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“Profondamente convinti che il consumatore sia un elettore e che con i propri acquisti possa influire sulle politiche del mercato vogliamo fornire ai consumatori uno strumento per informarsi e poter conoscere le realtà virtuose del mondo della moda”. Ecco la seconda parte della nostra intervista a Cecilia Frajoli Gualdi, co-ideatrice insieme a Fabio Pulsinelli di Dress The Change.
Ci sono delle differenza nella moda etica per uomo/donna?
No, non ci sono differenze. Solamente l’offerta per l’uomo è più scarsa di quella per la donna. Mentre sono numerosi ed in continua crescita piccoli brand che realizzando indumenti realizzati in modo ambientalmente e socialmente sostenibile per le donne, per gli uomini i brand sono pochi. Principalmente grandi brand di sportswear internazionali.
Pensiamo al cibo, ai viaggi, all’abbigliamento. Sebbene la strada sia lunga negli ultimi anni si assiste ad una maggiore attenzione da parte delle persone all’etica e alla sostenibilità. A cosa pensate sia dovuta?
Sicuramente l’aumento delle fonti di informazione ha contribuito a rendere noti i profili delle industrie di produzione che fino a diversi anni fa erano soltanto a disposizione di pochi interessati. Scoprire come vengono effettivamente prodotti gli alimenti, i nostri abiti, cosa si nasconde dietro ad un viaggio organizzato, contribuisce notevolmente a rendere anche il consumatore più pigro maggiormente informato sul mondo che lo circonda.
Dalla biografia di Cecilia: “ho seguito molti corsi che mi hanno aperto gli occhi ancora di più sulle principali criticità della filiera dell’industria della moda”. Quali sono queste criticità?
Posto che l’industria della moda è la seconda industria più inquinante al mondo, possiamo sinteticamente affermare come siano 8 le principali criticità prodotte dall’industria della moda. Di seguito le elenchiamo in modo sintetico per non annoiarvi troppo!
Cambiamenti climatici. È previsto che le emissioni di CO2 prodotte dall’industria della moda aumentino del 60% nei prossimi 12 anni.
Sfruttamento delle risorse idriche. L’acqua è necessaria per l’industria della moda, dalla piantagione del cotone ai trattamenti dei materiali fino ai lavaggi a casa. Servono 700 litri d’acqua per realizzare una sola T-shirt: il fabbisogno di acqua per tre anni di una persona.
Inquinamento da pesticidi. L’industria della moda è uno dei maggiori utilizzatori di prodotti chimici e a sua volta è responsabile per gli alti livelli di inquinamento nell’acqua e nell’aria.
Sfruttamento del suolo. La moda è direttamente collegata allo sfruttamento della terra e al processo di perdita della biodiversità attraverso lo sfruttamento del suolo.
Diminuzione delle risorse naturali. La fabbricazione ed il trasporto dei capi di abbigliamento è quasi completamente dipendente dai combustibili fossili.
Consumismo e sprechi. In occidente compriamo abiti per il 400% di più che vent’anni fa. In questi 20 anni i vestisti sono diventati più economici e di minore qualità, così che le persone comprano sempre più abiti e li conservano per periodi brevissimi.
Schiavitù moderna. La schiavitù moderna esiste ancora oggi nelle forme del lavoro forzato, della tratta di esseri umani e dello sfruttamento minorile. La mancanza di trasparenza nella catena di fornitura nei grandi brand non permette di garantire l’assenza di sfruttamento della schiavitù nelle catena di produzione dei più importanti marchi di moda.
Benessere umano. L’attuale ritmo di produzione dell’industria della moda compromette il benessere di lavoratori, delle comunità, degli animali e dell’ambiente.
Affermi di essere sempre più convinta che “la moda sia una vera e propria questione sociale”: cosa significa?
Lo sfruttamento umano ed ambientale che risiede dietro alla maggior parte dei nostri capi di abbigliamento è un problema sul quale non si può sorvolare con tanta serenità e noncuranza. Dobbiamo iniziare ad essere più consapevoli del fatto che se una maglietta costa 3 euro, ci sarà un perché, che non è la benevolenza del venditore. Dietro ad una maglietta a 3 euro, c’è una persona che guadagna meno di x dollari al mese per lavorare 10 ore al giorno in condizioni ambientali inadeguate, senza garanzie di sicurezza sul lavoro, senza la possibilità di riunirsi in associazioni sindacali. Dietro alla stessa maglietta ci sono coloranti tossici per la pelle e l’ambiente che vengono dispersi nelle falde acquifere senza alcun controllo ed alcun tipo di filtro, inquinando l’acqua e la terra, intossicando gli animali acquatici e gli animali che si abbeverano da quelle stesse acque.
Che cosa vuol dire per voi “votare col portafoglio”?
La sempre maggiore consapevolezza dei cittadini che le loro scelte di consumo e risparmio sono la principale urna elettorale che hanno a disposizione. Il voto con il portafoglio consiste nello scegliere di premiare chi realizza capi di abbigliamento rispettando i diritti dei lavoratori e l’ambiente, sostenendo, spesso, costi più elevati che non gli permettono di essere competitivo con i grandi brand che, invece, se ne infischiano e pensano unicamente al profitto ad ogni costo.
Con i nostri acquisti possiamo influenzare i trend del mercato, se ognuno di noi iniziasse a comprare meno abiti, scegliendoli con più cura, facendo pressione ai grandi brand affinché modifichino le loro politiche aziendali (come suggerisce il movimento internazionale Fashion revolution con il semplice hastag #whomademyclothes), potremo nel tempo modificare queste politiche di mercato che lucrano sulle vite umane e sull’ambiente.
Leggi la prima parte dell’intervista
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