Sacchetti bio a pagamento: nessun cambiamento senza riuso
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La questione dei sacchetti di plastica a pagamento ha diviso l’opinione pubblica e suscitato polemiche. Ma qualcosa nel dibattito sembra essere ancora fuori fuoco.
Ripartiamo dal principio. Dal primo gennaio è entrata in vigore una legge che prevede che i sacchetti di plastica utilizzati nei supermercati per imbustare frutta, verdura e altri freschi alimentari siano biodegradabili e a carico del consumatore. Quelli utilizzati precedentemente, interamente in plastica, sono stati dunque sostituiti da nuovi sacchetti composti al 40% da materiali biodegradabili, percentuale che aumenterà nel 2020 passando a 50% e al 60% nel 2021. Il costo varia a seconda dei supermercati, ma dovrebbe aggirarsi tra l’1 e i 3 centesimi cadauno.
La nuova legge converte il decreto legge 2017 n.91, “Disposizioni urgenti per la crescita economica del mezzogiorno”, riprendendo una direttiva europea del 2015 che introduceva nuove regole sull’uso dei sacchetti leggeri. Tanta preoccupazione era senz’altro motivata considerando che questo tipo di sacchetti sono riutilizzati molto poco, si trasformano facilmente in rifiuto e diventano una delle principali cause di inquinamento del mare e degli ecosistemi acquatici.
Bene così allora? Con un piccolo investimento saremo in grado di ridurre sensibilmente una fonte di inquinamento per il pianeta? Non proprio, perché sulla norma è intervenuto anche il Ministero della Salute che per presunte “motivazioni igieniche” impone che i sacchetti siano monouso, e che si possono sì portare da casa ma sempre a patto che siano nuovi. Ed ecco la vera falla, perché il disincentivo al riutilizzo elimina la possibilità di sviluppare un comportamento maggiormente virtuoso e ecosostenibile.
Normalmente le tasse sui prodotti vengono applicate per scoraggiare la produzione e il consumo di beni che generano inquinamento durante l’intero ciclo di vita. Il principale obiettivo dovrebbe essere dunque quello di segnalare che un determinato prodotto è dannoso e indirizzare verso altre forme di acquisto o di consumo determinando quindi un incentivo a cambiare comportamento, proprio come è stato con le buste di plastica “generiche” – diciamo così – che sempre più spesso sono sostituite da shopper di stoffa riutilizzabili “all’infinito”.
Con la nuova legge in vigore questo intento è inspiegabilmente assente dunque il problema resta, l’inquinamento pure.
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