"Fare impresa e innovazione sociale nella Locride? Si può". Intervista a Gianluca Palmara
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Reggio Calabria - Riscoprire antichi mestieri e tradizioni per trasformarli in impresa ed occupazione femminile. E farlo nella Locride, uno dei territori più poveri d’Italia, dove il lavoro non c’è e se c’è ha spesso a che fare con la ‘ndrangheta. Pensate sia impossibile? Non lo è, e questa storia lo dimostra. E’ la storia di un gruppo di donne e uomini calabresi che hanno dato vita ad una serie di progetti all’avanguardia in una delle zone più depresse del paese, progetti che includono una cooperativa, un incubatore sociale, un Distretto Solidale e uno showroom tessile. Per farci raccontare questa esperienza abbiamo intervistato Gianluca Palmara, esperto di progettazione sociale e direttore dello Skywalker Social LAB.
Ti va di raccontarci nello specifico dell’esperienza della cooperativa Aracne?
La storia della cooperativa sociale Aracne, socia del consorzio Goel, comincia da alcune donne calabresi che hanno raccolto e decodificato le antiche nenie attraverso le quali le mastre artigiane custodivano e tramandavano da secoli i “segreti” del telaio e della tessitura, con la volontà di salvaguardare l’antica tradizione artigiana della tessitura al telaio a mano, valorizzarla, tenerla viva e tramandarla alle nuove generazioni. Nasce nel 2002 mettendo in piedi a Gerace, considerato uno dei borghi più belli d’Italia, un laboratorio artigianale di tessitura all’interno del quale sono impiegate giovani donne con disabilità psichica di grado lieve.
Oggi la cooperativa aderisce al Distretto Tessile Solidale e realizza capi in ginestra naturale lavorata al telaio antico in legno della tradizione calabrese. Recentemente ha lanciato anche una linea di “agriabiti” in ginestra calabrese e di abiti da sposa artigianali in lino e seta che hanno rappresentato la Calabria ad EXPO 2012. Oggi, a distanza di tredici anni dall’inizio di quella folle avventura di un pugno di donne della Locride, possiamo dire che Aracne ha contribuito al recupero di un Know How artigianale a rischio d’estinzione.
E invece, cos’è l’Associazione Distretto Solidale?
È l’associazione di cui fanno parte produttori, tessitrici, artigiani del tessile e non, che incarna il Distretto Tessile Solidale, grazie all’unione di tanti piccoli laboratori in un’ottica di filiera. Se da un lato abbiamo la volontà di far conoscere le nostre tradizioni artigianali tessili, ci siamo posti il problema di trovare un format produttivo che tutelasse la qualità della produzione e il rispetto delle persone. Abbiamo iniziato costituendo l’associazione Distretto Solidale che ha il compito di coordinare la filiera e la produzione rispettando i principi etici e solidali che ci siamo dati.
L’associazione fa ricerca&sviluppo in campo tessile in collaborazione con lo Skyworker Social LAB, il primo incubatore sociale calabrese, che dirigo, ma porta avanti anche un importante mission culturale: diffondere la sostenibilità sociale ed ecologica dei prodotti tessili. Infine, si occupa della formazione di giovani donne, stringe accordi con gli istituti tecnici per l’alternanza scuola-lavoro, organizza eventi e mostre. Ma la vera sfida si svolge sul terreno culturale.
Riteniamo che non ci sia abbastanza consapevolezza sullo sfruttamento della manodopera da parte di molti grandi marchi, né sugli effetti nocivi per l’ecosistema di un certo modo di produrre abbigliamento in molte aree del mondo. Se è vero che il consumo consapevole e le alternative sono il mezzo più pacifico e veloce per influire sulle scelte delle multinazionali, è altrettanto vero che non si può considerare chi acquista soltanto un consumatore. Questa barriera può essere superata andando oltre l’acquisto, diventando una Comunità di produttori e consumatori che sperimenta forme di economia civica. L’associazione è il primo passo per andare in questa direzione.
Tutto ciò è sfogiato anche in uno showroom tessile tradizionale nella Locride: ci racconti come è nato e di cosa si tratta?
