Noosoma, la cura al di là del sintomo
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Cuneo - Eliana Brizio e Mario Frusi sono colleghi, compagni di vita, un team di lavoro, una squadra che ha fatto dei propri valori una vera e propria missione al servizio delle persone. Da lungo tempo collaborano a Cuneo al progetto “Noosoma” che rappresenta il risultato di anni di impegno, passione e dedizione nel campo della salute. È proprio il tema della salute ad essere riproposto in una nuova e rivoluzionaria chiave di lettura che mira alla cura e al benessere complessivo della persona e che insegna a non focalizzarsi esclusivamente sul singolo disturbo ma ad inquadrarlo in un’ottica globale, ricercando le cause che lo hanno innescato.
“Noosoma” rappresenta in questi termini un vero e proprio “laboratorio” per l’apprendimento e la sperimentazione di un approccio basato sulla cura della persona vista come insieme complesso e meraviglioso di molte parti legate e collegate tra loro, in una interazione diretta tra mente e corpo, causa e sintomo, problema e opportunità.
Da anni la missione di “Noosoma” è quella di apportare un reale e concreto cambiamento nella vita delle persone, proponendo un metodo che ristabilisca un dialogo equilibrato tra l’individuo, il suo corpo ed il suo stile di vita, utilizzando la consapevolezza come strumento per facilitare la trasformazione.
L’approccio multidisciplinare del progetto deriva dal punto di incontro dei percorsi di formazione e ricerca personale di Eliana e Mario: Eliana si è dedicata per anni alla professione di infermiera e la lunga esperienza nei reparti ospedalieri l’ha spinta ad interrogarsi sulle reali necessità delle persone portatrici di disagi e sofferenza, offrendo un nuovo punto di vista basato sul supporto e sull’accompagnamento progressivo del paziente nella comprensione della malattia e delle cause somato-psichiche che ne stanno alla base. Formatrice nel campo del cosiddetto “approccio complementare alla salute” e preparata nelle tecniche di massaggio, psicomotricità e nell’ambito del percorso gestaltico, è una vera e propria promotrice della cultura e del benessere.
Mario ha da sempre operato in campo medico, dedicando la sua vita alla cura delle persone ed esplorando con grande curiosità diverse discipline quali medicina, fisioterapia, psicologia, posturologia, omeopatia, fitoterapia, nutrizionismo, con la convinzione che una maggior preparazione e conoscenza potessero garantire una più ampia e complessiva visione di insieme della salute della persona.
In una lunga chiacchierata, Eliana e Mario mi raccontano la loro storia, le loro visioni ed i loro sogni. Dalle parole risuona la forte complicità che li contraddistingue e la tenacia e motivazione che li ha spinti a dedicarsi al prossimo, contribuendo a diffondere una cultura della salute basata sulla consapevolezza e sulla ricerca del benessere.
Da dove deriva il nome “Noosoma”?
“Il termine, di nostra invenzione, è rappresentato dall’unione di due parole derivanti dal greco antico quali νόος (noos) che letteralmente significa mente e σῶμα (soma) che invece significa corpo. A partire dalla stretta interazione fra “mente” e “corpo”, l’approccio di “Noosoma” si basa proprio sulla valorizzazione della persona come un insieme di parti che tra loro comunicano e che, in stretta connessione, si influenzano.”
Su quale approccio e visioni comuni si basa il progetto?
“Ad un certo punto della vita ci siamo incontrati ed innamorati ed insieme abbiamo iniziato a confrontarci su ciò che per noi significa davvero prendersi cura delle persone. In particolare, abbiamo iniziato a fare un lavoro che non si concentrasse tanto sul sintomo quanto sull’insieme della persona che è portatrice di quel sintomo.
Il nostro approccio ci permette di affrontare in un’ottica omnicomprensiva la sofferenza fisica e mentale-emozionale dell’individuo, garantendo strumenti per il recupero della forza e della consapevolezza di ciascuno, al fine di ritornare ad uno stato di salute positivo e duraturo ed apportando un reale e concreto cambiamento nella vita delle persone. Noosoma accompagna l’azione nei confronti della malattia attraverso il suo lavoro sulla salute, articolandosi in diversi campi d’azione: lavoro biomeccanico, manipolativo, neuro-emozionale, farmaco-terapeutico, ontologico, educativo e non verbale.”
Quali sono i limiti della medicina accademica?
“La visione di Noosoma è mettere a disposizione delle persone un metodo di cura che supera la prospettiva della medicina tradizionale focalizzata sul singolo sintomo e che si concentra su ciò che quel preciso sintomo ci sta dicendo, in una visione più ampia. Applichiamo quindi una medicina che non è né alternativa, né parallela, né complementare. Rispecchia invece l’impegno di unificare le svariate discipline di cura senza tuttavia perdere di vista la loro specificità. In quest’ottica è naturalmente necessario che si abbandoni il dualismo, per non dire la contrapposizione, tra medicina accademica e gli altri strumenti consolidati di guarigione: è più che mai urgente che ogni operatore della salute si doti di un ampio serbatoio di conoscenza al quale ogni tecnica e disciplina contribuisca secondo uno schema circolare e non gerarchico.”
Cosa genera, a vostro avviso, la malattia?
“Modelli di comportamento, atteggiamento, carattere, stile di vita, attitudini fisiche e psico-emotive, ambiente esterno e reazioni ad esso sono tutti fattori che possono farci così male da scatenare situazioni patologiche. Le persone oggi sono schiacciate dal fatto di sentirsi malate, in pericolo, sotto pressione e non ci sono sufficienti basi ed energie per cui la nostra società possa trasformarsi in una società capace di trasmettere efficaci strumenti di cambiamento sul tema della salute.
