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Roma - Ho conosciuto Margherita a Roma, durante un mio corso di formazione. Una massa di capelli ricci e biondi e due occhi nocciola pieni di vita. Margherita è maestra e insegnante Yoga e il suo approccio all’educazione mi ha colpito fin da subito. I racconti di come riusciva a inserire giochi e risate durante le lezioni scolastiche e ad avere sempre un ottimo riscontro con i suoi studenti mi emozionavano ogni volta. Condivido il suo sogno di una scuola diversa, piena di gioia e accogliente, una scuola che si faccia amare dai bambini e che insegni loro a vivere, a sentirsi rispettati e a rispettare.
Margherita raccontaci di te.
Mi chiamo Margherita Meledandri e sono una maestra. La mia passione per il mondo dei più piccoli esiste da sempre, ma la consapevolezza che sarebbe stata per me una vera e propria missione è arrivata più tardi. Ho capito di non avere nulla a che fare con la laurea in Scienze dei Servizi Giuridici che avevo conseguito e mi sono iscritta a Scienze della Formazione Primaria. Contemporaneamente ho cominciato a coniugare questa mia passione con un’altra, quella per lo Yoga, portando questa disciplina all’interno delle scuole.
Cosa ti ha spinto a fare l’insegnante?
Oltre ad un’innata propensione nell’aver cura della crescita dei bambini, determinante è stata la voglia di cambiare l’approccio educativo attualmente dominante nelle scuole e non solo. Ho cominciato ad avvertire come l’educazione rappresenti un’emergenza sociale, un compito fondamentale che coinvolge l’intera comunità e verso il quale occorre porre maggiore attenzione.
Com’è la scuola che sogni?
La scuola che sogno è formata da educatori e da maestri che amano il loro lavoro e che lo vivono più come una missione che come un mestiere. Educatori che abbiano la consapevolezza di ciò che fanno, che mettano in pratica il significato letterale di “educare”, ovvero e “educere”, condurre fuori, far emergere i talenti e le capacità di ciascun individuo.
Per quanto riguarda gli aspetti prettamente metodologici e didattici, la scuola che sogno dovrebbe in primis fondarsi sul paradigma educativo dell’outdoor education, quindi sulla valorizzazione dell’ambiente naturale come luogo e mezzo di apprendimento. Il metodo di insegnamento-apprendimento dovrebbe realmente focalizzarsi sull’“apprendere facendo”, il learning by doing che ormai da tempo le Indicazioni Nazionali affermano. I bambini dovrebbero divertirsi, provare gioia nell’apprendere, perché è solo così che realmente essi potranno memorizzare quanto appreso; del resto il verbo “ricordare” deriva dal latino recordari, che contiene in sé la radice cor-cordis (“cuore”), perché il cuore era ritenuto nell’antichità la sede della memoria. La scuola che sogno dovrebbe, poi, finalmente mettere in atto un’educazione realmente inclusiva che, lungi dall’essere rivolta esclusivamente al bambino disabile o facente parte di una delle infinite categorie di BES, altro non è che un’educazione rivolta a tutti i bambini, ciascuno considerato e valorizzato nelle sue specifiche individualità.
Raccontaci qual è il tipo di approccio che usi con gli studenti e qual è la loro risposta?
Sono una giovane maestra, non ho anni di esperienza scolastica alle spalle, questa però forse è una fortuna perché il mio background culturale si è formato in altre realtà sociali, quali l’Asilo nel Bosco di Ostia Antica, la pratica e l’insegnamento dello Yoga ai bambini e, naturalmente, in ambito universitario, grazie alla lungimiranza di alcuni professori che mi hanno seguita nel percorso di laurea.
La metodologia che cerco di applicare nella scuola è per lo più sperimentale, quotidianamente si scontra con situazioni educative stagnanti, obsolete o anche semplicemente legate ad un concetto di “istruzione” piuttosto che di “educazione”; la stessa organizzazione degli spazi e la segmentazione delle discipline rappresentano per me un limite.
Il mio approccio con i bambini è sostanzialmente orientato a stabilire un clima di serenità e di fiducia, anche attraverso un modo di fare allegro e divertente e, soprattutto, improntato alla dolcezza, non certo basato sull’autoritarismo. Quello che ho notato osservando le maestre più “anziane” è il loro timore di perdere autorevolezza con un atteggiamento meno rigido e professionale. A tutt’oggi le mie esperienze nella scuola, e con i bambini in generale, mi hanno dato conferma di quanto al contrario un approccio più dolce e accogliente induca un senso di rispetto e fiducia profondi nell’educatore, che si concretizza in un rapporto autentico di condivisione e dialogo con i bambini.
Puoi raccontarci qualche aneddoto?
