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Ancora una volta rischiamo di cadere nel principale errore dell’agricoltura industriale: razionalizzare la natura, cercare di comprenderla solo nei rapporti di causa-effetto percepiti dalla mente umana. Il batterio xylella è il nuovo nemico da combattere. Non si è riusciti ad arrivare ad una conclusione più moderna che l’uso dei pesticidi, una soluzione che magari partisse da una visione olistica dell’agricoltura.
Nei miei articoli precedenti ho scritto che spesso l’invasione da parte di un parassita di una pianta è solo un sintomo di un ambiente agricolo poco sano. Bisogna interpretare l’ambiente in cui vivono gli ulivi considerando la fitta rete di interazione fra piante, insetti, microrganismi, suolo e tutto il resto. Quattro trattamenti di pesticidi all’anno non sono una soluzione: continueranno piuttosto a rendere l’ambiente insalubre. Anche ammettendo che il problema della xylella momentaneamente si risolva.
Spesso dico che non bisogna forzare una coltura. Se le piante si ammalano nonostante buone pratiche forse non è il loro posto, e di conseguenza bisogna fare scelte colturali che rispettino la vocazione del territorio.
Con gli ulivi centenari della Puglia non mi sento di fare questo tipo di discorso che di solito applico per pomodori e fagiolini. Sono però convinto che non bisogna forzare una coltura a discapito del resto dell’ambiente. D’altra parte, quelle piante sono lì grazie a quell’ecosistema. Grazie alle api, ai lombrichi, ai funghi e tutti i microrganismi nel suolo. Ecco perché credo che tutti i tentativi che è giusto fare per proteggere quelle piante stupende debbano rispettare l’ambiente e debbano essere biologici.
Con l’uso di pesticidi e diserbi cosa otterremo? Un ambiente meno ricco, più suscettibile ad altri imprevisti e avversità, oltre ad una sputacchina resistente agli insetticidi, perché ormai sappiamo come si ripercuotono a lungo termine certe scelte agricole.
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