Lo showroom è un aspetto di questo progetto più ampio di recupero e valorizzazione del know how tessile artigianale della Locride all’interno di uno spazio condiviso da associazioni, imprese e tessitrici. E’ stato realizzato con fondi 8×1000 grazie ad un progetto presentato dalla Caritas di Locri-Gerace e coordinato dallo Skyworker Social LAB. La Locride è piena di tesori nascosti, soprattutto nel settore dell’artigianato di qualità: piccoli laboratori, storie di cooperazione e di lotta all’esclusione nati in piccoli borghi da percorsi etici e solidali. Abbiamo messo intorno ad un tavolo alcune di queste esperienze allo scopo di realizzare un Distretto Tessile Solidale che valorizzasse la produzione artigianale di tessuti in ginestra, mettendo l’accento sull’abilità delle nostre ricamatrici e tessitrici.
Quali esperienze vi sono all’interno?
Appena partiti ci siamo accorti che c’era una domanda di spazi di incontro, un bisogno di visibilità, è così abbiamo reso lo showroom una “Casa dell’Artigianato” ospitando anche altre esperienza in linea con i nostri valori, come prodotti di cosmesi naturale, olio da terreni confiscati e marmellate. L’idea di SKYWORKER è stata di affiancare lo showroom con il primo spazio di coworking per artigiani, associazioni e imprese. In 200mq lavoravano 3 associazioni e 9 imprese locali: una novità per la Locride! Lo showroom è stato animato da diverse iniziative: una Sartoria Sociale che ha impiegato una donna in condizioni di disagio; due giornate di formazione per gli alunni dell’IPSIA – Settore Moda di Siderno all’interno di un percorso di Alternanza scuola-lavoro: una sul funzionamento di un telaio antico in legno della tradizione calabrese ed una sulle potenzialità della stampa 3D in campo tessile. Sono stati realizzati percorsi di “messa alla prova” di minori affidati dal Tribunale dei minori di Reggio Calabria ad una associazione partner.
Il progetto ha finanziato un tirocinio per formare una giovane tessitrice. Le feste Natalizie sono state un banco di prova per “unire le forze” proponendo sia un mercatino di artigianato locale sia la realizzazione di cesti con prodotti della “Calabria Solidale”, abbinando prodotti tipici e tessile solidale. Infine, lo showroom è stato anche utilizzato per esporre una collezione della nostra stilista. Rivendichiamo con orgoglio il fatto di aver condiviso i nostri spazi con tutti coloro che avevano idee in linea con i valori dell’iniziativa. Alla chiusura del progetto avevamo due strade: chiudere l’esperienza o andare avanti. Abbiamo scelto di andare avanti e confrontarci col mercato, forti della rete costruita nel tempo. Abbiamo già richieste da alcuni negozi di abbigliamento, ma il fulcro di Opusignum resta la filiera del Distretto Solidale: vogliamo creare un ponte con iniziative simili nel Nord Italia e far conoscere a tutti gli amanti dell’artigianalità in campo tessile le eccellenze calabresi.
Come mai il brand si chiama Opusignum?
La scelta di creare un brand nasce dalla sua capacità di coniugare la presenza sul mercato con i valori del progetto. Opusignum nasce nell’alveo dell’economia civile e civica come marchio di slow economy, perché le nostre produzioni hanno il tempo tipico dell’artigianato e sono alternative alla produzione di massa, parcellizzata e standardizzata della moda industriale. Opusignum si rivolge al consumatore consapevole e consapevole, che sa che ogni acquisto è un atto volontario di modifica di aspetti deleteri della realtà, del commercio e dell’economia, come ad esempio lo sfruttamento della manodopera.
Anche il tessile della Locride non ha retto alla globalizzazione e delocalizzazione degli anni ’90 e decine di imprese hanno chiuso. Noi riteniamo che le competenze, cioè il capitale sociale di un territorio, debbano e possano trasformarsi in capitale economico prendendo consapevolezza del proprio valore e coniugandolo con i valori che guidano la produzione: per questo il payoff di Opusignum è “valore e valori”. La Diocesi di Locri-Gerace ha deciso di supportare il progetto, per questo il nome Opusignum, dal latino “opus-signum”, ovvero opera-simbolo, è un omaggio alla Caritas diocesana, la quale ha scelto di agire attraverso un progetto esemplare di sviluppo locale etico e solidale.
Quali valori vuole rappresentare e preservare questa esperienza?
