Un cohousing per far crescere l'autonomia dei ragazzi autistici
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Lombardia - Si chiamerà “Abitare il blu” – colore simbolo dell’autismo, tinta che evoca sicurezza e serenità – e sarà attivato in un’abitazione privata di proprietà della famiglia Scaruffi situata nel comune di Azzano San Paolo, in provincia di Bergamo. È un innovativo progetto di cohousing destinato a ragazzi affetti da autismo per allenarli a diventare il più possibile autonomi.
L’idea nasce dagli stessi coniugi Scaruffi, i genitori di Gianni, un ragazzo autistico 21enne che da tre anni frequenta il centro diurno della Fondazione Giovanni XXIII, dove i giovani affetti da questo disturbo usufruiscono di interventi educativi personalizzati per ridurre i comportamenti problematici, socializzare e trasformare la quotidianità in opportunità terapeutica.
“Abbiamo maturato la convinzione che è bene approcciarsi per tempo a un percorso di distacco dalla famiglia, anche solo parziale”, ci confida Tina, la madre di Gianni. “Mentre per i giovani normodotati questo distacco avviene in modo naturale e da loro stessi determinato, per i nostri ragazzi – con autonomie limitate e fragilità elevate – questo percorso va programmato, costruito e monitorato con modalità e tempi molto più lunghi”.
Visto che la struttura gestita dalla fondazione non poteva prevedere che rari momenti di residenzialità notturna, i coniugi Scaruffi hanno deciso di attivarsi e, in accordo con la Fondazione Giovanni XXIII, di mettere a disposizione della stessa un appartamento a piano terra di 90 mq con giardino per trasformarlo in una casa protetta.
Potenzialmente il progetto si rivolge a 8-10 soggetti affetti da disturbo dello spettro autistico che possono usufruire della casa in maniera costante e alternata con la presenza costante di operatori. Sono previsti un servizio di “allenamento alle autonomie” che si struttura con la permanenza nella casa e diverse attività giornaliere conviviali: pasti, igiene personale, giochi e svago, relax e passeggiate, arte e sviluppo dei propri talenti. Il percorso che gli operatori attuano con i ragazzi è costantemente integrato dal dialogo con le famiglie per supportarle nelle difficoltà e trovare insieme idee e soluzioni per il benessere dei ragazzi.
“Ci aspettiamo di stimolare delle scoperte attraverso la rottura di schemi consolidati verso una quotidianità più partecipata e meno subita”, continua Tina, “in grado di rendere il naturale passaggio dal ‘durante noi’ al ‘dopo di noi’ (riferito alla presenza delle famiglie originarie, n.d.r.) il meno traumatico possibile per ciascuno dei ragazzi”.
L’ambizione del progetto non è soltanto quella di garantire uno spazio di benessere, ma soprattutto di crescita personale laddove sembrerebbe che tutto nella vita della persona autistica sia già scritto e determinato. “Con il non secondario obiettivo collaterale di arrecare sollievo alle famiglie, che potranno così ritrovare momenti per se stessi e per le relazioni con altri familiari e amici, permettendogli di rigenerarsi dalle fatiche e, di conseguenza, mantenere alta la qualità del rapporto con i loro figli”.
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