Io faccio così #199 – Liberi Nantes, la squadra di migranti che dà un calcio agli stereotipi
Seguici su:
Roma, Lazio - Dall’iniziativa di un gruppo di amici appassionati di calcio nasce l’idea di offrire ai ragazzi giunti nel nostro Paese dei momenti di svago, socializzazione e normalità. È così che nel quartiere Pietralata di Roma prende vita la ‘Liberi Nantes Football Club’, la prima squadra di calcio in Italia interamente composta da rifugiati e richiedenti asilo, vittime di migrazione forzata.
A raccontarci la storia di questa realtà, esempio di integrazione riuscita e buona accoglienza, è Alberto Urbinati, presidente dell’associazione sportiva dilettantistica Liberi Nantes che oggi, oltre all’attività calcistica, porta avanti altre iniziative finalizzate all’inclusione sociale e alla ricostruzione personale di donne e uomini in fuga da paesi in guerra e da situazioni umanitarie drammatiche.
Liberi di giocare, quando l’integrazione si fa sul campo
“Liberi Nantes nasce il 26 ottobre del 2007 da un’iniziativa di un gruppo di amici appassionati di calcio che cercano di usare questo sport per lanciare un messaggio positivo di fratellanza e di speranza. Era l’epoca in cui cominciavano ad arrivare i primi flussi migratori importanti in Italia. L’idea era quindi quella di dare attraverso il calcio una risposta positiva a questi flussi e non trattare i ragazzi arrivati come persone da ‘parcheggiare’ nei centri di accoglienza. Siamo andati quindi nei centri a raccontare questa storia ed è nata l’idea di formare la squadra”, ci racconta Alberto, mentre alle sue spalle si gioca una partita.
I ragazzi della Liberi Nantes vengono in gran parte dall’Africa occidentale subsahariana e quindi da Paesi come Gambia, Senegal, Mali, Burkina Faso, Guinea. Ci sono anche un ragazzo eritreo ed uno iracheno. “E il nostro ‘straniero’ italiano che è Daniele che fa parte della nostra squadra da sette anni e quindi ormai è uno dei nostri”, aggiunge Alberto.
“I ragazzi che arrivano qui vengono dai centri di accoglienza con i quali abbiamo un rapporto di scambio di informazioni: noi comunichiamo ai centri le attività che svolgiamo qui e loro, in base a queste informazioni, indirizzano i ragazzi.
Ogni anno a settembre arrivano qui circa 200 ragazzi che vorrebbero entrare in squadra, un numero purtroppo troppo alto per noi perché non possiamo prenderli tutti. C’è quindi un criterio di selezione basato sulla bravura tecnica e, soprattutto, sul comportamento. Quello che intendiamo fare è instillare nei ragazzi la cultura sportiva vera e quindi cerchiamo di veicolare messaggi positivi di approccio al gioco, che non deve essere scontro e violenza ma al contrario rispetto per se stessi e per l’avversario”.
La Liberi Nantes per quattro volte su dieci è arrivata prima in classifica come squadra più corretta. “Ci teniamo a sottolinearlo perché questo vuol dire che l’immigrazione non porta solo problemi: noi abbiamo dimostrato sul campo, in tutti i sensi, che siamo una squadra molto disciplinata”.
L’attività calcistica è oggi giunta al decimo anno di partecipazione nel campionato di terza categoria. La squadra che partecipa al campionato gioca fuori classifica perché le norme federali non sono ancora pronte a recepire una squadra interamente composta da richiedenti asilo come la nostra. L’articolo 40 del regolamento federale prevede infatti l’obbligo di avere un certificato di residenza italiano. “Non è colpa né dei ragazzi né nostra ma spesso, almeno a Roma, è quasi impossibile ottenere un certificato di residenza in un centro d’accoglienza. La mancanza di questo documento pregiudica l’iscrizione dei nostri ragazzi come tesserati ‘normali’ e quindi l’accordo con la Federazione prevede che noi possiamo giocare in un campionato federale ma siamo fuori classifica e non possiamo essere promossi.
