia oltre che nelle piazze. Non di sola protesta si tratta, infatti: lo sciopero per il clima ha anche avuto la funzione di fare informazione e di spingere alla conoscenza e all’approfondimento. È stato, quindi, doppiamente buono.
Si sarebbe dovuto parlare dei molti giovani consapevoli e informati e delle preoccupazioni che li spingono a protestare per una causa che non è ‘dei giovani’ ma riguarda tutti; solo che i giovani, che con le conseguenze dei cambiamenti climatici dovranno fare i conti in futuro, oggi non sono abilitati a prendere decisioni per prevenirle.
Tutti sprovveduti i giovani non sono. Pensiamo proprio che le risposte per il video siano state selezionati ad hoc per una campagna mediatica distruttiva del movimento dei ragazzi. Greta fa paura, ha confessato a suo modo Rita Pavone. Ecco, appunto: fanno paura, probabilmente. Ecco tre voci. Diverse. Ne abbiamo moltissime altre, e la competenza non manca, tutte sentite e registrate ieri. Se le volete, sono tutte disponibili.
Giulia, 15 anni: “Oggi mi rivolgo a tutti per dire che noi giovani siamo stanchi. Stanchi di sentire i politici parlare di ambiente e di sostenibilità in modo inappropriato e solo per gettare fumo agli occhi. Stanchi di essere considerati ragazzini ignoranti; stanchi di coloro che pensano che lo sciopero di oggi sia una perdita di tempo; di sentirci dire che basta un progetto scolastico sulla differenziata per risolvere il problema; Stanchi di vedere energie e risorse sprecate per inefficienza; di assistere ad una crescita economica che ci sta distruggendo; Stanchi di COP costose ed inconcludenti, stanchi di veder morire bambini e ragazzi perche’ il governo ha chiuso gli occhi con la mafia, di vedere politici indifferenti alle potenzialita’ di un’economia circolare. Stanchi di assistere a tutto questo in silenzio. Noi sappiamo che adesso è urgente agire e lo stiamo facendo. Ora tocca a voi. Il vostro futuro lo avete avuto. Avete il dovere morale di lasciarne uno anche a noi”.
Chiara ed Elisa, 12 anni: “Quest’anno, mentre a scuola facevamo educazione alla sostenibilità, siamo rimaste molto colpite da un articolo scritto da Ivan Manzo che citava: l’ inquinamento atmosferico non è solo un danno per la salute ma incide sulle capacità cognitive e influisce anche sulla felicità rendendoci tristi e scontrosi. Anche sulla felicità? Dai risultati della ricerca dell’università di Hong Kong, in Cina l’inquinamento non solo sta portando alla morte prematura piú di un milione di persone ogni anno, ma sta condizionando i livelli di felicità diffusi tra la popolazione. La qualità della vita è del tutto compromessa. Quello che sembra cosí lontano è piú vicino di quanto si creda. In Italia si muore a Taranto, nella terra dei fuochi e per l’amianto e chissà per quante altre cose ancora. Non si può continuare a pensare che basta limitare il consumo dell’acqua e fare la differenziata. I governi devono mettere in atto tutte le azioni possibili per ridurre da subito le emissioni. Sono anni che la scienza studia e propone rimedi, i governi devono imparare ad ascoltare”.
Valeria e Linda, 13 anni: “Come molti ragazzi oggi siamo qui per parlare e farci sentire. I rapporti sui cambiamenti climatici ci dicono che nel 2050 avremo uragani devastanti, innalzamento del livello dei mari ed estati caldissime. Ma non solo, ci saranno emigrazioni di massa dalle aree del pianeta diventate invivibili alle quali, i paesi climaticamente più fortunati, non potranno più opporsi. Il futuro del pianeta è in mano ai politici di oggi, che con la loro indifferenza stanno portando al collasso il mondo di domani. A pagarne le conseguenze fra 50 anni non saranno loro ma noi che più volte siamo stati considerati bamboccioni, ignoranti e incapaci. Non ci sottovalutate”.
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