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Cagliari - Avete presente “Food Coop”, il documentario di Tom Boothe che parla di The Park Slope, il primo supermercato collaborativo del mondo, nato a New York negli anni ’70 e che oggi conta più di 17mila soci attivi? Beh, vedetelo e forse verrà anche a voi la voglia di fare, sul vostro territorio, quello che sta facendo Tiziana insieme agli altri membri di Sardegna che Cambia.
Tiziana, come nasce l’idea di una Food Coop Cagliari?
Nel dicembre 2017, durante una delle periodiche riunioni degli Agenti del Cambiamento sardi, decidiamo di organizzare una proiezione del documentario Food Coop. Prima ancora di vederlo, raccogliamo informazioni sul progetto Camilla di Bologna, e cominciano a balenarci le prime idee. E così, nel marzo 2018, al cinema Greenwich di Cagliari, chiediamo al pubblico presente alla proiezione del film se a qualcuno andava di impegnarsi per realizzare qualcosa di simile in Sardegna.
Risultato?
Una cinquantina di persone fra il pubblico ha aderito entusiasta. E così abbiamo formato un gruppo di promotori.
Non siete gli unici a essere stati ispirati dal film.
Da New York è partito un vero e proprio contagio che è arrivato anche in Europa. Tra i progetti più significativi ci sono La Louve a Parigi, nato proprio su iniziative del regista del documentario, e Bees Coop a Bruxelles. In Italia, oltre a Camilla a Bologna, di imminente apertura, sta nascendo anche Oltrefood Coop a Parma.
Ci spieghi il progetto in breve?
Vogliamo creare una comunità locale di consumo critico. L’obiettivo principale è quello di costituire una cooperativa i cui soci, dietro sottoscrizione di una quota associativa e dell’offerta di qualche ora di volontariato al mese, possano approvvigionarsi con prodotti di qualità, da loro stessi selezionati, provenienti da filiere etiche e sostenibili, a prezzi contenuti.
Come si può distribuire cibo in gran parte biologico e a km zero e tenere anche bassi i prezzi?
Da un lato eliminando l’intermediazione della Grande Distribuzione Organizzata, ossia rapportandosi direttamente con i produttori, che quindi vengono selezionati, insieme ai prodotti da vendere, dagli stessi soci della cooperativa.
Un po’ come accade per i GAS-Gruppi di Acquisto Solidali?
Sì, ma con una novità. Dall’altro lato, infatti, si aprono supermercati “collaborativi”, nei quali i clienti sono anche proprietari e lavoratori. Con questa formula, nella quale i soci della cooperativa lavorano per 3 ore al mese nel punto vendita, i costi sono abbattuti fino al 40%. Un risparmio che viene diviso tra il prezzo di vendita al consumatore e la remunerazione del produttore. Quest’ultimo aspetto è di fondamentale importanza: quando la remunerazione del lavoro è equa, il produttore è incentivato a insistere col biologico, l’agricoltura contadina e le lavorazioni tradizionali, e ad evitare di dover ricorrere allo sfruttamento della GDO pur di dare uno sbocco alla propria produzione. È come dare valore, col nostro lavoro, anche al lavoro degli altri membri della filiera.
Una bella soddisfazione.
E ti dirò di più. Non è solo una questione di prezzi convenienti, di giusta remunerazione del lavoro dei produttori, di valorizzazione delle produzioni locali. La soddisfazione più grande è psicologica. È il senso di responsabilità che ciascuno sviluppa nei confronti della propria comunità, la sensazione di lavorare attivamente per la transizione verso una società più equa, sostenibile e solidale. Non è un caso che il focus gestionale del progetto riguarderà le scelte di consumo responsabile e la sperimentazione di modelli di autogestione, di cooperazione e solidarietà tra le persone, di attenzione all’ambiente e di valorizzazione del territorio.
Mi pare un’esperienza altamente formativa per coloro che vi partecipano.
Assolutamente sì. Non a caso tra gli obiettivi complementari c’è anche quello di fornire strumenti di riflessione sulla società contemporanea. Quando apri un emporio in cui rifiuti di vendere prodotti provenienti dall’agricoltura industriale o che utilizzino sostanze chimiche di sintesi, in cui favorisci l’agricoltura naturale, in cui riduci al minimo gli imballaggi, in cui vieti l’uso di plastica usa e getta, in cui permetti l’utilizzo delle monete complementari non c’è dubbio che stai facendo formazione.
Un vero e proprio centro di promozione cuturale.
E anche di intrattenimento, visto che prevediamo di utilizzare gli spazi anche per attività sociali. Oltre al punto vendita, infatti, il progetto prevede l’attivazione di un repair point, una banca del tempo, uno spazio destinato a laboratori proiezioni, presentazioni, seminari, ecc. Insomma, un vero e proprio centro polifunzionale in grado di offrire un’ampia gamma di servizi e attività complementari con ricadute sia sulla comunità locale che sulla compagine. Sai, il progetto è economicamente sostenibile solo se raggiunge un certo numero di soci.
Parliamo dei soci, appunto.
Per il momento siamo un gruppo di persone, perlopiù Agenti del Cambiamento, provenienti da realtà ed esperienze diverse. I promotori della proiezione di marzo sono state, oltre a Sardegna che Cambia, anche le associazioni Re.Coh, che sta realizzando un co-housing in Sardegna, e Terre Colte, che si occupa di incentivare il riuso delle terre incolte, l’auto produzione alimentare e il consumo critico. Al progetto di Food Coop – il nome è ancora generico ma stiamo per lanciare un concorso di idee interno per individuare quello definitivo – collaborano attivamente 12 persone, e altre seguono i lavori del gruppo tramite una chat dedicata, pronte ad entrare nella squadra appena riusciranno ad organizzarsi con i propri impegni. Il numero è per ora sufficiente per la fase iniziale di studio, ma presto ci saranno da sviluppare altri aspetti del progetto. Per questo abbiamo deciso di aprire il gruppo all’esterno e accogliere chiunque sia interessato a dare il proprio contributo, mettendo a disposizione il proprio tempo e/o le proprie competenze.
Quali sono i prossimi passi? E cosa dovrebbero fare gli interessati?
Abbiamo attivato una pagina facebook dedicata e l’indirizzo email foodcoopcagliari@gmail.com. Ma il 31 maggio, alla Cineteca Sarda, ci sarà un’altra proiezione del documentario Food Coop. Quello sarà il momento ideale per conoscersi e per organizzare le prossime tappe. Fra queste, lo studio di possibili linee di finanziamento pubblico e la ricerca di una sede. Esperti di bandi pubblici, tecnici e figure professionali più classiche, come commercialisti e avvocati, sono benvenuti assieme a tutti coloro che hanno voglia di dare un contributo di qualsiasi genere. Il nostro obiettivo è di essere operativi entro la fine del 2019.
Cosa consigli a chi volesse attivare un Food Coop in altre città?
Di seguire il percorso che hanno fatto tutti i progetti in via di realizzazione. Organizzare una proiezione del film tramite la piattaforma di distribuzione cinematografica indipendente Movieday, raccogliere adesioni e contattare le altre Food Coop già attive o in via di apertura. Noi, per esempio, siamo in contatto con La Louve di Parigi e Camilla di Bologna, che ci stanno dando una grossa mano.
Aggiornateci, mi raccomando. E in bocca al lupo.
Senz’altro. Viva il lupo!
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