Cinque mesi senza tetto: la storia di Paolo Pallavidino
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Torino - Arriva un momento nella vita in cui si riceve una chiamata ed in cui un conflitto, per lungo tempo sepolto, prende forma, conducendo ad una presa di consapevolezza indirizzata al cambiamento. Quella che ci racconta Paolo Pallavidino è un’esperienza curiosa, forte e coraggiosa. Paolo, da novembre 2017 ad aprile 2018, ha deciso di affrontare le sue paure, intraprendendo per cinque mesi la vita da senzatetto e tutte le sfide che questa scelta comporta.
Mi trovo con lui a fare una lunga e coinvolgente chiacchierata in cui mi racconta le esperienze, le difficoltà e le bellezze che la vita sulla strada può dare, così come i preziosi insegnamenti ricevuti, che lo hanno portato a superare se stesso all’interno di un percorso di crescita personale e spirituale tutto da scoprire.
Cosa ti ha portato a intraprendere il percorso alla scoperta della vita da senzatetto?
“All’interno della mia famiglia c’è sempre stata una paura irrazionale di andare a finire sotto i ponti, era la paura di mio nonno, poi di mio padre ed infine anche la mia.
Ciò deriva proprio dall’esperienza di mio nonno, che ha vissuto in prima persona la guerra e la povertà. Mio padre, a differenza, ha sempre avuto un lavoro sicuro e di conseguenza la possibilità di guadagnare e mettere da parte soldi, per cui era tutto fuorchè una persona che rischiava di andare a vivere sotto i ponti. Nonostante ciò, viveva la costante paura di spendere o perdere i propri guadagni. Ad esempio, se investiva in borsa e quella mattina la borsa era in calo, rimaneva di cattivo umore per tutto il giorno ed io sin da bambino ho patito questa situazione, vedendo nel denaro un ostacolo che non mi permetteva di godere l’amore e la serenità in famiglia. Nel tempo sono cresciuto con un rapporto conflittuale coi soldi, finendo con lo scialacquarli non appena guadagnati.
Nel mio percorso di vita ho quindi preso coscienza del difficile rapporto col denaro e la paura di finire per la strada si traduceva nel fare sempre la scelta più sicura e mai quella più sentita.
In un momento di grande necessità e voglia di mettermi in gioco rispetto ai miei limiti, ho avuto un’intuizione, come un atto psicomagico. Era maggio del 2017 e mi sono svegliato una mattina con una voce nella testa molto chiara: ‘dal primo novembre al primo aprile, cinque mesi in strada.’ Il mio desiderio era quello di riconoscere le mie paure, affrontarle ed avere in questo modo la possibilità di trasformarle.
Mi sono quindi detto: ‘Ho paura di finire sotto i ponti? Vado sotto i ponti e vediamo cosa succede.’ ‘Ho una gestione poco equilibrata del denaro? Per cinque mesi vivo senza un euro vediamo che cosa succede.'”
Come ti sei preparato a questa esperienza?
“Per iniziare ho comunicato il progetto ai miei figli e ho lanciato una campagna di crowdfunding tra gli amici più cari per finanziare gli alimenti che pago loro ogni mese. E’ stato curioso parlarne poi con i miei genitori, in quanto il mio rapporto sfasato col denaro derivava proprio da mio padre. Lui è infatti quello che ha avuto più difficoltà a capire il senso di quest’esperienza, mentre mia mamma ha compreso più facilmente il progetto nella sua essenza.
Devo dirti che una delle parti più difficili dell’esperienza è stata proprio quella di partire.
Più si avvicinava il primo novembre, più prendevano forma le mie paure e di conseguenza posticipavo la partenza. La mattina del 15 novembre, dopo colazione, ho iniziato ad accusare forti dolori allo stomaco ed ho capito che era arrivato il momento di reagire; pertanto il giorno successivo ho creato il video per il crowdfunding, ho preso definitivamente coraggio ed il giorno successivo, munito di borsa, sacco a pelo, materassino, cuscino e zaino sono finalmente partito.”
Raccontaci delle tue prime esperienze ed impressioni.
“All’inizio della mia esperienza, ho avuto la necessità di comprendere come funzionasse la vita di un senzatetto; di abituarmi al freddo, ai rumori della città durante la notte; di capire dove poter mangiare, dove potermi procurare degli abiti e dove lavarmi. Mi sono accorto che il modo migliore per ottenere informazioni era parlare direttamente con i barboni e grazie a tal confronto sono riuscito a costruirmi una mappa mentale di tutti i luoghi potenzialmente utili.
I primi giorni sono stati fondamentali per capire come sopravvivere entrando in punta di piedi in questo mondo variegato ed intanto misurandomi con situazioni completamente fuori dalla zona di comfort.
Ho imparato a confrontarmi con personalità di ogni genere, dagli italiani in difficoltà, alle comunità straniere, ai tossici, agli alcolisti o a coloro che, in seguito a difficoltà si sono trovati in strada, rivendicando la loro dignità. Ho incontrato anche molte persone positive, come i musicisti con cui suonare, cantare e nuovi amici che ritrovavo spesso alla mensa.
Inizialmente, ho dormito dietro al Teatro Regio, luogo che già conoscevo ma dopo aver assistito ad un furto, mi sono trasferito in Galleria San Federico, dove dormivano altri cinque barboni. Con alcuni di loro ho stretto una bella amicizia e tornare in quel luogo la sera era quasi come tornare a casa.
