31 Ott 2018

Il potere invisibile della compassione

Amore verso se stessi e verso gli altri. Così potrebbe essere definita la compassione, qualità che tutti possediamo in modo innato e che possiamo sviluppare. Da dove iniziare? Impariamo ad amare e ad accettare noi stessi.

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Gentilezza, compassione e amore sono parole che suonano molto bene, ma non sempre hanno una buona presa in un mondo in cui spesso prevalgono altre qualità e valori. In una società che ci incoraggia a competere, a “scalare la montagna del successo”, ad accumulare beni, al consumo quasi istantaneo di ogni desiderio o appetito, ad avere e avere sempre di più, sembra non esserci sempre spazio per queste tre qualità.

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Succede, tuttavia, che quando raggiungiamo questi obiettivi tanto sostenuti dalla nostra società, questi si rivelino insufficienti, il che accade quando i nostri occhi iniziano a cercare “qualcos’altro”. Infatti, al di là  della nostra insaziabilità e del consumo di tutti i nuovi prodotti, potrebbe esserci una ricerca più profonda: godere della vera felicità e alleviare la nostra sofferenza, e anche quella degli altri. In questa ricerca, una frase, un libro, una persona, possono giungere lungo il percorso “casualmente” per mostrarci altri modi per raggiungere questo obiettivo profondo e autentico.

 

È in questo modo che molti di noi siamo arrivati ad interessarci della meditazione e/o della mindfulness. Abbiamo comprato un libro, abbiamo parlato con qualcuno, partecipato ad un seminario, abbiamo acquistato l’attrezzatura necessaria… e ci siamo impegnati per un periodo in questa pratica millenaria di indagine e crescita personale.

 

L’energia iniziale può aiutarci a mantenere la perseveranza per un po’. Ma la cosa certa è che, in molte occasioni, l’impegno nella pratica va perdendo forza, fino quasi a scomparire. Cosa è successo? Perché la nostra costanza nella pratica diminuisce? Sostenere la curiosità verso ciò che accade, senza giudicare, accettare e lasciare andare con pazienza, fidarsi dello sguardo attento, sono atteggiamenti centrali della mindfulness, ma insufficienti in se stessi. La chiave, ancora una volta, è l’amore.

 

In questo caso, è un tipo specifico di amore: quello della compassione e dell’auto-compassione.

 

“Essere compassionevoli è una pratica molto importante. Quando siamo stanchi, arrabbiati o disperati, dobbiamo sapere come tornare a noi stessi e prenderci cura della stanchezza, della rabbia e della disperazione. È per questo motivo che pratichiamo il sorriso, il camminare e mangiare consapevolmente”.
-Thich Nhat Hanh-

 

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 Bontà verso se stessi e compassione
Potremmo definire la compassione come una qualità dell’essere che si converte in amore verso se stessi e verso gli altri. La compassione ci spinge a fare qualcosa per contribuire alla felicità degli altri. Questo è il vero impulso, l’energia e il potere invisibile che apre la porta a stati di maggiore tranquillità, ampiezza e profondità di coscienza; quella coscienza che trascende l’ego per raggiungere uno stato transpersonale, dal quale stabilire un’autentica empatia, da cuore a cuore.

 

Il primo passo per sviluppare questa qualità che tutti possediamo in modo innato, è aprire lo sguardo interiore. Lo sguardo interiore ci permette di comprendere in profondità quali parti di noi rifiutiamo. Questi aspetti non riconosciuti della nostra personalità richiederanno molta accettazione e compassione.

 

Come possiamo dare agli altri ciò che non abbiamo o ciò che è scarso in noi?
Come possiamo essere amorevoli con gli altri quando ignoriamo l’amore verso noi stessi?
Indubbiamente, dobbiamo iniziare “da casa”: dal nostro io profondo, per investigare quanta compassione o auto-compassione ci permettiamo di esprimere:
Mi concedo di godere, riposare, sorridere, piangere?
Mi sento fortunato per il mio corpo, la mia famiglia, il lavoro …?
Mi sento degno di ciò che ho?
Sono a mio agio con me stesso, con me stessa?

 

Riconoscerci pienamente può aiutarci a provare gentilezza e amorevolezza verso noi stessi; perché, dopo tutto, questo è ciò che siamo veramente: amore. In generale ce ne vogliamo poco, molto poco. È qualcosa che viene trasmesso di generazione in generazione, di società in società… Fa parte del grande inconscio collettivo, perpetuando la sofferenza nel tempo.

 

Se vogliamo alleviare la nostra sofferenza, dovremmo iniziare a investire in quest’aspetto poco frequentato: quello di imparare ad amarci. Qui è dove la consapevolezza può aiutarci. Attirando l’attenzione sulla nostra vera natura e riconoscendola, possiamo scoprire tutto il potenziale che abbiamo; allora possiamo esercitare compassione verso noi stessi, in primo luogo, e da lì espanderla verso la nostra famiglia, gli amici e il resto del mondo.

