9 Feb 2018

“Ero una consumatrice perfetta, oggi vivo (meglio) senza supermercato”

Scritto da: Elena Risi

Vivere senza supermercato non solo è possibile ma comporta notevoli vantaggi in termini di soldi, tempo, salute e impatto ambientale. Per non parlare del senso di indipendenza che si prova quando si impara a “fare a meno” e si riscopre il “saper fare”. Ne abbiamo parlato con Elena Tioli, ex consumatrice perfetta che da tre anni ha detto addio alla grande distribuzione.

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Roma, Lazio - Elena Tioli, ex consumatrice inconsapevole, ex fumatrice incallita, un giorno di tre anni fa ha deciso di cambiare la sua vita dicendo basta ai supermercati… e da quel momento non ci ha più messo piede. Ha invece cominciato a dedicarsi al consumo critico, ai temi della decrescita e dell’ambiente. Ha scritto un libro in cui racconta la sua esperienza fuori dalla grande distribuzione organizzata “Vivere senza supermercato” (edizione Terra Nuova) e cura i blog www.vivicomemangi.it e www.viveresenzasupermercato.it.

Elena Tioli

Elena Tioli


Qual era il tuo stile di vita prima di vivere senza supermercato?

 

Non sono mai stata un’attivista, un’ecologista, una persona consapevole. Al contrario! Per una vita sono stata la consumatrice perfetta: assidua frequentatrice di centri commerciali, attratta dal superfluo, con l’acquisto facile e impulsivo. Troppo presa dallo studio, dal lavoro, dagli impegni, dalla carriera, dalla vita sociale per fermarmi a riflettere sulle conseguenze delle mie scelte. Per dire, gli unici interrogativi che mi ponevo davanti al cibo erano: quanto costa? e fa ingrassare?

 

Qual è stata la molla interiore che ha scatenato la tua decisione di non entrare più un supermercato e perché hai deciso di portarla avanti?

 

Tutto è cominciato “grazie” a un periodo di disoccupazione. Quando ho perso il lavoro (un lavoro che adoravo!) mi sono sentita persa. Non solo per la questione economica, ma anche per una questione d’identità. Fino a quel momento mi ero identificata con quello che facevo e così, senza lavoro, mi sono trovata costretta a mettere in discussione non solo le mie abitudini ma anche me stessa. In quel momento, mentre mi disperavo per aver perso qualsiasi forma di controllo sulla mia vita, ho realizzato che non era così: potevo controllare le mie azioni. Potevo ripartire da me.

 

Per esempio, viste le ridottissime possibilità economiche, potevo iniziare dallo smettere di buttare soldi per avvelenarmi. Così, dopo 15 anni di onoratissima carriera da fumatrice (a ritmi di un pacchetto di sigarette al giorno, per 365 giorni all’anno e per un costo totale di 20mila euro più o meno) da un momento all’altro ho detto basta. Dopo il fumo è stata la volta del cibo, poi dei prodotti per l’igiene personale e per la pulizia della casa. Più mi informavo più comprare diventava difficile, fino al punto in cui, ho iniziato a sentirmi a disagio nei supermercati.

 

Non vedevo più i prezzi, le marche, i colori, gli slogan sulle confezioni, ma l’impatto ambientale, sociale e sanitario di quelle merci, l’impronta ecologica, gli imballaggi e i chilometri percorsi. Sapevo leggere le etichette e conoscevo il significato di quelle paroline prima incomprensibili. Mi immaginavo le facce di chi aveva prodotto quelle cose: persone sfruttate, sottopagate o prive di diritti. Vedevo tutto ciò e non volevo più essere complice.

 

Con quel pensiero è iniziata la mia sfida: era il 2 gennaio del 2015 quando uscendo da un supermercato mi sono ripromessa di non entrarci più. Per un anno. All’epoca non sapevo che quel buon proposito mi avrebbe cambiato la vita.

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Quali sono state le tappe intraprese in questo percorso?

 

All’inizio non è stato facile! Totalmente inesperta di consumo critico e autoproduzione, le prime settimane mi sono ritrovata ad annaspare. Però non ho mollato e soprattutto grazie al Gruppo d’Acquisto Solidale di cui faccio parte ho imparato ben presto che vivere senza supermercato non solo è facile ma può essere addirittura divertente! Ben presto ho scoperto mercati contadini, piccoli produttori, botteghe di quartiere, negozi in cui si compra sfuso e diverse piattaforme online che mettono in contatto diretto produttori e consumatori.

