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7 Luglio 2017: è la data in cui per la prima volta nella storia le armi nucleari sono state dichiarate illegali. In questa data le Nazioni Unite hanno infatti approvato il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari: il primo documento internazionale legalmente vincolante per la proibizione delle stesse.
Bisogna infatti sapere che quelle nucleari sono le uniche armi di distruzione di massa a non essere ancora state vietate. Il Trattato diventerà vincolante una volta che almeno 50 dei 122 paesi che hanno approvato il documento (l’Italia, nostro malgrado, non era tra questi, e non ha neppure voluto partecipare ai negoziati preliminari) lo ratificheranno.
Ma il vero, lungo e faticoso lavoro per arrivare a questo storico Trattato è stato portato avanti da comuni cittadini. Proprio così: comuni cittadini come voi e me, che però ora potremmo dire non più tanto comuni, in quanto poco più di un anno fa hanno ricevuto nientemeno che il Premio Nobel per la Pace, proprio per il loro encomiabile sforzo. Le persone di cui parliamo sono riunite sotto un unico nome: ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear weapons), che in inglese ha anche un significato molto eloquente: “Io posso”! Ican è infatti una coalizione globale di organizzazioni civili che lavora assiduamente dal 2007 per l’approvazione e applicazione del Trattato.
La Rete Italiana per il Disarmo è tra le organizzazioni italiane che fanno parte della fitta rete di organizzazioni partner di Ican, che hanno reso possibile questo storico risultato.
In occasione della 10ª conferenza mondiale sulle Disuguaglianze globali che si è tenuta a Milano lo scorso mese, abbiamo intervistato per voi alcuni tra i protagonisti della campagna: Susi Snyder, membro del Comitato Direttivo di Ican e Francesco Vignarca, coordinatore nazionale Rete Italiana Per il Disarmo, organizzazione partner della Campagna Internazionale per l’Abolizione delle armi Nucleari, insignita del Premio Nobel per la pace 2017.
Intervista a Susi Snyder
Cosa ha significato per te e per gli altri attivisti l’assegnazione del Premio Nobel per Campagna Internazionale di Abolizione delle armi Nucleari?
È stato incredibile, continuo ancora ad emozionarmi quando ci penso [e infatti alla mia domanda le vengono gli occhi lucidi, ndr]: è stata una tale sorpresa! Non capita spesso che questo riconoscimento così prestigioso venga assegnato ad un gruppo di persone comuni. Le armi nucleari esistono da più di 70 anni e per questo si tende quasi a rassegnarsi all’idea. Noi invece siamo partiti dal presupposto che se qualcosa non va bene non va accettata e così abbiamo coinvolto giovani, medici, scienziati: le più disparate figure della società civile e siamo stati premiati! Questo ci ha dimostrato che i movimenti che nascono dal basso sono importanti e così pure il lavoro della gente comune.
Quanto ancora rimane da fare affinché le armi nucleari vengano definitivamente abolite?
Credo che riusciremo presto a vedere l’entrata in vigore del Trattato: finora sono 19 i paesi che lo hanno ratificato, ma occorrono 50 ratifiche in tutto, che è un numero molto alto per un trattato internazionale. La campagna ha ottenuto un nuovo slancio e spero che sarà ratificato entro la fine del prossimo anno e a quel punto nessuno potrà obiettare: perché le armi nucleari saranno ufficialmente illegittime! Finalmente potremo mettere la parola fine alle armi nucleari!
L’Italia, già firmataria del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (NPT) nel ‘75, ospita però armi nucleari nel suo territorio: cosa vi fa pensare che questo nuovo trattato possa essere davvero vincolante?
Nell’NPT c’erano diverse aree grigie, invece il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari evita rotondamente i compromessi, non ci sono eccezioni e neppure giustificazioni: le armi nucleari vengono definitivamente bandite. Ma il governo non deciderà spontaneamente di aderire, perché la politica non funziona così, le persone della società civile invece sì! E la pressione delle persone è ciò che cambierà l’Italia! Soprattutto sapendo che in Italia oltre un centinaio città hanno già dichiarato di voler sottoscrivere il Trattato [compresi i sindaci di Ghedi (BS) e Aviano (PN): i due comuni che ospitano le bombe nucleari in Italia, ndr]. Alla fine vincerà la democrazia: sono fiduciosa che il Governo farà la scelta giusta!
Intervista a Francesco Vignarca
C’è qualche speranza che l’Italia firmi il Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari? Quali sono i principali ostacoli?