Partendo dai presupposti del progetto, lo Skyworker Social LAB intende valorizzare lo strumento dell’inclusione sociale e del riscatto delle donne e del territorio comunicando, attraverso il brand Opusignum, il percorso durato più di un anno, che ha portato al Distretto Tessile Solidale. Se si cerca uno sviluppo locale partecipato e solidale, non si possono non usare strumenti adatti allo scopo; non per niente il progetto è nato dalle riflessioni del Centro di Ascolto della Caritas di Locri, che ha il polso del disagio di tante piccole imprese e della disoccupazione femminile. Siamo partiti da lì. Uno degli aspetti più interessanti di Opusignum, infatti, è la sua inclusività ed eterogeneità, che ne fa un “community brand“.
Oltre che per l’utilizzo del telaio antico in legno e del ricamo a mano, Opusignum si contraddistingue per l’utilizzo di filati di qualità di ginestra, lino e seta cruelty free, tutti reperiti localmente. Un ultimo importante aspetto è la sostenibilità: ci rifacciamo all’enciclica “Laudato sì” ed all’ecologia sociale di Murray Bookchin. Intendiamo la sostenibilità come frutto di uno stretto connubio fra comunità-ambiente-economia. Perciò abbiamo una linea di capi e accessori in stoffa rigenerata e riciclata, proveniente dalla raccolta di indumenti che altrimenti andrebbero in discarica. Così risparmiamo anche il processo di tintura, che è uno dei più inquinanti per il suolo ed i corpi idrici. Altri aspetti ecologici sono l’etichetta in cartoncino riciclato e la provenienza locale delle materie prime. Opusignum ha raccolto la sfida di trasformare un sapere antico, dimenticato e sostituito dalle macchine tessili e dai tessuti acrilico, in opportunità di sviluppo e di rinascita per il territorio. Tutto ciò è stato possibile mettendo al centro del progetto aziendale la persona, con le sue competenze, e il territorio, con la sua cultura ed identità.
Quali sono le difficoltà di fare impresa nella Locride?
Dobbiamo purtroppo dare un quadro fosco: la Locride è uno dei territori più poveri d’Europa, con tantissimi paesini e borghi soggetti a invecchiamento della popolazione, spopolamento ed emigrazione giovanile. E’ un territorio dispersivo e mal collegato della provincia di Reggio Calabria, con un tasso di disoccupazione tra i più alti d’Europa e un tasso di imprenditorialità, invece, tra i più bassi. Vi abita però gente tenace, forgiata nei secoli da un susseguirsi di dominazioni e difficoltà: Saraceni, Arabi, Normanni, Bizantini. Su tutti, però regnano i nostri geni Magnogreci, eredità delle colonie che i Greci fondarono nel V° secolo a.c. Per questo ho parlato prima del bisogno di creare consapevolezza: ritengo che abbiamo i mezzi culturali e sociali per far ripartire questo territorio. Caterina, la nostra stilista, ha studiato moda a Milano, ma è tornata a Platì, un paese oggi sotto i riflettori perché nessuna lista si è presentata alle elezioni comunali.
Opusignum racchiude un messaggio per i cittadini calabresi: diciamo loro “unitevi a noi”! Personalmente, ho scelto di tornare in Calabria dopo molti anni, lasciando un buon lavoro. Ho anche recentemente rifiutato un contratto a tempo indeterminato! L’ho fatto perché credo nell’impresa sociale come soluzione ai problemi dei territori ed alle storture del mercato globale. La Locride è un coacervo di problemi: riuscire qui significa dimostrare ai giovani del Sud che esiste un modo di creare ricchezza e lavoro preservando le tradizioni. Ciò non significa nascondere le difficoltà: Opusignum, infatti,è un percorso che si snoda tra l’incudine della ndrangheta e il martello dell’economia globale. Attraverso l’impresa sociale vogliamo recidere il controllo asfissiante dell’economia da parte della ndrangheta sul nostro territorio; contemporaneamente, ci battiamo per un’economia globale più equa, rispettosa delle persone e dei territori. Agire sul terreno dei diritti, dell’economia civica e della solidarietà, a mio avviso, è il modo migliore sia per battere la ‘ndrangheta, che per “umanizzare” l’economia.
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