Nel complesso ho percepito molta umanità e tolleranza nei confronti dei senza dimora; ricordo famiglie che ci venivano a portare la zuppa, persone che ci donavano la pizza o chi la mattina ci offriva il the caldo. Questo è un mondo dove passi da frequenze bassissime a frequenze molto alte ed ogni giorno ha le sue sorprese.”
Quali insegnamenti hai ricevuto dalla vita sulla strada?
“Il secondo giorno, ho ricevuto il primo insegnamento che la strada mi ha dato. Ho, infatti, capito come avere venti centesimi in tasca mi potesse permettere di usufruire di un bagno pubblico anziché recarmi di nascosto in un parco ed io questi soldi non li avevo. La mattina successiva sono stato svegliato dal vociare di bambini attorno a me; era una classe in visita al Teatro Regio. Io, del tutto coperto, ho sentito un bambino esclamare ‘Maestra ma si muove!’ e la maestra ‘Si, lasciamolo dormire’. Alzandomi, mi sono accorto con grande sorpresa che un bambino mi aveva lasciato ben 50 centesimi. Quella è stata una delle prime esperienze di sacralizzazione del denaro.
Un altro insegnamento che ho appreso riguarda invece il mio rapporto col cibo. Pur non avendo fame, poiché mangiavo alla mensa sia a pranzo che a cena, facevo molta fatica a rifiutare la pizza che mi veniva offerta alla sera e finivo col gustarla sotto le coperte, come consolazione compensativa al sentirmi solo. Soltanto dopo qualche mese sono riuscito a rinunciarvi, dopo un’attenta introspezione e presa di consapevolezza.”
Che rapporti avevi con gli altri senzatetto?
“Ci sono rapporti molto diversi: con alcuni ti conosci di vista, con altri riesci a creare un piccolo gruppo con cui hai maggior confidenza. Due tra le persone più care che ho conosciuto in quest’esperienza sono coloro che dormivano con me in Galleria San Federico e che considero come fratelli. In mensa avevo un gruppo di amici con cui era bello ritrovarsi e ho anche stretto amicizia con una donna con la quale condividevo la stessa passione e conoscenza per la musica.”
Che valori hai riscoperto da quest’esperienza e quali sono le difficoltà riscontrate?
“Nel complesso penso che riscoprire il valore del tempo, ed esserne padrone, sia la ricchezza più grande che la strada mi ha dato. La mia quotidianità era scandita dai due appuntamenti alla mensa, dandomi la possibilità di inventare il resto della giornata. Ho sentito una forte riconnessione con me stesso ed un senso di grande libertà dal pagare affitto, bollette, contratti. I soldi non erano un problema, dal momento che ho scoperto che in città esistono numerosi eventi e servizi gratuiti.
Un’altra consapevolezza che ho acquisito è che con la fame e senza vestiti non rimani. Siamo una società ormai così ricca e produttiva per cui anche per i senzatetto sono a disposizione una buona quantità di cibo e vestiti.
Rispetto alle difficoltà, penso che le relazioni affettive siano il parametro più importante che ti permette di rimanere a galla o farti precipitare. Avere familiari o persone care può rappresentare una salvezza, una vera e propria boa a cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà. Se sei solo, la strada è capace di portarti ancora più giù.
Nella quotidianità, difficile è anche riuscire a riposarsi completamente, poichè la notte quando si dorme, si è sempre vigili ed il sonno non è mai profondo come quello a cui si è abituati nel dormire a casa, per via dei tanti rumori notturni, delle risse che avvengono nei dintorni o della presenza di malintenzionati.”
Quali interventi potrebbero, a tuo avviso, facilitare la vita dei senza fissa dimora?
“A livello di piccole ma potenti azioni, io ho già pensato ad una possibile soluzione che in futuro vorrei realizzare: si chiama ‘Pennica’ e si concretizza in un centro di accoglienza in cui i senzatetto possono accedere dall’una alle quattro di pomeriggio, ovvero tra il pranzo e la cena, usufruendo dei letti messi a disposizione per poter dormire tranquilli senza la paura di essere derubati o disturbati.”
Ad oggi sono passati cinque mesi, come pensi questa esperienza ti abbia migliorato?
“Questa esperienza ha sicuramente trasformato in meglio il mio rapporto col denaro e, per la prima volta, sono riuscito a risparmiare dei soldi senza troppa fatica. Attualmente non sento più la paura della povertà e ciò mi ha anche permesso di vivere con più serenità il lavoro.
Anche il rapporto con mio padre si è trasformato. All’inizio di questa avventura si era dovuto sforzare molto per comprendere la mia scelta ed ora, dopo aver condiviso con me questo importante passo, il nostro rapporto è più sereno.
Nel complesso l’esperienza ha contribuito a sciogliere gli ultimi irrisolti con la ferita che mi portavo dietro e ad arricchire il mio bagaglio di crescita personale, di fare i conti con le mie paure, trasformandole. Oggi come oggi non avere più il timore di finire a vivere sotto i ponti mi ha fatto rivalutare cosa vuol dire fare scelte coraggiose e sicure e soprattutto fare scelte mie.”
Articolo tratto da Piemonte che Cambia
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