Noi pensiamo che lo firmerà, anche se non è facile col fatto che l’Italia ospita sul proprio territorio testate nucleari statunitensi [sarebbero infatti dalle 70 alle 90 le bombe nucleari Statunitensi ad essere ospitate in Italia, un vero record in Europa! Ndr]. Però se guardiamo ai numeri del sondaggio che abbiamo realizzato lo scorso luglio, a un anno dal Trattato, vediamo che oltre 70% di italiani vorrebbe sia un’adesione allo stesso, sia che le armi statunitensi vengano rimosse dal nostro territorio. Speriamo che prima o poi anche la nostra politica capisca che questa è la volontà della maggioranza degli italiani!
Analizzando la questione più da vicino, da un lato il fatto di ospitare armi nucleari può essere un vantaggio comunque, perché si può far capire più facilmente alle persone cosa voglia dire avere vicino a casa degli ordigni nucleari; dall’altro è chiaramente un problema: l’Italia per aderire al Trattato dovrebbe prima liberarsi di questi ordigni e soprattutto togliersi completamente da tutti i percorsi di armamento nucleare della Nato.
È anche vero però che cose di questo genere sono già successe in passato: la Grecia aveva sul proprio territorio armi nucleari e non le ha più e così pure la Spagna. Non è un percorso semplice, ma si può fare e anzi proprio perché l’Italia si trova in questa posizione potrebbe essere d’ispirazione per altri paesi, prendendo la leadership in un percorso di disarmo nucleare complessivo, che peraltro ricordo, sarebbe anche l’obiettivo della NATO stessa.
Parlaci degli altri importanti impegni che avete intrapreso, oltre a quelli per la Campagna di cui sopra. Ad esempio, a che punto è la denuncia penale che avete sporto contro RWM Italia per la vendita di armamenti all’Arabia Saudita ? È stata aperta l’indagine sulla responsabilità penale?
Siamo a conoscenza del fatto che l’indagine è in corso, ci aspettiamo a breve, o quantomeno nelle prossime settimane che ci sia una risposta definitiva da parte della procura di Roma. Non ci fermiamo solo alla denuncia penale comunque, perché ovviamente quella si riferisce a un episodio specifico in particolare [la prova che bombe di fabbricazione italiana siano state utilizzate dai sauditi per uccidere civili inermi, ndr], ma stiamo anche portando avanti un’iniziativa politica, dal basso. La scorsa settimana insieme ad Amnesty International, Oxfam, Save the Children, Movimento dei Focolari, Fondazione Finanza Etica, Enti per la Pace abbiamo rinnovato l’appello alle istituzioni affinché votino uno stop delle forniture di armamenti all’Arabia Saudita. Cosa che è stata chiesta anche di recente dal Parlamento Europeo, con l’ennesima, settima risoluzione votata a larga maggioranza, proprio per evitare che i flussi di armi provenienti dall’UE vadano ad aggravare ulteriormente la situazione già catastrofica in Yemen.
A che punto si trova la Campagna “Un’altra difesa è possibile” che abbiamo seguito fino alla calendarizzazione, l’anno scorso, del dibattito parlamentare sulla relativa proposta di legge?
Ovviamente purtroppo il cambio di legislatura ha bloccato tutto; ora stiamo cercando di capire quale sia la maniera migliore per far ripartire il percorso che aveva trovato il sostegno di 74 deputati, quindi oltre il 10% dei deputati della Camera. Il mese scorso ho incontrato la Ministro della Difesa Elisabetta Trenta e uno dei punti che abbiamo portato alla sua attenzione è stato proprio la necessità di una struttura, di un dipartimento istituzionalizzato che possa portare avanti i percorsi dei Corpi Civili di Pace e del Dipartimento della Difesa Civile Non Armata e Nonviolenta. Già con la sperimentazione dei Corpi Civili di Pace che è attualmente in corso, abbiamo riscontrato un’attenzione positiva anche da parte della Ministro, che ha riconosciuto come nei processi di Peace building l’azione militare, da sola, non può essere sufficiente. E per poter portare avanti un’azione di Peace building civile e non violenta occorre formare delle persone, professionalizzarle e avere un dipartimento che se ne occupi.
Cosa vuol dire per te l’Italia che cambia?
L’Italia che cambia, deve farlo in meglio e deve essere consapevole del proprio cambiamento. Purtroppo però, i cambiamenti a volte sono anche in negativo e arrivano con l’inerzia e la non-capacità di pensare a un’idea positiva di futuro. Noi con le campagne che facciamo come Rete Disarmo, quelle sul nucleare ma anche quelle sulla difesa civile o quelle per fermare i flussi degli armamenti, pensiamo davvero che sia un modo per costruire un’Italia migliore. Quindi non mi accontento di un’Italia che cambia: vorrei un’Italia che cambi in meglio!
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