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L’auto compassione ci porta all’integrazione
Potremmo iniziare l’avventura dell’auto compassione con l’accettazione: l’accettazione amorevole di chi siamo e per ciò che viviamo. Ciò implica essere gentili con noi stessi, sentendo emozioni, sensazioni e pensieri, senza perdere la prospettiva del non giudizio e della non colpevolezza. Se comprendiamo e sperimentiamo questa realtà in noi stessi, è più facile guardare l’altro dall’empatia, poiché siamo più simili di quanto pensiamo. Quando l’attenzione e la compassione sostenute sono in sintonia, sorgono esperienze di vicinanza e riconoscimento della bontà: la nostra e quella dell’altro.

 

Il primo successo della nostra neo-coscienza è di permetterci di sperimentare. Ad esempio, il dolore fisico è, dal punto di vista fisiologico, solo dolore prima ancora di riconoscere se sia una circostanza esterna o interna a causarlo. In questo senso, l’intensità è soggettiva, ma l’esperienza è reale. L’esercizio del “lasciar andare” le elaborazioni mentali che accompagnano il dolore ci libera dalla sua carica emotiva.

 

Quando ci alleniamo ad accettare il dolore fisico, pur mantenendo un atteggiamento di attenzione compassionevole verso di esso, stiamo limitando l’inquinamento causato dai pensieri distorti, previsioni future e ricordi dolorosi di esperienze passate. Questo non significa smettere di osservare se possiamo davvero fare qualcosa per quel dolore e agire di conseguenza; cioè, non smetteremo di andare dal medico, di fare una medicazione, ecc. Sarà necessario cambiare la domanda:
¿Por qué me duele?” por: “¿para qué me duele?
Per quale motivo mi fa male? Quale funzione ha quel dolore?

 

In questo modo torniamo al corpo, a casa, per osservare uno squilibrio, un bisogno che deve essere espresso; e accompagniamo noi stessi verso la sua risoluzione o verso l’equilibrio da un atteggiamento più calmo, sereno, lucido e di accettazione compassionevole.

 

Accettare non significa essere osservatori inerti. Motivati ​​dalle comprensioni che derivano dall’osservazione attenta, possiamo agire. E agire può significare prendere una decisione e cambiare qualche aspetto… o non cambiare nulla. In entrambi i casi stiamo agendo. Osservando i problemi in questo modo, possiamo continuare a indagare sulla loro natura; e nel tempo ci rendiamo conto che non sono così immobili, rigidi o solidi come potrebbe sembrare inizialmente. Infatti, progressivamente ci stiamo rendendo conto che i “problemi” stanno cambiando e, in definitiva, sono impermanenti. Questa consapevolezza e realizzazione rende i problemi, in qualche modo, più “piccoli”.

 

Ridurre l’intensità dei momenti spiacevoli ci permette di intravedere i momenti di godimento che la vita ci offre; senza tanto bisogno di vivere momenti di intensità e quasi assoluta perfezione. Cominceremo a goderci il piccolo, il quotidiano… dal presente con tutte le sue sfumature. Questo momento è unico, possiamo godercelo se abbiamo un atteggiamento gentile e un’attenzione sostenuta.

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Gli ostacoli quotidiani
Sappiamo che l’avventura della vita è piena di difficoltà che mettono alla prova le nostre capacità, abilità e apprendimento. Sembra che non ci sia un giorno che non abbia il suo ostacolo. Spesso tendiamo a pensare che questi provengano da “fuori”, che la Vita li metta dinanzi a noi e che non abbiamo altra scelta che affrontarli o evitarli.

 

Questa prospettiva di semplice spettatore ci limita nella possibilità di trovare prospettive e risposte. Smettere di concentrarsi all’esterno e iniziare a guardare dentro per trovarci, rende possibile iniziare a prendere il controllo della nostra esistenza. Allo stesso tempo, lo sguardo interno, nell’ostacolo, ci consente di prendere coscienza dei dettagli, e persino delle soluzioni, che prima passavano inosservate.

 

Questo atteggiamento ci lascia molta forza disponibile, forza su cui possiamo concentrarci per partecipare a tutto ciò che la vita ci sta presentando. Questo ingrediente essenziale, questo potere invisibile, ci permette di avere uno sguardo accogliente verso gli ostacoli quotidiani. In realtà, questi ostacoli sono convertiti da questo stato di coscienza in una vera fonte di crescita, nonché un’opportunità di miglioramento continuo.

 

La saggezza che emerge dalla compassione ci consente di osservare la vita, nostra e altrui, con uno sguardo pulito, calmo e sereno da cui rispondere con amore. La profonda compassione, come atteggiamento amichevole e gentile, dà un grande significato alla vita in ogni momento, in ogni istante, nel nostro “qui e ora”.

 

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