Noi riteniamo che ogni problema abbia la sua postura: ci possono essere diverse cause di un dolore cronico e decodificandole ci accorgiamo che spesso il dolore ad una specifica parte del corpo è il risultato di un disagio più ampio su cui è necessario agire.”
In che misura pensate che le persone siano consapevoli del loro corpo e della loro salute?
“Purtroppo riscontriamo poca consapevolezza nelle persone: in qualche modo siamo tutti “maleducati” perché la nostra società non ci educa all’attenzione a noi stessi. Molto spesso la difficoltà nell’ottenere un risultato non dipende tanto dalla complessità del problema stesso quanto dall’abitudine sbagliata che si è radicata in un organismo e che fa sì che il cambiamento sia più difficile da realizzare.
Negli anni abbiamo notato che la percentuale delle persone che consapevolmente decide di affrontare il proprio disagio attraverso un lavoro complessivo è molto più bassa di coloro che invece arrivano da noi come ultima spiaggia, perché non sanno più dove andare.”
In quale ambito della salute bisognerebbe assumere più consapevolezza?
“Al giorno d’oggi si parla molto di alimentazione ma ancora poco di nutrizione. Il cambiamento culturale è profondo e richiede un intervento diretto anche della politica affinchè la società smetta di concentrare un’attenzione esasperata sul sintomo e cominci a focalizzarsi sulle sue cause profonde. Un esempio è dato dalla pubblicità dei medicinali che, invece di occuparsi della causa, è incentrata sempre sulla risoluzione del sintomo: spesso si mostrano persone sofferenti che diventano felici pochi minuti dopo aver ingerito un determinato medicinale. L’azienda ha il diritto di pubblicizzare il proprio prodotto ma alla persona interessata dovrebbe essere ricordato che al di là del singolo sintomo ci sono delle abitudini di vita errate da scardinare.
Per quanto riguarda la nutrizione esistono piccoli semplici atti di consapevolezza che tutti possono mettere pratica: per esempio una attenzione alla masticazione, alla qualità dei cibi e alla loro riduzione poiché la quantità è quasi sempre superiore al necessario.”
Quale rapporto dovrebbe essere instaurato tra medico e paziente?
“Indubbiamente per poter gestire i rapporti c’è bisogno di una profonda empatia, la persona deve potersi sentire compresa ed accolta nel momento in cui condivide con noi un proprio disagio. Riscontriamo in ambito sanitario una consuetudine nel dare diagnosi infauste: dire ad una persona che è diabetica è molto diverso dal dirle che ha il diabete. Siamo soliti ripetere che in fatto di malattie non esistono meriti o colpe, esistono semplicemente condizioni storiche e socioculturali che hanno prodotto un determinato comportamento in un individuo e uno talvolta diametralmente opposto in un altro, per cui non ci sono persone buone o cattive. Quando i nostri pazienti capiscono questo si sentono accettati e allora la strada è spianata verso una maggior capacità di affrontare la problematica.”
Quale approccio alla salute dovrebbe essere insegnato in ambito accademico?
“Ciò in cui crediamo profondamente è che nelle università ci sia un grande bisogno di fare formazione per insegnare ai giovani a relazionarsi e a comunicare col paziente. È fondamentale insegnare ai medici a parlare di salute, occuparsi di salute, fare salute e non soltanto studiare per debellare le malattie. Questo secondo noi è uno dei punti chiave.”
In quale modo agite sul territorio?
“Pian piano abbiamo portato sul territorio la nostra missione, attraverso serate formative e di divulgazione finalizzate a diffondere le nostre conoscenze e trasmettere la nostra passione affinchè chiunque possa avere la forza e le energie nell’affrontare i propri problemi. Uno dei nostri obiettivi per il futuro è poter maggiormente cooperare, dialogare, creare gruppi di lavoro e sinergie con altre persone, enti, associazioni. Ad oggi esistono tante realtà che portano avanti progetti interessanti ma in maniera indipendente. Noi pensiamo che più si coopera insieme, più è possibile agire “politicamente”, intendendo il termine politica come la capacità di entrare nel tessuto sociale in modo che ci sia la forza sufficiente per arrivare a tutte quelle persone che tanti piccoli progetti non riescono a raggiungere. Comunicare col maggior numero di utenti significa recuperare un livello di fiducia che ormai si è perso ed allontanarsi da un sistema che ci ha portati sempre più ad uno sviluppo egoistico ed individualista, molto lontano dal bene comune.”
Se doveste mandare un messaggio alle persone ed alle istituzioni, quale sarebbe?
“Bisogna tornare a parlare di prevenzione primaria, smettere di dirottare l’attenzione esclusivamente verso le diagnosi e verso il solo utilizzo di macchinari diagnostici. Bisogna portare avanti una cultura del benessere, educare le persone affinchè ricomincino a pensare e non ad “essere pensate” dalla società e dai media. Stare in salute significa introdurre nella propria vita le giuste abitudini che ci fanno stare bene ogni giorno.”
Qual è l’aspetto più bello del vostro lavoro?
“L’aspetto più significativo dell’approccio di Noosoma è quello educativo, che mostra i suoi risultati quando vediamo l’evoluzione nelle persone che arrivano da noi con un certo tipo di forma mentis e che, grazie ad un lavoro sistemico sulla propria salute, raggiungono successivamente il benessere e l’autonomia. In questa circostanza noi abbiamo compiuto la nostra opera più gratificante.”
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