Seguici su:
Può esistere una realtà che riunisce soggetti svantaggiati e territori confiscati alla ‘ndrangheta in luoghi in cui l’influenza della criminalità organizzata è pervasiva e diffusa? Sì. E si chiama “Giovani in vita”. Si tratta della cooperativa ideata nel 2003 da Domenico Luppino, che ne è il direttore, a Sinopoli, un piccolo paese alle falde dell’Aspromonte in provincia di Reggio Calabria.
“Allora ero sindaco di Sinopoli e venni chiamato dalla Prefettura di Reggio Calabria. Mi chiesero di proporre un’iniziativa che promuovesse lo sviluppo e la legalità del territorio. Io pensai di fare una cooperativa partendo dai terreni allora confiscati alla ‘ndrangheta e dati al Comune”. Così nasce la cooperativa, con l’ambizioso obiettivo di “sottrarre giovani al gioco della criminalità organizzata” e dare loro un futuro migliore. Infatti, ci racconta Luppino, in territori come quelli di Sinopoli e dintorni è abbastanza facile che i giovani che vi crescono diventino manovalanza della ‘ndrangheta.
I primi soggetti svantaggiati che la cooperativa ha cercato di includere nel suo progetto erano, infatti, proprio i giovani calabresi del reggino, quelli nati e cresciuti in quei paesini, quelli più a rischio. Col tempo la cooperativa si è allargata e ha dato lavoro a migranti e a ragazzi con deficit fisici o mentali.
Nei primi tempi di lavoro si è occupata del recupero dei terreni, abbandonati ormai da anni e per questo non produttivi. Quando è riuscita a riconvertirli, ha iniziato a coltivare prodotti locali e adesso produce soprattutto olio d’oliva. Olio che poi viene confezionato e venduto nel circuito Altro Mercato, all’interno di un percorso totalmente ‘ndrangheta free: “Prima pensavamo di venderlo sfuso, ma questo significava portarlo a commercianti locali che avrebbero potuto in qualche modo essere legati alla ‘ndrangheta. Poi abbiamo trovato questo sbocco commerciale alternativo e fortunatamente abbiamo trovato molto consenso”.
La vita della cooperativa, tuttavia, non è affatto facile. “Giovani in vita” prosegue nel suo operato da quindici anni in un territorio ad alta densità mafiosa, dove le minacce si sono susseguite numerose: alla figura del direttore Luppino – minacciato di morte – ma anche alla stessa cooperativa, che ha subito furti e incendi (da ultimo quello che ha causato danni a circa 30 ulivi nel dicembre 2017).
Anche la popolazione che vive nei paesini interessati, inoltre, è restia ad avvicinarsi. Non c’è solidarietà. Anzi, avverte il direttore Luppino: “La popolazione tende inevitabilmente a stare quanto più lontano da realtà come la nostra. Purtroppo, la gestione dei beni confiscati ha un aspetto positivo ma è qualcosa soltanto teoricamente virtuoso, che poi non ha un riscontro sociale tale da poter dire che ha contribuito a cambiare le cose o l’opinione della gente sulla ‘ndrangheta”.
Infine, il grande assente è lo Stato, che non ha dato supporto concreto ad una realtà così difficile da mandare avanti. Negli anni, infatti, “Giovani in vita” ha ricevuto soltanto due volte finanziamenti da parte della Regione Calabria, mentre contro le minacce nulla ha potuto fare, se non dare una scorta a Domenico Luppino. Eppure, “Giovani in vita” resiste. E per questo va raccontata.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento