Minimalism: perché possedere soldi e oggetti non rende felici
Seguici su:
Joshua era il più giovane dirigente della multinazionale per cui lavorava. Era destinato al successo, ai soldi e alla carriera. Ryan si concentrava sul lavoro e sul guadagno per compensare un’infanzia di povertà. Entrambi davano valore solo agli oggetti e al potere sociale che essi conferiscono a chi li possiede.
Poi qualcosa è cambiato. Nel giro di pochi mesi, la vita di Josh ha cominciato ad andare a rotoli: sua madre è morta, sua moglie l’ha lasciato e lui è rimasto solamente con le sue cose, le tante cose che aveva accumulato e che, venuti meno gli affetti a cui sino a quel momento aveva dato poca importanza, hanno cominciato a sembrargli inutili.
«La mia lampadina – racconta invece Ryan – si è accesa mentre spiegavo al mio team di lavoro come fare a vendere un cellulare a dei bambini di cinque anni. Mi sono chiesto: “Ma cosa sto facendo?”. Mi interessava solo avere una promozione, una casa migliore, un’auto migliore, una paga più alta per poter spendere più soldi, ma per fare tutto ciò dovevo vendere cellulari a bambini di cinque anni».
Dopo queste folgorazioni la loro vita ha avuto una trasformazione. Sono diventati minimalisti. Non pezzenti – entrambi avevano lauti stipendi –, non retrogradi, non taccagni. Semplicemente hanno cominciato a svuotare gli oggetti del valore che veniva loro attribuito e hanno capito che il mero possesso di cose nella vita non è poi così importante. Compiuto questo passo, separarsi dal superfluo diventa quasi una necessità.
Nel documentario che hanno girato, Minimalism – A documentary about the importan things, raccontano la loro scelta e quella analoga di decine di persone, la maggior parte delle quali si trovava all’apice di una brillante carriera, aveva avuto una promozione o un grande successo lavorativo, quando si è resa conto che il denaro e il possesso di cose non la rendeva felice.
C’è addirittura chi aveva problemi di salute, risolti semplicemente rallentando, decrescendo, prendendosi più tempo, riconnettendosi con la Natura, viaggiando. C’è anche chi ha cominciato a sentirsi non tanto realizzato grazie alla propria carriera, quanto piuttosto intrappolato in una vita che in fondo non voleva e che lo stava trascinando sempre più a fondo, senza rendersene conto, costringendolo a rinunciare a tutti i suoi sogni da bambino, i più veri e innocenti.
Dunque il minimalismo è una sorta di “detox per ricconi annoiati”? Assolutamente no! Durante un incontro a New Orleans, Ryan e Josh parlano con alcuni poveri veri, persone che non hanno mai conosciuto il successo economico né tanto meno il possesso di molti oggetti. E proprio loro si rivelano i sostenitori più convinti di questa scelta di vita.
D’altra parte, durante la narrazione viene citato uno studio che sostiene che fino a una soglia di 70000 dollari l’anno (poco meno di 60000 euro), i soldi possano portare un benessere materiale maggiore, che a sua volta migliora il benessere psicologico. Tuttavia, superata quella soglia, la felicità smette di aumentare in maniera proporzionale alla ricchezza e, anzi, comincia a diminuire.
A questo proposito, Jim Carrey ha detto una volta: «Vorrei che tutti diventassero ricchi e famosi, così capirebbero che questa non è la risposta». Dunque, garantita una soglia minima per vivere dignitosamente, tutto ciò che viene aggiunto è superfluo e distoglie l’attenzione dalle cose realmente importanti. È questa l’essenza del minimalismo.
Alle considerazioni di carattere intimo e personale, si accompagna l’altrettanto grave problema dell’impatto sociale e ambientale del consumismo. La finitezza delle risorse fa sì che per ogni persona che possiede più di quanto gli serva per vivere ce ne sia un’altra che possiede troppo poco. Il mondo si divide così in due: gli sfruttatori (pochi, ricchi e potenti) e gli sfruttati. “Sfruttati” non vuole dire necessariamente vessati, sottopagati o schiavizzati: la massa è il cuore del sistema, perché attraverso i bisogni – nella maggior parte dei casi indotti e non reali – sceglie cosa e quanto acquistare, alimentando così la macchina consumista.
Un esempio? La moda! Fino ad alcuni anni fa, ai tempi delle nostre mamme, esistevano due stagioni – quella calda e quella fredda – o al massimo quattro. Oggi, come spiega Shannon Whitehead, esistono 52 stagioni in un anno: «Vogliono farti sentire fuori moda dopo una settimana per costringerti a comprare qualcosa di nuovo». Addirittura, i capi delle vecchie collezioni vengono fatti a pezzi e buttati per evitare che a qualcuno venga la malsana idea di indossarli, non comprando così quelli appena usciti.
La chiave del messaggio forse è in una frase di Josh: «Le cose che ho intorno devo giustificarle a me stesso e a nessun altro». Non sente più il dovere sociale di allinearsi alle mode, circondarsi di status symbol per mostrarsi adeguato, possedere oggetti come fanno tutti gli altri. È un piccolo-grande salto che deve fare chiunque voglia liberarsi del superfluo. Un salto interiore, mentale. Il primo passo per costruire un mondo migliore e più consapevole.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento