A Roma un luogo abbandonato diventa una palestra e spazio sociale
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Il deposito caldaia, non più utilizzato per il suo scopo da diversi anni è diventato una discarica e una “piscina” (l’acqua, in caso di pioggia, si innalza anche di un metro) quando Giovanni Cozzupoli ed Emanuele Agati sollecitano la partecipazione degli abitanti del Quarticciolo e il sostegno di tante altre realtà come comitati e associazioni, per recuperare i locali abbandonati, ripulirli, arredarli e trasformarli così, nella Palestra Popolare Quarticciolo.
La palestra viene inaugurata due anni fa, dopo un anno di faticoso lavoro: un’operazione collettiva che ha coinvolto chi non aveva interesse del quartiere e chi, al contrario, lo aveva sempre vissuto come qualcosa di cui prendersi cura. Uomini, donne e bambini, tutti impegnati per dare nuova vita ad un locale dimenticato fino ad allora da tutti.
Giovanni ed Emanuele sono tecnici federali riconosciuti dalla federazione pugilistica italiana, il loro lavoro è un altro, o quasi: il primo è assistente educatore culturale in una scuola della zona Balduina, l’altro è operatore domiciliare di ragazzi disabili. Uno di Reggio Calabria, trasferitosi a Roma per frequentare l’Università, l’altro nato e vissuto in un’altra borgata romana, il Labaro.
Il loro modello si rifà alla scuola cubana, una delle scuole più importanti e vincenti di box: la palestra quale luogo per realizzare anche un intervento socio-educativo degli atleti e del contesto sociale in cui la palestra è inserita. La palestra popolare diventa quindi, in questi due anni, un luogo dove trascorrere il pomeriggio, dove rifugiarsi anche se non c’è lezione, dove incontrarsi, parlare, confrontarsi, discutere, conoscere.
Sono circa cento i suoi frequentatori. Bambini, adolescenti e adulti, femmine e maschi: un melting polt fortemente rappresentativo del quartiere. La gestione della palestra avviene attraverso un’assemblea che vive in sinergia con altre associazioni del Quarticciolo.
La palestra non ha mai ricevuto alcun finanziamento pubblico, tanto meno un riconoscimento di alcun tipo per l’importante lavoro sociale che svolge. Gli istruttori federali svolgono la loro attività come volontari, i frequentatori versano una cifra simbolica di 25 euro mensili, ma chi non può pagare non è stato mai sollecitato a farlo: l’importante è che continui a frequentare la palestra, ad allenarsi e sfuggire alle “tentazioni” che lo porterebbero lontano da un modello di vita sano e collaborativo.
La palestra di boxe popolare del Quarticciolo nasce intorno al concetto di “riappropriazione”: riappropriazione di una idea di sport accessibile, che aggreghi, che faciliti lo stare insieme, che costruisca e stringa il legame con il territorio. Un luogo per condividere tempo, pensieri, esperienze. Una differente idea di socialità, di stare insieme, di fare qualcosa per un interesse collettivo
In questi due anni di attività, festeggiati il 30 settembre scorso, sono “nati” già tre pugili agonistici che stanno raccogliendo ottimi risultati e un ragazzo egiziano che ha vinto il torneo regionale esordiente.
Ma il “prodotto” più importante, di grande valore sociale, è la storia personale dei tanti atleti che frequentano la palestra e che grazie a questa hanno la possibilità di conoscersi, di comprendere quale sia la loro strada, quali i sogni e i desideri. È la storia, ad esempio di un ragazzo del quartiere che, prima d’incontrare la palestra, svolgeva una vita che potremmo definire un po’” irrequieta” e che attraverso di essa ha cominciato ad interessarsi, in modo costruttivo e propositivo, del suo quartiere e del suo futuro. È quello che più di tutti ha contribuito a dare vita alla palestra, l’ha ripulita della spazzatura e costruito la pavimentazione di cemento. Oggi continua a frequentarla e a studiare per laurearsi in scienze motorie.
È anche la storia di una giovane ragazza di origine sud americana, molto timida, con evidenti difficoltà nel socializzare. Si avvicina alla palestra senza mostrare un evidente interesse per quello che vi succede e per la boxe, tanto che non se ne comprende inizialmente la sua frequentazione, ma in silenzio e con tenacia vi rimane per diventare, in così poco tempo, una promettente atleta oltre ad aver stretto amicizia con tanti bambini e bambine del quartiere.
Oggi il sogno di Giovanni ed Emanuele è quello di vedersi riconosciuto il loro progetto, che significa sollevarli dal status di “occupanti” per fugare qualsiasi timore di essere buttati via, un giorno o l’altro, come la tanta spazzatura di cui si era riempito il deposito caldaia.
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