 

Come ti rifornisci prevalentemente per la tua spesa alimentare?

 

Compro perlopiù tramite GAS e prediligo la filiera corta. Frutta e verdura a chilometro zero e biologico (che non significa necessariamente certificato bio, quello che – per intenderci – al supermercato ha un reparto apposito, una confezione ultra chic e che di solito costa il triplo). Cibo genuino, per lo più vegetale e integrale, di certo non industriale o raffinato; frutta e verdura di stagione, magari esteticamente non perfetta e non omologata nelle dimensioni, ma con un gusto fantastico. Alla varietà preferisco la biodiversità. Evito quasi del tutto i prodotti confezionati, già pronti, ricchi di conservanti e i derivati animali. Soprattutto non compro nulla che provenga da allevamenti intensivi: una delle piaghe ambientali, sanitarie ed etiche più grandi dei nostri tempi. Ogni tanto mi capita di acquistare anche tramite piattaforme online che mettono in contatto diretto produttori e consumatori, come l’Alveare che dice sì, Kalulu o Flash Market.

 

E per i prodotti di igiene personale o per la casa?

 

Per quanto riguarda l’igiene personale, vivere senza supermercato ha significato una vera e propria rivoluzione. Io adoravo comprare shampoo, bagnoschiuma profumati, creme e balsami… insomma il peggio del peggio. Un mix di sostanze sintetiche e derivati dal petrolio. Una volta che impari a leggere l’INCI (International Nomenclature of Cosmetic Ingredient) e capisci cosa ti stai mettendo addosso difficilmente ti viene voglia di rifarlo! Ora utilizzo un buon sapone vegetale, deodorante autoprodotto, olio di mandorle come struccante e idratante. Anche in questo caso spesso compro sfuso, riutilizzando contenitori in vetro. Ho iniziato anche a utilizzare la coppetta mestruale, un ottimo acquisto di 22 euro che ha ridotto quasi a zero l’impatto ambientale – nonché economico – del mio ciclo.

 

Stesso discorso per le pulizie di casa. Quando ho scoperto quanti danni facevo pulendo casa sono rimasta allibita! Tantissimi prodotti che si adoperano quotidianamente per pulire sono in realtà veleno, per noi e per l’ambiente. Ma le alternative ecologiche ci sono e sono anche più economiche. Oggi al posto di brillantante, anticalcare e ammorbidente uso acido citrico e acqua. Il bicarbonato è un ottimo detergente anti odori. Per sostituire disinfettante, smacchiatore, sbiancante e detergente uso il percarbonato di sodio, una sorta di candeggina naturale che, a differenza di quella industriale, non inquina e non fa danni alla salute di chi la utilizza. Infine limoni e aceto sono ottimi alleati, non solo in cucina.

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Ti dedichi all’autoproduzione?

 

Autoproduco, ma non tutto, solo le cose facili! Quelle che al massimo richiedono pochi minuti e un paio di ingredienti. Per esempio lo scrub, il brillantante o il deodorante: basta miscelare 2 cucchiai di bicarbonato, 1 di amido di mais e 10 gocce di tea treeoil per farne un barattolo. Tempo 30 secondi, costo pochi centesimi.

 

Qual è, in termini economici, il risparmio medio sulla tua spesa rispetto a prima?

 

Risparmio parecchio, ma non su tutto. In realtà il risparmio principale deriva dal fatto che compro meno. Di tante cose che prima mi sembravano indispensabili ora non sento neanche la mancanza.
Poi c’è un risparmio effettivo: molti prodotti che acquisto, seppur di maggior qualità rispetto a quelli della grande distribuzione, mi costano meno. E durano di più. Per esempio i generi di ortofrutta del mio listino del GAS sono quasi tutti più convenienti di quelli di un noto supermercato: la cicoria la pago 2 euro al chilo, al supermercato costa 2,29; le mele 2.10 euro al chilo, invece di 2,59; le carote 1.60 euro al chilo contro 2,64. Stesso discorso per i prodotti per l’igiene personale e della casa.

 

Ovviamente alcuni prodotti li pago un po’ di più. Ma va bene così. Se risparmiare significa bassa qualità, tanto inquinamento, produttori strozzati dalle dinamiche della GDO e dal sistema malato delle doppie aste online, io dico: “No, grazie”.

 

Quali sono secondo te i principali vantaggi di questo stile di vita? (soprattutto in termini di tempo, salute e impatto ambientale)

 

Tantissimi! Oltre al fattore economico, i vantaggi in termini di tempo, salute e impatto ambientale sono numerosissimi. Basti pensare che prima impiegavo tutti i miei sabati pomeriggio liberi al supermercato per fare la spesa della settimana. E invece oggi le code alla cassa, la ricerca del parcheggio, il percorso a ostacoli tra le corsie per me non sono che lontani ricordi. Gran parte della mia spesa adesso la faccio tramite il gruppo d’acquisto: ordino comodamente online, in pochi minuti e dal mio divano e poi vado a ritirare la mia cassetta nella sede del GAS.

 

Sull’impatto ambientale ci sarebbe molto da dire (e anche molto da fare). Sebbene il mio stile di vita sia molto più sostenibile che in passato la mia impronta ecologica è tuttora superiore a ciò che mi spetterebbe. Di certo vivendo in questo modo ho ridotto tantissimo i rifiuti (soprattutto la plastica), le sostanze velenose che prima puntualmente riversavo negli scarichi (basti pensare alla candeggina o a tutte quelle microplastiche presenti in detersivi e detergenti) e gli sprechi. Detto ciò so che potrei fare di più e che potrei farlo meglio. Ci provo, un passo alla volta…

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Secondo te questo tipo di scelta è più complicato da portare avanti se si vive in una grande città (tipo Roma) o no?

 

Non saprei. Quando racconto la mia esperienza a qualcuno che vive in città mi sento rispondere: “Certo, sarebbe più̀ facile vivendo in campagna”. Se invece ne parlo a qualcuno che vive in campagna la replica quasi sempre è: “Per te è facile! Forse ci riuscirei anch’io se solo vivessi in città”. Alla fine credo che il problema non sia tanto il luogo o il tempo quanto la volontà̀ di cambiare le proprie abitudini.

 

In città ormai è facile: le occasioni per fare una spesa più sostenibile sono innumerevoli e il mercato dell’ecologico è in continua crescita. È sufficiente uscire un attimo dai binari della quotidianità̀ per accorgersi che le nostre città stanno cambiando a vista d’occhio e che ormai per scegliere di fare acquisti diversi e cimentarsi in stili di vita più̀ sostenibili basta aprire gli occhi. E lo posso dire per esperienza.

 

Ma anche nei paesi le soluzioni ci sono eccome. E lo so perché è da un paese che vengo. Uno di quelli che ha quasi più supermercati che abitanti, come accade in tanti altri paesi d’Italia in cui i prati all’inglese hanno sostituito gli orti e in cui praticamente ogni famiglia ha un pezzetto di terra dietro casa, di cui spesso non si ricorda più. Anche in campagna ci si è dimenticati della campagna! E invece proprio quelle realtà̀ contadine permetterebbero una relazione più̀ semplice e immediata con i produttori, con la terra e con il cibo.

 

Qual è il bilancio della tua esperienza dopo 3 anni?

 

Tolte le vesti della consumatrice incallita ho scoperto il piacere di scegliere responsabilmente e di conoscere le conseguenze delle mie scelte. È un piacere nuovo, che non conoscevo. Così come non conoscevo il piacere di fare a meno. Che non significa rinunciare. Significa stare meglio senza. È bellissimo! Com’è bellissimo partecipare a una comunità in cui produttori e consumatori sono dalla stessa parte e in cui le relazioni si basano sulla fiducia e sul rispetto. Oggi, grazie a quest’avventura, ho tanti nuovi amici e sono circondata da molte persone che stimo e da cui ho imparato parecchio.

 

Ultimo, ma non ultimo, ho assaporato il piacere di tornare a fare. Di saper fare. Che soddisfazione! L’indipendenza è rivoluzionaria. Ti fa sentire libera. Una libertà che mi ha portato a cambiare abitudini e a riappropriarmi del mio tempo. In questi anni senza supermercato mi sono licenziata, più volte. Ho cambiato lavoro e aspirazioni. Ho deciso di dedicarmi a qualcosa in cui credo. Dopo aver vissuto per una vita con quel fare un po’ indifferente per cui un problema non è un problema se non è un mio problema, ho deciso di smettere di girarmi dall’altra parte. Non solo per altruismo o per idealismo, ma perché ho scoperto che vivere bene mi fa star bene.

 

 

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