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Bolzano, Trentino Alto Adige - Sempre più zone d’Italia sono preda di un modello agricolo insostenibile, fondato sull’abuso di prodotti chimici e sulle monocolture intensive. Da tempo però i cittadini di queste aree hanno detto basta. Domenica 13 maggio sarà una giornata dedicata a una serie di marce per dire no ai pesticidi.
Oltre a Treviso e Verona, si scenderà in strada anche a Caldaro, vicino a Bolzano. All’iniziativa aderiscono diverse associazioni e realtà del territorio, unite nel chiedere un’agricoltura sostenibile e rispettosa della salute della Terra e dei suoi abitanti. Abbiamo parlato della situazione con il coordinatore Luigi Mariotti e con Anna Rizzoli, di Agricoltura Trentino.
Il Trentino Alto Adige viene considerata spesso una regione all’avanguardia in campo ambientale, come mai sul fronte dell’agricoltura intensiva e dei pesticidi vanta questo triste primato?
Nei decenni scorsi sia l’Alto Adige (nel fondovalle della valle dell’Adige), che il Trentino (soprattutto in Val di Non), hanno convertito gran parte dei terreni agricoli alla coltivazione delle mele. Una coltura più redditizia rispetto ad altre, ma che richiede un elevato impiego di trattamenti con sostanze chimiche. Nei frutteti del Trentino Alto Adige su ogni ettaro di terreno vengono piantate da 3.000 a 4.000 piccole piante di melo (una ogni 50-70 cm). Piante molto produttive, ma anche molto vulnerabili agli attacchi dei parassiti. Per questo, necessitano di continui trattamenti con prodotti antiparassitari, detti anche fitofarmaci o pesticidi. Le sostanze maggiormente utilizzate sono fungicidi, insetticidi, acaricidi, erbicidi, e fitoregolatori. Si tratta, in molti casi, di sostanze pericolose per l’ambiente e per la salute umana.
Da fine anni ’80 il Trentino Alto Adige – Südtirol è stato all’avanguardia in campo agricolo in quanto Trento e Bolzano sono state le prime province a dotarsi di una regolamentazione con il metodo della lotta integrata, che ha dato grosse soddisfazioni anche economiche. Dal 1° gennaio 2014 questo metodo è diventato obbligatorio in tutta Europa e quindi non siamo più all’avanguardia, inoltre si è dimostrato negli anni obsoleto e poco efficace a garantire la qualità ambientale e della salute pubblica. Ora sono maturi i tempi per un nuovo salto di qualità e tornare nuovamente leader in Europa con una agricoltura di qualità quale il metodo biologico.
Sarebbe plausibile una giustificazione che faccia leva sull’occupazione e sugli introiti per l’economia locale o esistono forme di coltivazione più redditizie e al tempo stesso più sostenibili?
In regione la coltivazione del melo crea molti posti di lavoro, non solo tra gli agricoltori, ma anche nel settore della conservazione, trasporto e vendita delle mele. Considerato l’enorme utilizzo di sostanze chimiche, dal settore frutticolo guadagnano anche i produttori di agrofarmaci, grandi multinazionali come Bayer, Monsanto, Syngenta. In alcune zone della regione la coltivazione alternativa è quella della vite. Un reddito maggiore per gli agricoltori deriva dalle produzioni biologiche, al momento ancora con una percentuale molto bassa. Rispetto alla produzione integrata (circa 95% della produzione) la produzione biologica richiede maggiore sensibilità ambientale e maggiore lavoro.
Un recente ed interessante studio della Fondazione Mach di San Michele all’Adige che ha comparato metodo di lotta integrata, quello biologico e quello biodinamico, ha dimostrato che il metodo biodinamico, non utilizzando pesticidi di sintesi, richiede più interventi manuali per circa 126 ore ad ettaro all’anno in più. Quindi ipotizzando di convertire i 15.000 ettari di vite della regione dal metodo integrato a quello biodinamico si potrebbero creare oltre 1.000 posti di lavoro a tempo pieno. Oltre che un vino di alta qualità e di basso impatto ambientale. I maggiori costi della manodopera sarebbero compensati dai risparmi sui trattamenti con pesticidi, che al momento sono una voce di costo importante che va a favore dell’industria chimica.
Aggiungo che, in base a dati del 2016, su un totale di 8088 imprenditori agricoli ufficiali in Trentino, 4408 (il 54% circa) svolgevano questa attività a tempo pieno. Poco meno della metà, quindi, coltivano per arrotondare il reddito e non hanno di conseguenza nell’agricoltura la loro fonte primaria di sostentamento. Inoltre Il Trentino Alto Adige è terra di turismo. È cruciale pensare a una filiera agricola organizzata razionalmente sulle nostre peculiarità e che quindi si armonizzi con l’offerta ricettiva, puntando sempre più sulla qualità e sulla specificità della nostra regione (alcune parole chiave: slow food e quindi slow region, identità e vocazionalità del territorio, paesaggio alpino come patrimonio dal valore intrinseco inestimabile).
