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Per chi come me auspica e al contempo magari cerca di favorire con tutti i mezzi a sua disposizione una rivoluzione – ma una rivoluzione che sia primariamente delle coscienze – l’anniversario dei cinquant’anni dal ‘68 non può proprio passare come se niente fosse.
Lo scorso aprile ho acquistato un numero extra del settimanale indipendente Internazionale, che riproponeva vari articoli di quell’anno dopo il quale, si diceva, il mondo non sarebbe più stato come prima. In questi articoli d’epoca tradotti dalle maggiori testate internazionali si parla delle rivolte, degli scioperi, delle occupazioni, delle manifestazioni e dei sit-in che si sono svolti in buona parte del mondo e che hanno coinvolto una vasta parte della popolazione civile e particolarmente gli studenti universitari.
Devo ammettere che mi ha sconvolto la strettissima somiglianza che si evince dalle parole dei protagonisti stessi del ‘68 rispetto ai moti di epoca più recente: Primavera Araba, Indignados, Occupy e varie istanze popolari odierne di cui sono testimone, oltre che parte attiva.
Ciò che volevano era un cambiamento radicale della società, un riconoscimento dei diritti umani e civili fondamentali. Lottavano contro l’autorità, il paternalismo, il capitalismo, la guerra, l’imperialismo, la politica, la religione, per citarne solo alcuni. Si potrebbe dire per sintesi, che lottassero contro i dogmi precostituiti, calati dall’alto, arbitrariamente.
Molti degli slogan coniati in quell’epoca sono piuttosto eloquenti: “Vietato vietare”, “Fate l’amore, non fate la guerra”, “mettete fiori nei vostri cannoni”, “l’immaginazione al potere”, “consumate di più, vivrete di meno”, “il padrone ha bisogno di te, tu non hai bisogno di lui”, “non è che l’inizio. La lotta continua”, etc. Quest’ultimo sembra addirittura prevedere ciò che in effetti succederà in Italia, dove il ‘68 in realtà è durato dieci anni. Generalmente lo si fa partire dagli scontri di piazza tra studenti universitari e Polizia del 1° marzo 1968 a Valle Giulia a Roma e terminare con il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro il 9 maggio del 1978, sempre a Roma. Nel mezzo c’è di tutto: compagni uniti e lotte fratricide, ideologie di tempi passati e spontaneità del presente, violenza tra le più efferate e non-violenza attiva e convinta, studenti e professori, comunisti e anarchici.
Ma sono nata in un’epoca successiva, e, visto e considerato che la storia contemporanea, quando va bene, a scuola te la fanno studiare solo fino alla seconda guerra mondiale, cosa posso saperne io del Sessantotto?
Qualche settimana fa, abbiamo avuto il piacere di rincontrare Jacopo Fo proprio in quel posto speciale da lui fondato sulle colline umbre: “La Libera Università di Alcatraz”. Eravamo intenzionati a porre alcuni fondamentali interrogativi a chi il Sessantotto l’ha vissuto in prima persona, dopo aver letto con grande interesse il libro di cui Fo è coautore col suo ex-compagno di lotte Sergio Parini, C’era una volta la rivoluzione – Il Sessantotto e i dieci anni che sconvolsero il mondo, che offre uno spaccato estremamente efficace sul ‘68 in Italia e sui dieci anni successivi.
Jacopo, dove, secondo te, il ‘68 ha raggiunto gli obiettivi che si prefiggeva?
In Italia e nel mondo non abbiamo preso il potere e la Rivoluzione Comunista è fallita e, col senno di poi, direi anche “meno male”, perché era pura follia quella che a un certo punto ha travolto il movimento degli studenti e che ha portato a scontri tra gruppi para-militari comunisti – l’unica volta che sono stato picchiato malamente sono stati dei “compagni” a farlo. Per cui inorridisco a pensare cosa sarebbe potuto succedere se veramente il Movimento Studentesco milanese avesse preso il potere in Italia e avesse potuto controllare la Polizia Segreta, sarebbe stato qualcosa di terribile.
Però, in realtà, il Movimento ha vinto comunque, la società l’abbiamo cambiata eccome! C’è una grande disinformazione sul passato, la gente si trova in una situazione di pochezza di strumenti culturali e pochezza di strumenti di giudizio.
Quando si dice: “Oggi è il momento peggiore della storia italiana”, si dice una cosa che non ha senso. Negli anni sessanta esisteva un livello di violenza sulle donne e sui bambini neppure percepita come tale. È della fine degli anni settanta l’abolizione del diritto del maschio di uccidere la moglie, la sorella o la figlia trovata in atteggiamento sessuale esplicito con un uomo che non fosse il marito; non esisteva nessun tipo di assistenza per i disabili, nessun tipo di protezione, nessun tipo d’integrazione; non esisteva nessun tipo di protezione per gli omosessuali; per i diritti civili; il livello di miseria era qualcosa di incommensurabile. Quando si vedono i film del realismo cinematografico e del neorealismo, bisogna pensare che era tutto reale: veramente c’erano le baraccopoli in Italia ed erano luoghi spaventosi. All’epoca era giudicato normale che il capo-reparto, il capo-ufficio o l’avvocato prendesse una ragazzina minorenne a casa e avesse rapporti sessuali con lei e poi se la ragazzina restava incinta veniva pure licenziata o rimandata al paese. Era una società in cui non potevi divorziare; in cui c’era una quantità spaventosa di donne che morivano di “aborto clandestino”, perché oltretutto non c’era nessuna informazione anticoncezionale.
