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Cagliari - Uno spazio polivalente che da quasi tre anni anima la vita culturale di Cagliari con una proposta d’avanguardia e una filosofia estremamente semplice e decisamente “open source”. A parlarci di May Mask è Massimiliano Murru, presidente dell’associazione culturale e motore, insieme a Ignazio Loi e Daniela Porcu, delle attività di May Mask, “Vogliamo fare in modo che le persone si incontrino per comunicare i loro stati d’animo, comprese quelle che usano l’arte per esprimerlo”.
Massimiliano è un percussionista che ha sempre fatto parte di gruppi composti da artisti diversi, appartenenti cioè a più linguaggi – dalla pittura alla scultura, dalla musica al video – e ha sempre sognato di creare un punto di incontro fra artisti e fra essi e il pubblico, mescolando il più possibile le carte fra i due insiemi.
Nato nel maggio 2016 dall’idea di un gruppo di amici, il progetto si è avvalso di un’esperienza precedente, una cooperativa nata nel 2002 che aveva la stessa missione: “far incontrare le persone per parlare di ciò che succede.” May Mask oggi ha l’obiettivo di diventare un vero e proprio incubatore d’arte e di esperienze sociali, per provare a cambiare le cose. O, almeno, per far sentire chi lo anima di continuare a dare un piccolo contributo al cambiamento.
Lo spazio, che si trova a Cagliari, in Via Giardini 149/a, è stato inaugurato con una mostra di pittura dell’artista locale Pastorello, alias Giovanni Manunta di Sassari, e la performance musicale e poetica “La maschera che porto”, alla quale ha partecipato come musicista lo stesso Murru. Successivamente si è sviluppato con un programma elastico di incontri musicali, mostre, presentazione di libri e workshop che lo ha portato in breve a diventare uno dei punti di riferimento della vita culturale dell’intera città.
Col tempo, stimolata dal successo dei primi eventi, è partita la creazione di un microfestival – musicale e non solo, stante anche la presenza di attori, ballerini, videomaker e pittori – sulla musica industrial, noise e in generale l’avanguardia musicale. Un evento, quest’ultimo, che è servito a far nascere il Collettivo May Mask, dove si affina l’incontro tra le arti senza distinzione di genere. Chiunque, cioè, può inserirsi in un progetto artistico, ogni figura non ha bisogno di adeguarsi allo stile degli altri e il collettivo fa solo in modo che ci siano degli incastri, lasciando che tutti si esprimano a proprio modo.
Una sorta di melting pot artistico che assomiglia alla società multietnica che lo stesso Massimiliano sogna, nella quale l’identità di ognuno si unisce a quella degli altri creando qualcosa di nuovo senza perdere l’identità originaria.
“La risposta del pubblico”, continua Murru, “è buona per due motivi. Il primo perché oggi si può dire sia riconosciuto allo spazio quello di essere una specie di casa dove ciascuno si sente libero, in qualsiasi momento, non solo di proporre, ma anche di andare e venire come spettatore o come semplice amico. Un luogo, cioè, in grado di sostenere l’ispirazione attraverso la flessibilità, con una logistica adattabile ai progetti di tutti”.
Il secondo motivo riguarda invece la modalità scelta per il finanziamento: prezzi sostenibili a tutti, che comprendono buffet e altri servizi inclusi nella performance, con l’obiettivo di chiudere sostanzialmente in pari, semplicemente continuando a sopravvivere senza farsi mancare nulla, e se possibile dando un po’ di lavoro ad altre persone mentre si promuove il lavoro degli artisti ospiti.
Per il futuro, sono in programma residenze artistiche per ampliare l’orizzonte di chi espone e si esibisce ai tanti artisti che, per le scelte più disparate, non vivono più in Sardegna o, più semplicemente, non sono sardi; e il sempre maggiore coinvolgimento di altre associazioni – a cominciare da quelle che si occupano di teatro – e del quartiere.
E quando gli chiediamo di un sogno, Massimiliano non ha dubbi. “Che le istituzioni siano più attente e collaborative con le associazioni, per accelerare i processi burocratici e valorizzare i tanti spazi pubblici abbandonati o inutilizzati.” Perché almeno un May Mask, lo spazio culturale che ciascuno vorrebbe avere nel proprio quartiere, possa sorgere in ogni città.
Si ringraziano ProPositivo e Scirarindi per la collaborazione
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