Chi guadagna da questo modello agricolo?
Da questo modello agricolo guadagnano gli agricoltori, ma anche chi opera nella conservazione, vendita, trasporto, e trasformazione della frutta. C’è poi un altro indotto: i produttori di sostanze chimiche (agrofarmaci, diserbanti e concimi chimici) e dei materiali necessari alla coltivazione delle mele (pali in cemento per il sostegno delle piante, retiantigrandine e altre materiali).
In una valutazione dei guadagni, non può mancare la controparte, ovvero la valutazione dei costi. Ci riferiamo nello specifico ai cosiddetti “costi esterni”, riguardanti le ricadute collettive sulla qualità della vita (a partire dalla bella stagione i residenti in aree sottoposte a frequenti trattamenti vivono una pesante limitazione della loro libertà di fruizione del territorio) e sulla salute. Ricordiamo che residui di pesticidi sono stati rinvenuti sul ghiacciaio del Presena, nelle fatte dell’orso, in alveari selvatici e che, secondo il Notiziario Tecnico della Fondazione Edmund Mach del 19 marzo 2018 sono 29 su 412 i corpi idrici in Trentino (laghi e tratti di corsi d’acqua significativi e loro affluenti) in cui è stata accertata la presenza di pesticidi. Senza contare che non sono note le conseguenze della compresenza di più residui, i cui effetti sinergici sfuggono ancora alle nostre capacità di comprensione e analisi.
Il principio di precauzione, considerata la complessità e portata del tema, dovrebbe valere come principio prioritario di orientamento delle politiche agricole. Alexander Langer afferma nel settembre 1994: “La valutazione di impatto ambientale – nel senso più comprensivo di una reale valutazione delle conseguenze ecologiche, ma anche sociali e culturali a breve e lungo termine di ogni progetto – dovrà diventare il nocciolo di una nuova sapienza sociale, e va quindi ancorata negli ordinamenti”. Diversamente l’intervento della legge avviene a posteriori, senza possibilità di riparare realmente un danno che ormai è già avvenuto. Basti pensare alla notizia di pochissimi giorni fa: a Udine 38 agricoltori sono stati indagati per disastro ambientale; viene contestata la violazione dell’articolo 452bis del Codice Penale (Inquinamento Ambientale), in seguito allo sterminio di centinaia di migliaia di api causato dall’impiego di pesticidi neonicotinoidi.
Sono solo alcuni dati che fanno riflettere sull’insufficienza attuale delle norme che prevedono un utilizzo razionale e limitato dei pesticidi. Ci sembrano gravemente insufficienti i controlli terzi sulle sostanze immesse sul mercato, nonché l’applicazione di misure di razionalizzazione e controllo in fase di utilizzo. Sono da valutare le ricadute anche sul paesaggio in seguito alla diffusione di monocolture estese (con un utilizzo massiccio di cemento e acciaio e una carenza di macchie di vegetazione a interromperne la monotonia), quindi sulla biodiversità e sul turismo.
Qual è la posizione sul tema delle persone che abitano nelle zone contaminate?
Chi vive di agricoltura accetta questo modello, senza considerare troppo quelle che sono le criticità: forte impatto su aria, acqua e suolo, biodiversità, monotonia e degrado del paesaggio agricolo e rischi per la salute umana. C’è poi un’altra parte della popolazione, preoccupata per gli effetti negativi di questo modello produttivo, che chiede un cambiamento.
Le istituzioni locali non fanno nulla?
In Trentino Alto Adige le istituzioni sostengono economicamente (con contributi pubblici) questo modello di agricoltura. Anche le normative provinciali sulla distribuzione dei pesticidi, tutelano poco la salute umana e l’ambiente. Scarsi o quasi nulli i controlli sul corretto operato degli agricoltori e quasi nulla l’informazione alle persone che potrebbero venire a contatto con i pesticidi impiegati in agricoltura: persone che vivono o lavorano nelle vicinanze dei frutteti o che frequentano le aree agricole per attività ricreative, su strade di campagna e sentieri.
Perché sarà importante essere presenti alla marcia?
Vorremmo dare un segnale al mondo agricolo ed alla pubblica amministrazione. Tante associazioni e persone con la richiesta di cambiamento verso un’agricoltura più sostenibile e più rispettosa. Vorremmo promuovere un modello di agricoltura che persegue non solo il reddito delle aziende produttrici, ma anche la tutela della salute degli operatori agricoli e dei consumatori, la qualità del prodotto, il mantenimento della fertilità del suolo e delle risorse ambientali. Un’agricoltura che sia garante della conservazione della biodiversità e che non comporti fenomeni di inquinamento dell’ambiente e degrado del paesaggio. In pratica, un tipo di agricoltura che produca prodotti di qualità sani e sicuri, salvaguardando la salute delle persone, gli ecosistemi agrari, la biodiversità e il paesaggio anche per le future generazioni.
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