Ce ne sono diversi di aneddoti da raccontare, per lo più dimostrazioni da parte dei bambini di come un approccio diverso possa rendere la scuola un luogo da frequentare con gioia e partecipazione.
Un giorno una bambina, a termine della mia supplenza nella sua classe, è corsa ad abbracciarmi e piangendo mi ha sussurrato che la loro maestra non sorride mai. Un altro episodio è quello del bambino “più bullo” della classe che mi confessa: “Maestra, forse tu sei l’unica che non faremo esaurire!”. Un altro ancora è quando, durante una lezione, ho scoperto che il bambino, considerato tra i “più terribili” della classe, scriveva sul suo quaderno a caratteri cubitali “W LA SCUOLA”.
Questi aneddoti, insieme alle innumerevoli dichiarazioni d’amore che ricevo dai bambini quasi quotidianamente tramite bigliettini e quant’altro, se da una parte mi rendono felice e mi gratificano, dall’altra mi fanno riflettere su come, forse, tanto rigore e tante regole applicate spesso quasi più per inerzia che per altro, abbiano soffocato tutto quell’amore e quella voglia di apprendere che i bambini possiedono naturalmente.
Usi mai tecniche legate allo Yoga della Risata in classe?
Come ho già accennato sono un’insegnante di Yoga, quindi in classe cerco di trasferire il più possibile elementi di questa disciplina. Per quanto riguarda lo Yoga della Risata, piuttosto che tecniche specifiche, cerco di portare in classe lo spirito della risata che mantengo vivo dentro di me. In alcune occasioni ho proposto dei giochi di contatto, per lo più svolti in cerchio, appresi durante i corsi di YR, che i bambini hanno apprezzato enormemente. Pochi minuti all’inizio o al termine della lezione in cui l’intero gruppo classe, compresa la loro maestra, gioca con il solo scopo di divertirsi e ridere insieme, credo abbiano un valore inestimabile per i bambini, dalla prima alla quinta elementare.
In una classe in cui sono stata per un maggiore lasso di tempo ho utilizzato uno strumento specifico appreso nello YR: il gibberish, ovvero il linguaggio del non sense. Avevo notato che una bambina più delle altre non riusciva ad aprirsi, a lasciarsi andare davvero e ad essere sè stessa. Una mattina, durante la ricreazione, ho cominciato improvvisamente a parlare in gibberish con un gruppetto di bambine, inclusa lei. Dopo qualche attimo di esitazione, le più disinvolte hanno cominciato a seguirmi, mentre lei si innervosiva perché non riusciva a perdere il controllo, continuava a parlare in italiano e a chiedermi spiegazioni. Dopo pochi minuti ha cominciato anche lei a dire qualche parola senza senso, le sue compagne ed io l’abbiamo abbracciata sorridendo. Non posso spiegare a parole la gioia di questa bambina nell’essere riuscita a lasciarsi andare e a sentirsi parte di un gruppo. Di lì a poco ho avvertito un enorme cambiamento da parte sua nei miei confronti e nei confronti delle sue compagne.
L’ambiente scolastico supporta il tuo approccio a un tipo di insegnamento orientato alla persona e al divertimento?
Inutile dire che l’ambiente scolastico porta ancora con sé reticenze di un passato di rigida istruzione e di tendenza all’omologazione. In un contesto del genere un approccio realmente orientato alla persona e agli interessi del singolo, così come ad un’educazione alla gioia e al divertimento, trova ancora delle resistenze ad affermarsi e ad essere accolto pienamente. Ma, anche per non concludere con un pensiero negativo, devo riconoscere come molte maestre, anche se inizialmente scettiche, nel vedere il risultato che un approccio del genere riesce ad ottenere nelle classi, anche e soprattutto in quelle considerate le peggiori, cominciano ad interessarsi, a farmi domande e a volte anche ad accogliere le mie proposte.
Fino ad ora non ho assistito a chissà quali rivoluzioni, ma voglio concludere questa intervista con quella che io considero una piccola conquista. Nella scuola dove attualmente sono in servizio, una scuola di maestre preparate e volenterose, purtroppo vige il rigoroso rispetto di tante regole, dettate più dalla consuetudine che da altro. Una di queste consuetudini è quella di non frequentare il giardino scolastico neanche durante l’intervallo pomeridiano, con l’inevitabile malcontento dei bambini. Ho trasgredito a questa convenzione portando la mia classe in giardino e cercando di convincere le altre maestre sui benefici di questa scelta. Una di loro ha cominciato a frequentare il giardino con i suoi bambini, con un inevitabile miglioramento del clima di classe in quanto a divertimento, partecipazione e rapporto di fiducia con la maestra!
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