La “coscienza di classe” dei pastori sardi
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In questi giorni gli allevatori sardi stanno catturando l’attenzione mediatica. Il gesto eclatante di rovesciare il secchio del latte, che poi con dimensioni più importanti diventa lo sversamento in strada di autobotti e cisterne, è il modo che loro hanno trovato per farsi sentire.
L’industria paga il latte troppo poco, meno di sessanta centesimi al litro. Un prezzo che ai pastori non permette di sostenere la loro attività. Cause e ragioni dove le possiamo trovare? In una crisi di sistema, dove l‘agricoltura industriale segue solo le logiche di mercato, oppure sono solo alcune leggi che vanno sistemate? Un tema sempre difficile da affrontare. Ma si sente l’esigenza di trovare risposte.
Questa è una protesta ancora contenuta, nonostante si sia arrivati ad organizzare posti di blocco che fermano i camion carichi di latticini, svuotando il contenuto per strada.
Purtroppo c’è il sospetto che tutta l’attenzione verso di loro di questi giorni sia legata alle prossime elezioni regionali del 24 febbraio e questo governo, in continua campagna elettorale, individua nella risoluzione della problematica un grande bacino di voti.
Eppure il caso sardo è proprio quello dei cittadini che sono stanchi di affidare il loro destino nelle mani di altri. Gli agricoltori sono quella classe di persone che possono contare sull’auto-sussistenza come ultima possibilità. I politici invece non possono vivere senza allevatori e contadini. Questo fatto, una volta noto come “coscienza di classe” può tornare in voga, se chi deve amministrare la cosa pubblica non ascolta quello che sta succedendo, al di là dell’effimero consenso elettorale.
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