Era un’epoca in cui, nel 1962, i miei genitori [Franca Rame e Dario Fo, ndr.] sono costretti a lasciare la televisione perché parlano dell’esistenza della mafia, e il Vescovo di Palermo e il capo del Partito Liberale, Malagodi, che poi diventò Senatore a vita, fecero dei comizi pubblici – Malagodi in Parlamento – dicendo che si insultava l’onore del popolo siciliano, sostenendo l’esistenza della mafia! Un’altra cosa che fece saltare Canzonissima era uno sketch in cui si denunciavano i morti sul lavoro, perché era un altro argomento di cui non si poteva neppure parlare.
Mi ricordo questo momento terribile, in cui dopo uno spettacolo dei miei genitori, vicino a Torino, c’era un dibattito (che era una novità incredibile) e un operaio si alzò e disse: “Mia moglie è convinta che io la tradisca, ma in realtà sono diventato impotente perché in fabbrica ci fanno usare delle sostanze nocive”. Si alza poi un altro operaio e dice: “anch’io”, poi un altro ancora… ma questi non avevano un’indennità, non avevano nulla, non avevano neanche la possibilità di fare delle cause! Questa era la situazione: una situazione aberrante di violenza del potere.
Poi tutti erano vestiti nella stessa maniera, tutti dovevano rispettare un codice di apparenza e se non lo rispettavi era un disastro, anche sulle piccole cose. Io, ad esempio, avevo i capelli un po’ più lunghi della norma da quando ero piccolo, e non so le migliaia di volte che la gente mi ha chiesto se avessi litigato col parrucchiere… Andavano tutti vestiti uguali, gli uomini portavano tutti i baffi, tutti con lo stesso taglio di capelli. Era una società profondamente oppressiva. La scuola era qualcosa di delirante. Ti trovavi ad avere a che fare con Professori psicopatici: io ho avuto la stessa Professoressa che aveva al liceo mia madre e che durante la guerra promuoveva gli studenti se in cambio le portavano in regalo delle ruote di bicicletta e che a distanza di anni continuava ad insegnare allo stesso modo. Cose assurde, ti bocciavano anche solo se osavi esprimere il tuo pensiero.
Quindi abbiamo cambiato la società completamente e ottenuto grandi risultati nel campo dei diritti civili. Ma anche i rapporti umani erano cambiati, il modo di far l’amore, di sentire la musica. Pensa al Rock che veniva chiamato “la musica del demonio” e che poi arriva ad essere suonato in Vaticano: questo è il cambiamento! Un cambiamento totale. Poi, certo, oggi abbiamo dei problemi drammatici, non intendo certo negare che oggi ci siano ancora grossi problemi, però per dire che oggi si sta peggio che negli anni ‘60, bisogna essere veramente disinformati.
Dove invece il ‘68 non è arrivato?
Non siamo riusciti a creare una società giusta, non siamo riusciti ad avere una giustizia che funzioni, non siamo riusciti a colpire i ladri e i truffatori. Oggi l’Italia è una nazione arretrata, dove ad esempio, non si va in galera per truffa, o per bancarotta fraudolenta. Abbiamo una giustizia che è fatta per non funzionare, per coprire i colletti bianchi che fanno i delinquenti; abbiamo una percentuale ridicola di colletti bianchi in prigione, rispetto a tanti altri paesi, perché il nostro è un sistema basato sui cavilli burocratici. Non a caso abbiamo il più alto numero di avvocati al mondo, rispetto al numero di cittadini, abbiamo tutta una serie di meccanismi che non funzionano e abbiamo un grandissimo vuoto culturale, che poi secondo me è il vero grande problema, che fa sì che milioni di italiani soffrano e vivano una vita non soddisfacente perché non hanno passione; abbiamo una scuola che annulla la passione, una classe politica che non è capace di portare la passione dentro la politica, etc.
Si dice che “La storia si ripete”, ma sarebbe utile che si ripetesse col senno di poi: cosa ti senti di dire ai giovani che oggi vorrebbero cambiare il mondo? Cosa dovrebbero evitare di fare rispetto a quanto avete fatto voi nel ‘68?
Il problema degli anni sessanta e settanta è che c’era una fortissima ideologia, unita ad una bassa capacità di concretezza e all’idea che fosse possibile cambiare il mondo con la violenza.
Noi venivamo dall’esperienza dei partigiani, chi aveva una famiglia di sinistra che aveva patito morti e feriti durante la resistenza, come nella mia famiglia, aveva determinate idee che andavano a mischiarsi con i film western, con l’ideologia comunista e la rivoluzione cinese, il Vietnam. E l’idea era che bisognasse sparare. Alcuni di noi si sono poi però resi conto che appena si inizia a sparare i pazzi prendono il potere. Quelli che ragionano vengono fatti fuori subito ed è quello che abbiamo visto anche in Italia con dei compagni ammazzati all’interno delle organizzazioni para-militari, in cui quelli più criminali facevano fuori i moderati, ma letteralmente, come racconto anche nel libro.
Nei prossimi giorni pubblicheremo la seconda parte di questa intervista. Nel frattempo, vi anticipo che il video dell’intervista completa a Jacopo Fo, verrà proiettato sabato 10 novembre a Milano, in occasione dell’incontro organizzato dal Movimento Zeitgeist Italia, proprio per discutere con esperti – tra cui Sergio Parini – e pubblico attorno ad alcuni principali interrogativi sul ‘68. Per tutti i dettagli clicca qui.
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