Si tratta di un compromesso che però noi abbiamo accettato molto volentieri perché ci permette di non escludere nessuno: noi rinunciamo al prestigio e alla possibilità di accedere a categorie più importanti però nessuno dei ragazzi che viene a giocare qui resta fuori perché sprovvisto dei documenti previsti dalla Federazione”. Dentro Liberi Nantes, insomma, giocano tutti.
“Quello che facciamo – continua Alberto – è offrire un’occasione di normalità ai ragazzi aiutandoli a sentirsi parte di qualcosa, e questo anche a livello psicologico è molto importante. Ognuno poi deve cercare di costruire il proprio percorso autonomamente. Noi cerchiamo di fare in modo che qui si divertano, come è giusto che sia per ragazzi della loro età”.
Le altre attività di Liberi Nantes
Dal 2007 ad oggi sono passati dieci anni e di strada ne è stata fatta tantissima. Oltre all’attività calcistica, si è aggiunta l’esperienza dell’escursionismo con i CamiNantes. “Far conoscere ai ragazzi il territorio ci sembra un modo per farli sentire parte del contesto in cui vivono. Due volte al mese portiamo fuori i ragazzi, una volta in città e una volta nei parchi intorno a Roma. Viviamo in una delle città più belle al mondo quindi è giusto che i ragazzi vengano a contatto con questa bellezza. Allo stesso tempo desideriamo che trascorrano del tempo a contatto con la natura. I ritmi lenti della camminata favoriscono lo scambio di esperienze, la socializzazione e la nascita di amicizie. Costruiamo così spazi di normalità per questi ragazzi che sono ospiti. Il dovere di chi ospita è secondo noi anche quello di far conoscere la bellezza della propria cultura”.
Tra le altre attività della Liberi Nantes vi è anche una scuola di italiano. “Ogni anno – ci spiega Alberto – una ventina di ragazzi entra a far parte della nostra scuola. Si tratta di una scuola molto informale improntata sul dialogo e finalizzata a far crescere nei ragazzi il livello di comprensione della lingua italiana, elemento cardine dell’inclusione nel nostro Paese”.
È stata attivata anche una collaborazione con il Teatro di Roma che lo scorso anno ha portato la Liberi Nantes a vincere il Bando MigrArti 2017 con uno spettacolo che si chiama “Enea in viaggio”.
Il campo XXV Aprile ed il rapporto con il quartiere
Quartier generale e casa dei Liberi Nantes è il campo XXV Aprile, spazio storico per il quartiere di Pietralata che nasce alla fine degli anni ‘60 come area di gioco che gli abitanti del quartiere riservano per le proprie famiglie. Da qui nasce l’epopea dell’Alba rossa, la squadra del quartiere, che si interrompe nel 1995. Fino al 2010 ci sono quindi 15 anni in cui questo spazio viene sostanzialmente abbandonato.
“Quando siamo entrati qui nel 2010 – racconta Alberto – questo campo era in condizioni di quasi abbandono. Oggi lo stiamo riqualificando soprattutto grazie al lavoro dei ragazzi che arrivano dai centri di accoglienza e questo ci sta dando una spinta enorme in termini di progettualità. Loro vengono qui a darci una mano e noi in cambio offriamo la possibilità di partecipare a corsi professionali di avviamento al lavoro. Si tratta di un percorso che sta dando frutti interessanti. Oggi ci sono oltre 150 persone che fanno sport qui”.
“Nella zona non ci sono mai stati episodi di intolleranza verso qualcuno dei giocatori o dei volontari dell’associazione. Oggi noi siamo anzi uno dei motori della zona e abbiamo fatto rete con altre associazioni del quartiere che si occupano degli ambiti più disparati: dalla manutenzione degli spazi verdi alla gestione dei centri artistici e culturali. È nata così una rete molto eterogenea che si chiama Le Rape (Rete associazioni della periferia est). Si è instaurato insomma un dialogo positivo con il quartiere che sta crescendo sempre di più”.
“Credo che oggi questo spazio rappresenti la dimostrazione che unendo le forze, non alzando barriere e camminando insieme si genera ricchezza, umana ed economica. Progetti come il nostro possono essere replicati in ogni parte d’Italia, partendo dal recupero dei tantissimi spazi abbandonati sparsi in tutto il Paese”.
Intervista: Alessandra Profilio e Paolo Cignini
Riprese e montaggio: Paolo Cignini
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento