28 Feb 2019

Così la PNEI sta rivoluzionando l'approccio alla salute – video#5

Scritto da: Annalisa Jannone

Sebbene perseguito da decenni nelle università e nella pratica clinica, l'approccio riduzionista alla salute, basato sullo studio del singolo determinante come causa di malattia, mostra in misura sempre maggiore i suoi limiti. Al contempo nuove evidenze scientifiche danno forza all'importanza di una visione complessiva dell'organismo, che appare ormai imprescindibile per comprendere e affrontare tutte quelle patologie che stanno oggi mettendo in ginocchio la sanità pubblica dei paesi più ricchi. Ne abbiamo parlato con il professor Bottaccioli, presidente e fondatore della SIPNEI (Società Italiana di Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia).

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“Per anni ogni medico specialista ha guardato il suo ‘pezzo’ di organismo, quello che ha approfondito e di cui si occupa. Ora si è capito che è necessaria una visione d’insieme dell’organismo e del sistema-uomo poiché è ora dimostrato scientificamente che psiche e aspetti biologici (neuro-immuno-endocrini-metabolici) sono strettamente collegati in maniera bidirezionale cioè ognuno influenza tutti gli altri”. Così il professor Bottaccioli, presidente e fondatore della SIPNEI (Società Italiana di Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia)  spiega nell’intervista come sta cambiando il paradigma di riferimento culturale per affrontare con più efficacia malattie, salute e approcci medici.

 

 

Il paradigma che viene messo in discussione è quello riduzionista, dello studio del singolo determinante come causa di malattia, ad esempio una molecola, un gene del DNA, una proteina, etc. come causa determinante la patologia. La scienza si è sviluppata su questo paradigma deterministico-lineare riduzionista perché ha reso più semplice l’esplorazione del “molto piccolo”. Ma ora bisogna integrare anche strumenti sistemici poiché “l’iper-specializzazione crea problemi crescenti di diagnosi e cura”.

 

Nell’intervista il prof. Bottaccioli ci propone molti esempi di come organi e tessuti del corpo siano interdipendenti l’uno dall’altro grazie alle migliaia di molecole che istantaneamente collegano i diversi apparati trasportando informazioni. Ciò che prima era visto come apparato a se stante ora determina e si plasma in relazione al resto dell’organismo. Nella storia recente, la pratica medica, ha dimostrato molte volte che studiare l’organo isolato o agire su determinate molecole singolarmente porta a risultati medici modesti soprattutto nelle patologie croniche.

 

Cerchiamo di capire insieme al professore quali possano essere i motivi della resistenza che una parte dei medici, psicologi e ricercatori ha nel considerare psiche e corpo un’unica entità, cioè cosa spinge ad adottare il solo approccio riduzionista negli interventi diagnostici e terapeutici.

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“È il tipo di ricerca scientifica che sta alla base delle terapie. La ricerca scientifica è pesantemente condizionata dagli investimenti dei produttori di farmaci che quindi ha come scopo la ricerca di prodotti brevettabili. Questo allontana le domande della vera ricerca per la conoscenza di tutti i determinanti della salute, o delle malattie, e impone l’uso di prodotti secondo il criterio della brevettabilità, della standardizzazione, della riproducibilità lineare causa-effetto. Ciò che non può essere brevettato (prodotti naturali, terapie manuali, esercizio fisico, alimentazione, meditazione, terapie psicologiche, etc.) non entra nei disegni di ricerca, non viene studiato e così non entra nei protocolli di cura”.

 

“Questo – continua Bottaccioli – orienta diagnosi, terapia e cura da decenni, nelle università e nella pratica clinica. Ma ormai questa cultura medica mostra i suoi enormi limiti. Lo vediamo in tantissime patologie, dalla depressione alle malattie neuro-degenerative come la Sclerosi Multipla, l’Helzeimher, il Parkinson, i disturbi cognitivi per cui non si trovano farmaci efficaci.” Inoltre queste patologie sono in forte aumento e stanno mettendo in ginocchio la sanità pubblica dei paesi più ricchi. “Invece integrare ad esempio una dieta ad hoc, esercizio fisico, terapia psicologica, terapie manuali, etc. si è visto che sta portando una maggior efficacia di cura.”

