C’è un ristorante a New York che assume nonne invece di chef
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La domenica a pranzo dalla nonna, i tortellini fatti in casa (sempre dalla nonna), le ricette (anche quelle) sono della nonna. Saperi culinari che si trasmettono di generazione in generazione, ma che partono sempre dalle nonne, custodi di un sapere antico e popolare, genuino, fatto di esperienza: è questa l’idea che ha mosso Jody Scaravella quando nel 2011 ha deciso di aprire il suo ristorante Enoteca Maria a Staten Island, a New York, e di mettere delle nonne italiane al posto dei cuochi professionisti.
Non si tratta di una scelta di mero business, ma di un progetto nato dalla personale esperienza del proprietario. Non a caso, nel suo vissuto c’è una figura importante di nonna italiana: «Mi ricordo di lei quando andava al supermercato portandosi il carrello: si fermava al banchetto delle verdure e mordeva una mela o assaggiava una ciliegia, e se era buona comprava, altrimenti la sputava per terra con un’espressione disgustata in viso», scrive Jody sul sito dedicato al ristorante. «Ero colpito del fatto che nessuno mai se ne lamentasse ma dopotutto lì la conoscevano tutti».
La nonna di Jody non era soltanto la protagonista di episodi simpatici al mercato, ma anche la portatrice di una tradizione culinaria forte, quella italiana. Una passione che poi ha trasmesso al nipote e che ha lasciato un segno. Jody Scaravella, infatti, decide di aprire un ristorante valorizzando proprio questi saperi antichi, consapevole che è proprio lì che risiedono i valori della buona cucina. Dunque nel 2011 nasce Enoteca Maria e ai fornelli ci sono delle nonne. Tutte italiane.
Col tempo però Enoteca Maria si evolve. Perché non dare la possibilità di sperimentare anche altre culture, altri cibi, altri saperi? L’idea, infatti, è quella di portare nel ristorante non solo nonne italiane, ma nonne di tutto il mondo. Inizialmente se ne fa soltanto un libro, “Nonnas of the World”, in cui ogni nonna che lo desideri può inserire la propria ricetta assieme a tre foto e alla propria biografia. Poi, nel 2015, il libro si trasforma in un esperimento lavorativo e funziona.
Oggi, ogni giorno, accanto ad una cuoca italiana, all’Enoteca Maria c’è una nonna che propone un suo menù: può essere cibo del Bangladesh, della Grecia, della Palestina e così via. Il principio guida è sempre lo stesso (quello della tradizione culinaria), ma a questo si aggiunge un altro fattore motivante: valorizzare una fascia di persone che generalmente viene messa da parte nella società di oggi. E così si capovolge quell’assunto per cui una persona, superati i 60 anni e completata la vita lavorativa, sia inutile o debba necessariamente ‘riposarsi’: queste nonne qui sono fondamentali e sono proprio loro a mandare avanti la cucina, con la loro esperienza e con la loro forza.
D’altra parte, il vantaggio non è solo di chi gusta i “piatti della tradizione” ma anche di chi li fa: queste nonne si sentono valorizzate e per qualche giorno a settimana hanno la possibilità di lavorare in un ambiente piacevole, “fra sorelle”. Inoltre ogni giorno ci si può iscrivere ad una “cooking class” della nonna di turno, che in un paio di ore spiegherà una ricetta della propria tradizione gastronomica.
Non stupisce poi che il ristorante sia sempre pieno, tanto che bisogna prenotare – dicono su internet – con giorni di anticipo.
La cucina delle nonne è amata in tutto il mondo, indipendentemente da quale sia la cultura di origine. E così è anche in Italia, come emerso da un sondaggio condotto online dalla Polli Cooking Lab nel 2014 sul tema del cibo. Pare che su circa 1.200 italiani tra i 20 e i 55 anni il 49% ha detto di preferire la nonna in cucina, anche rispetto agli chef o ai ristoranti stellati. I motivi? Usa prodotti di qualità (24%) e si affida alle ricette della tradizione (33%), riuscendo a rendere gradevoli anche quei piatti fatti di verdure e legumi generalmente mal sopportati. E se un piccolo ristorante di New York è riuscito a conquistare i gusti della Grande Mela, immaginiamo cosa potrebbero fare le nonne di tutto il mondo, insieme.
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