20 Giu 2018

Migranti economici e ambientali: perché partono?

Scritto da: Giorgio Avanzo

Se si considera che l'Africa è oggi il continente più colpito dalla desertificazione è facile comprendere perché la maggiorparte di quelli che vengono definiti “migranti economici” sono più precisamente “migranti ambientali”. Riconoscerlo vuol dire individuare le vere cause del fenomeno e capire quali scelte politiche attuare per restituire un futuro a queste popolazioni.

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Quando si parla di migranti viene fatta spesso questa netta distinzione fra due categorie: i migranti che scappano dalla guerra (o rifugiati politici) e quelli che vengono chiamati “migranti economici”. C’è un altro termine per la seconda categoria, almeno per una buona parte di essi: possono essere chiamati migranti ambientali.

 

Secondo me etichettare le persone che si spostano in questo modo non ha senso ma questo termine almeno cambia radicalmente il senso del problema. Indica quali sono le questioni da risolvere, indica il motivo profondo per il quale le persone si spostano e quali sono le scelte politiche da attuare per restituire un futuro ai popoli africani!

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Vorrei partire da questa frase: “Nonostante tutti i nostri successi noi dobbiamo la nostra esistenza ad uno strato di 15 cm di suolo e al fatto che piove”. La vita dell’uomo si basa su questo. Acqua e suolo danno origine alla vita e alle nostre interazioni con l’ambiente in cui viviamo, le piante sono ancora la base del nostro vivere nonostante cerchiamo di costruire un mondo sempre più artificiale attorno a noi che ci aliena dalle fondamenta della nostra società.

 

Masanobu Fukuoka, padre dell’agricoltura naturale, scriveva così: “Fino a cinquanta o sessanta anni fa, l’80% della popolazione giapponese era composta di contadini e solo una piccola parte della gente era occupata nel commercio o nell’industria. La struttura della popolazione del mondo economico era piramidale, ma adesso questa si è rovesciata. Le attività primarie totalizzano a malapena il 5% e le industrie secondarie e manifatturiere sono state sorpassate dalle industrie dei servizi al consumo. Se un tifone di depressione economica dovesse levarsi all’improvviso, questa struttura garantisce un sicuro collasso generale.” Quello che Fukuoka individuò per il Giappone vale sicuramente per molti altri paesi nel mondo.

 

Se parliamo di Africa parliamo di un continente che al momento si stima essere coperto per il 3% di vegetazione mentre solo 80 anni fa ne era ricoperto per l’80%. Ripercorrendo all’indietro il filo degli eventi, guardando al quadro generale, i problemi economici e sociali partono anche da qui: la questione ambientale e la qualità dell’agricoltura che si sta attuando nel mondo.

migranti-ambientali

L’Africa è il continente più colpito momentaneamente dalla desertificazione e dalla perdita di suolo, questo ha grandi conseguenze destinate ad espandersi in tutto il mondo se non diamo un taglio al nostro modo sconsiderato di usare le risorse naturali.

 

L’ambiente e l’agricoltura sono i temi dai quali ripartire per vedere dei cambiamenti concreti nel medio-lungo termine. Continuare a mettere toppe qua e là su una crisi culturale così profonda potrà andare bene ancora per un po’, ma siamo in attesa di una presa di consapevolezza collettiva che le scelte da fare siano individuali. Ad esempio si dice che abbiamo la possibilità di votare tre volte al giorno: ogni volta che mangiamo! Ed è proprio così, come e dove scegliamo di procurarci il cibo fornirà energia ad un modo di fare le cose o ad un altro.

 

Nei secoli abbiamo esportato la cultura occidentale in gran parte del mondo, in Africa abbiamo portato i nostri metodi agricoli su territori molto più fragili per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche e la capacità del suolo di rigenerarsi. Adesso dobbiamo prenderci le nostre responsabilità e quantomeno impegnarci nella gestione della crisi ambientale e aiutare le persone che abbandonano quei luoghi.

 

 

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