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Un esempio che il prof. Bottaccioli ci racconta nell’intervista integrale è la riscoperta da parte di alcuni neurologi della dieta chetogenica (alto contenuto di grassi). Usata inizialmente nell’epilessia, poi abbandonata per la scoperta dei farmaci antiepilettici che la sostituirono, ora inizia a dare buoni risultati in tante patologie di degenerazione e disturbi cognitivi. “La farmacologia non può essere l’unico approccio, per questo spesso dà risultati modesti”.

 

Così anche per la depressione, quando si scoprì la serotonina come fattore “determinante” della patologia si pensò di aver trovato la soluzione. In realtà solo in una minoranza si ebbero risultati evidenti con l’uso degli antidepressivi (che agiscono sulla serotonina), per tutti gli altri casi risultò (anche da successivi studi in letteratura scientifica) molto poco efficace e oltretutto dannosa poiché la serotonina entrava anche in molti altri meccanismi molecolari che venivano così danneggiati.

 

Insomma i fenomeni patologici non possono essere ridotti a singoli eventi molecolari ma sono fenomeni complessi e vanno integrati entrambi i tipi di conoscenze. Solo con questo approccio si possono raccogliere dati più completi (anamnesi), osservare l’insieme delle manifestazioni e proporre una cura a misura del paziente. “Questo confligge apertamente con il sistema di ricerca scientifica odierno, con il plateale conflitto d’interessi degli organi regolatori istituzionali che stilano le linee guida”.

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Continua Bottaccioli: “Qualche tempo fa il dott. Silvio Garattini ha denunciato che l’EMA (L’Agenzia Europea del Farmaco) è passata ad avere finanziamenti dal 70% all’85% dall’industria in 20 anni con un netto peggioramento del conflitto d’interesse. Chi deve valutare l’immissione in commercio dei farmaci è salariato per l’80% da chi produce farmaci. Una situazione che dovrebbe far prendere rapidamente coscienza cittadini e operatori per pretendere una ricerca pubblica per interessi collettivi. Molte patologie con questa cultura farmacologica non hanno soluzione e continueranno ad aumentare se non si impostano cure integrate”.

 

Il prof. Bottaccioli insieme alla psico-pedagogista Antonia Carosella hanno sviluppato corsi di consapevolezza sulla salute per operatori, professionisti e cittadini. “Per fare il primo passo verso un cambiamento bisogna conoscersi, capire come funzioniamo sia dal punto di vista biologico che da quello relazionale, dello stile alimentare, dell’attività fisica. Bisogna imparare ad osservarsi ad una certa distanza per potersi correggere nelle abitudini e nel modo di pensare. Infatti parte fondamentale del percorso proposto è l’uso di tecniche meditative e di percezione di sé in modo da rendere più facile affrontare cambiamenti che sembrano difficilissimi.

 

Sono sempre di più gli specialisti che stanno adottando questa visione integrata PNEI e che si iscrivono all’associazione SIPNEI per informarsi e formarsi. Infatti sono già aperti master di secondo livello universitario, corsi ECM per professionisti, molte le pubblicazioni di libri e si svolgono numerosi convegni in tutta Italia. I medici iniziano a stringere collaborazioni tra le diverse specializzazioni per avere un quadro più completo e poter fare letture migliori delle condizioni dei propri pazienti.

 

Il cambio di approccio prevede una nuova epidemiologia al passo con le nuove scoperte, una nuova cultura medica e soprattutto ci vorrebbe un maggiore intervento collettivo e pubblico perché le resistenze al cambiamento sono profonde e di varia natura.

 

 

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